GESTIRE LA RABBIA
Il rancore può modificare il corpo
I moderni studi di neurofisiologia ci hanno dimostrato che i rancori sono pericolosi perché attivano parti del cervello (ipotalamo,ipofisi) da dove scatta il processo di materializzazione attraverso gli ormoni (catecolamine). I rancori diventano materia dentro di noi e producono patologie .
Ma cosa vuol dire “vivere la rabbia”?
La maggioranza delle persone tira fuori l’aggressività quando pensa di subire un torto. Questa rabbia può prorompere all’esterno e divampare nel litigio, o essere trattenuta e “rimandata”
Quando la rabbia arriva, deve essere vissuta perché se rimane dentro di noi continuerà a ribollire come un fuoco. Spesso finiamo per trovare degli espedienti all’esterno, buttandola fuori con qualche scusa, nei momenti sbagliati, oppure scaricandola sugli amici, sui colleghi, sul partner, sui figli ecc.
Reprimerla fa ammalare
Quando si rimanda la rabbia, si smarrisce la sua funzione, presente in quel preciso momento e solo in quello. Se la trattieni rischi di somatizzarle e farla diventare una malattia. Mentre lo scontro diretto appartiene al tempo dell’immediatezza, il rancore si prolunga: per questo è così pericoloso per il corpo, lo tiene in continuo stato di stallo. Rimuginiamo, interpretiamo,spieghiamo e giustifichiamo ogni cosa. Con il risultato che la rabbia è sostituita dal sentimento del rancore, che in realtà miete molte più vittime della rabbia.
Sfogarsi, falsa soluzione
Anche chi si arrabbia spesso non è in pace, ha la visione “accecata”: l’aggressività prende il sopravvento e prorompe anche per questioni futili. Finisce per impregnare il cervello e il corpo delle sostanze della collera, come chi trattiene. Arrabbiarsi diventa come una droga. Se non liberiamo una nuova scarica d’ira siamo come in crisi d’astinenza.
Come possiamo gestire la rabbia
La rabbia non va trattenuta né sfogata, va osservata senza giudizio. Così l’emozione si trasforma in consapevolezza e guida la nostra crescita interiore
Per star bene dobbiamo continuamente “disidentificarci”, ovvero distinguere noi stessi dalle emozioni. Quando ci identifichiamo con un impulso, ci limitiamo e ci paralizziamo.
Ad esempio se ammettiamo “io sono arrabbiato”, siamo dominati e travolti dall’ira. Se invece, nelle stesse condizioni diciamo : “Non è qualcosa o qualcuno a farmi arrabbiare, come credo a prima vista, ma è un onda di rabbia senza volto che mi sta attraversando… Mi arrendo, l’accolgo e la guardo come si guarda un panorama in cui i confini si perdono. Così la rabbia diventa infinta e divina… e’ la rabbia del mondo, il Dio della rabbia che mi sta visitando”. Questo processo attiva una “magia” che trasforma l’emozione in evoluzione interiore: invece di sfogarsi o di venire trattenuta ma si traduce in intuizioni, consapevolezza, idee, soluzioni cui non avevi pensato
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