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Dolore cronico

Quando il dolore diventa cronico? Sappiamo che il dolore acuto è un segnale di allarme dell'organismo. La sua insorgenza è comunemente dovuta a lesioni dei tessuti oppure a qualche tipo di malattia e la sua intensità è solitamente commisurata al tipo di problema. Tuttavia, mentre il dolore acuto rappresenta il sintomo di una malattia, il dolore cronico cessa di essere tale per diventare esso stesso una “malattia” dato che è in grado di alterare profondamente la qualità di vita della persona influenzandola dal punto di vista psicologico, fisiologico, emotivo e sociale. Inoltre, a volte è presente uno stimolo doloroso non commisurato alla causa che l’ha provocato. In alcuni casi il segnale di 'dolore' è inviato senza che vi sia alcun trauma o malattia. Il dolore può essere considerato cronico quando: Persiste dopo la guarigione da una malattia ; Si associa ad una patologia cronica o ad un disturbo neurologico persistente Si manifesta o persiste senza cause organiche identificabili Il dolore cronico sembra essere molto diffuso , in Italia infatti colpisce il 19% della popolazione . Se consideriamo, invece, l’esperienza dolorosa nel suo complesso, si stima che in Europa il 50% degli adulti soffra o abbia sofferto di uno o più tipi di dolore. Per la maggioranza di essi il dolore è sia cronico sia acuto ed è stato dimostrato che con l'avanzare dell'età la percentuale aumenta notevolmente. I tipi più diffusi di dolore cronico, come: lombalgia, artrite e mal di testa ricorrenti (compresa l'emicrania), sono così comuni da essere considerati parte della vita. Il ruolo delle componenti psicologiche nella percezione di dolore L’associazione internazionale di studio del dolore (IASP) definisce il dolore come “un’esperienza personale sensoriale ed emozionale spiacevole, associata ad un danno tissutale attuale o potenziale o descritta in tali termini”, questo evidenzia come il dolore sia una percezione (come la vista e l’udito), non una sensazione reale, ed in quanto tale soggettiva. Questo vuol dire che non è soltanto in relazione con il danno reale a dei tessuti corporei ma anche con la minaccia o il timore di provare dolore. Quest’ultima prende il nome di componente affettiva del dolore ed è in grado di modulare sia l’intensità che la soglia oltre alla quale uno stimolo viene percepito come doloroso. Le persone con patologia organica possono dunque provare dolore, e ciò non può essere messo in dubbio, tuttavia è importante rilevare che i fattori psicologici influenzano costantemente la qualità, l’intensità e la durata dell’esperienza dolorosa. Inoltre, quando il dolore cronico non viene alleviato, la persona è maggiormente esposta a problemi psicologici, psicosociali e comportamentali che ne deteriorano ulteriormente la qualità di vita (Sumen et al., 2000). Com’è possibile intervenire? L’intervento sul dolore cronico ha l’obiettivo primario si interrompere il circolo vizioso dolore-ansia-tensione-aggravamento del dolore che è tipico delle sindromi dove è coinvolto l’apparato muscolare come ad esempio la cefalea muscolo tensiva ( Martin, 1078) e il dolore lombare (Crown, 1980). La persona verrà infatti accompagnata nel riconoscimento degli antecedenti che possono provocare o amplificare il dolore , le valutazioni cognitive personali che mantengono o aggravano la condizione algica (es. pensieri di scoraggiamento, autosvalutazione) e attraverso il training di biofeedback sarà possibile ottenere uno stato di rilassamento profondo . Per maggiori informazioni: www.centrophoenix.net

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