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Descrizione
GIOVANI CHE SI RACCONTANO
Il silenzio è alla sbarra: c’è chi dinanzi alla verità si cela e si imbavaglia tra le “frasi fatte” e la menzogna, ma anche chi cerca di fuggire per paura di un dito puntato sul volto. C’è anche chi preferisce ingoiare amarezze e soprusi sino a urlare nell’ignoto le meschine “maschere” di chi cerca di essere un eroe e non sa di poter arrivare solo al gradino dell’io semplicemente umano. E poi ci sei tu, uomo della strada, lettore confuso e pseudo-critico, tu che stenti a riconoscere quella verità che senti dentro mentre tutti i “negozianti di successi accumulati e impacchettati” espongono in vetrina il loro prodotto. E tu scruti tutti e cerchi di comprendere chi vuole vivere senza catene, forse, per un giorno solo. E’ qui che Antonio Fundarò, in questo testo, preme il pulsante del suo registratore per immortalare, nell’eterno presente, quei pianti amari accompagnati da urli silenziosi che forse non saranno mai uditi dai burocrati di un presente sempre più “camomillato” e “assonnacchiato” tra l’essere e l’avere, tra pre-concetti e pregiudizi, tra silenzi e sguardi che si perdono e si ritrovano in un meraviglioso caleidoscopio di questo “Ciack- si gira”. Vorremmo presentare questo testo dando solo voce al silenzio che passa e porta via il vento dei ricordi dove tutto rispolvera vecchie nostalgie mentre un pubblico che preferisce e applaude l’auto-inganno cerca rumori e confusione dimenticando che molti muoiono ovattati di freddo e crocifissi sul palo della solitudine. E’ a questi, a chi fa cronaca e stenta a vivere la storia dei tempi, che Antonio Fundarò offre una mano, regala una chiave che improvvisamente apre tutti i catenacci di quelle catene subite e imposte, pronti tutti a spiccare il volo verso un immenso cielo dove regna l’azzurro dei colori, lo stesso che dà vita al mare e che poi si perde negli occhi cristallinei di un bambino. Scriviamo così una prefazione quasi particolare, silenziosa, ma profonda e onesta, vera e priva di pretese dove tutti dicono a tutti ciò che nessuno vuole sapere e ammettere: “Ridate all’uomo la libertà di essere vero, di sapersi vivo, di vivere per non mentire, di sperare che finchè si è se stessi la guerra non avrà barriere e non sussisterà. Ci si cala nelle storie con la fune degli esploratori curiosi e un po’ distratti, e nel pozzo degli “intoccabili” ecco trovare l’uomo di sempre: qui, Antonio, intreccia i diversi nodi in gola, intervista le paure, esorta tutti a venire alla luce senza temere i meschini commenti di chi fa finta di sapere tutto e poi non conosce nulla, neanche di se stesso. E tutti si legano alla fune. Puntano gli occhi su quell’azzurro cielo dove le ali dei gabbiani battono in velocità l’alba e il tramonto per poter fare il giorno e la notte a dimensione dei propri sogni. Antonio Fundarò in questo volume è riuscito nel suo intento, semplice ma onesto, vero e pulito, coraggioso ma non desideroso di orgoglio: far parlare chi non può e non dovrà mai parlare. Rompere le catene di ogni forma di schiavitù vuol dire sapersi vivi e targati per una libertà che non esclude nessuno da questa indiscussa impresa di Amore. Troppo rumorosa questa parola “Amore” troppo pulita per essere regalata e sporcata dai pseudo-moralisti delle cattedre di questa storia dove spesso manca la coerenza tra ciò che si pensa, ciò che si proclama e ciò che si vive. Amare: parola da sempre osannata e da molti calpestata tra i surrogati dell’odio e delle vendette. Amare, termine per dire l’indicibile, spazio dove far correre e galoppare le idee di tutti, dal bambino e all’adulto, dall’anziano e all’uomo arrivato. Amare: parola talvolta usata da Antonio per ricordare con i pennelli della speranza quella amara solitudine che non conosce più muri da abbattere e maschere da togliere troppi rugati e sudati. Amare è il contrario di ciò che si desidera, è il contrario di ciò che si impone con la forza, ecco perchè questa parola fa paura malgrado da tutti è ricercata ma da pochi vissuta alla luce delle 24 ore. Grazie, giovani che avete avuto semplicemente la forza della libertà intellettuale e avete messo nero su bianco scrivendo in questo testo le vostre storie di sempre, avete avuto sicuramente un momento di ripensamento ma noi, gente un po’ distratta, vi diciamo ancora grazie perchè silenziosamente avete avuto il coraggio e la volontà di salire sul treno dei ricordi dove i silenzi non sono mai stati d’oro. Avete interpellato le vostre coscienze, avete scavato tra le macerie delle vostre idee, avete inchiodato al muro l’uomo vecchio e oggi non vi resta che vivere sapendo che nel cuore di tutti vi è quel talento, quel tassello che serve per completare quell’unico mosaico vero, diverso e colorato, che è la vita. Non sarà facile sfogliare questo testo, ma certo al termine non possiamo che chiedere al lettore di rimanere un attimo in silenzio, di spogliarsi dai vari vestiti del critico e di commemorare quanti, presi dalla nostalgia e sostenuti dalla debolezza, non ce l’hanno fatta e hanno concluso la loro unica e irripetibile storia tra i vicoli bui e ciechi di questa società morendo di morte comune. E sono tanti. Ricordo Marco, un giovane che stanco di mentire a chi lo voleva diverso da come era disse: “Vado via, ma ci incontreremo e non sarà su questa terra, ma ci incontreremo certamente in un’altra vita là dove non ci saranno più nomi o figure da amare ma solo spazi per volare”. E qui si chiude un epilogo, forse possiamo pure fare calare il sipario, ma non dimenticare, caro lettore, che l’impresa non certo facile ma sicuramente apprezzabile e meravigliosamente riuscita da Antonio Fundarò, oggi ci interpella perchè molti non chiedono giudici che diano sentenze ma semplicemente invocano la libertà di vivere e di dialogare, di correggere gli errori con molta onestà senza nessuno che un giorno gridi “Sì a Cristo” e dopo tre secondi urla “Dateci libero Barabba”. Ecco perchè questo testo va letto con rispetto e senza condanne, forse con un po’ di presunzione possiamo dire che va rispettato senza tanti pseudo-pudori culturali. Qui c’è anche quella verità che in molti stenta a venire fuori, qui sta scritta quell’amarezza che non può ancora dar vita ad occhi spenti e cuori agghiacciati da giudizi che nessuno può avere il diritto di pronunciare proprio perchè non si è mai calato in quel labirinto dove tanti cercano l’aria per vivere e per lasciar vivere. Antonio ha percorso un iter giovanile certamente non facile, ma nel buio ha acceso tante lucciole e li ha tirati fuori una per una poichè nessuno deve avere la paura di essere vivo, nessuno deve puntare tutto sulla menzogna recitata a chiare lettere. Qui tantissimi giovani si raccontano e si incoraggiano guardandosi allo specchio, avendo l’onestà di sapersi con qualche ruga in più ma tutti accomunati da un cuore che ancora può e deve ricominciare ad amare la vita. A te, caro lettore, loro chiedono di riscoprirti goccia che malgrado gli sforzi non potrà mai comprendere in sè tutto l’oceano che circonda il quieto vivere… ma l’oceano ha bisogno, per essere tale, di tante gocce d’acqua. Ed è su questo oceano che Antonio frantuma le sue e le altrui catene perchè le ali della libertà non perdano mai la speranza e da qui inizi quel volo verso mondi nuovi dove tutto ha i colori ora tenui ora forti di un arcobaleno che è e rimane simbolo e segno di una nuova alleanza. E’ l’immenso lo spazio in cui ognuno scriva con la semplicità nel cuore; il suo messaggio di vita dove tutti possono comprendere tutto. Ma questo volo va fatto insieme, ala vicino alle ali, formando così una corona di speranza su un mondo che etichetta,tutto persino i morti ancora vivi. Sapersi coraggiosi equivale a riconoscersi utili agli altri e a se stessi, a divenire insieme portatori coerenti di una bella notizia: “Non guardare più la pagliuzza nell’occhio del tuo simile, esamina la trave che c’è nel tuo”. Se proviamo a tenere su una mano la pagliuzza e nell’altra mano una leggera trave, forse comprenderemo il male che abbiamo fatto quando, con molta ingenuità e faciloneria, abbiamo portato sul lastrico del precipizio tanti che oggi non sanno più chi sono, dove sono e perchè devono vivere questa vita tra rabbia e menzogne. Grazie, allora, diciamolo pure a chi ha messo mano a questo volume e nel più bello non si è tirato indietro, diciamolo con tutta coerenza e onestà senza tante mezze frasi, se è il caso diciamolo pure a bassa voce o con un cenno del capo, ma vi prego rispolveriamo i nostri modi di vivere, interroghiamo prima noi stessi sul segreto della nostra stanza dove nessuno può disturbare un onesto esame di coscienza, permettiamo ad ognuno di essere ciò che il cuore detta senza per questo fare un monumento a chi ama l’eccesso e il futile orgoglio. Amiamo l’amabile amando questa vita. Solo chi percepisce ciò a fior di pelle, solo chi comunica messaggi di vita e di speranza, solo questi riuscirà a riscaldare con un abbraccio chi piange per un bicchiere di alcool in più o per una dose andata male. E per fare ciò occorre solo avere occhi e vedere, avere un cuore e amare, avere braccia e spalancarle su ogni realtà, avere piedi e fare in fretta per soccorrere chi è stanco di essere ingiustamente ed ipocritamente giudicato da chi, nel buio del non senso, ne combina di peggio e poi ritorna “normale” tra gli “anormali”. E allora lasciamo a tutti, la libertà di esprimersi, invitiamo tutti a salire sul pentagramma di questa vita e cantare e suonare ognuno la propria nota nel rispetto di tutti senza sopraffare nessuno, ricompaginiamo le pagine dei nostri diari che nascondano frasi, foto, immagini e qualche lacrima sbiadita da una goccia di inchiostro nero come chi si è arreso. Se è vero come è vero che tutti siamo chiamati a dire qualcosa, è indiscusso che solo chi passa per il tunnel delle accuse, delle amarezze, dei silenzi, potrà un giorno cantare l’inno di una vittoria annunciata. I deboli diverranno certamente i forti e chi si credeva forte scoprirà in se di aver mentito in questa unica occasione di vivere la città. Molti faranno i conti con la loro solitudine, mentre parecchi lasceranno le poltrone dorate, i palchi addobbati a festa e faranno quattro chiacchiere con chi è per la strada sicuri di voler ricominciare tutto da capo. Ma ormai la vita non torna indietro e chi ha seminato raccoglierà il frutto della sua azione. E questo Antonio Fundarò lo sta intervistando negli sguardi forti e smarriti di chi non vuole mollare questa impresa che vede molti uniti a tanti per cantare insieme un inno che ancora non ha nè parole nè musica. All’autore va il merito di essere stato discreto e privo di meccanismi di difesa. Tutti possiamo ritrovarci in questo testo, riscoprire quella frase, quell’idea, quella convinzione, quella espressione che sempre cercavamo tra i tanti vocabolari del vivere ma non abbiamo mai trovato. Accogliamo, allora, con interesse l’opera di Antonio, questa raccolta di infinite e silenziose testimonianze dove nessuno può permettersi il lusso di criticare ma tutti dobbiamo essere pronti a coniare e coniugare tre verbi: amare, servire, vivere. Scinderli è killeraggio puro, sotterrarli è massacrare i silenzi urlati di molti, accettarli e cooperare insieme,solo un modo per dare casa e tetto a chi vive per le strade e sa che paure e angosce sono in agguato mentre tutti sappiamo che “dobbiamo sempre e ovunque cercare ciò che ci unisce, che ci fa veri, e non ciò che ci divide e ci porta alle guerriglie quotidiane”. A te, lettore, non un libro qualunque, ma il testamento di tanti che credono che da ogni ferita può nascere un nuovo germoglio di vita. A te il compito di coltivare questa speranza dove l’Amore può abbattere l’indifferenza... l’unico motivo perchè Antonio rompe le catene e vola su nuovi cieli, per nuove speranze per nuovi volti. Nicola Mannino
GIOVANI CHE SI RACCONTANO
Il silenzio è alla sbarra: c’è chi dinanzi alla verità si cela e si imbavaglia tra le “frasi fatte” e la menzogna, ma anche chi cerca di fuggire per paura di un dito puntato sul volto. C’è anche chi preferisce ingoiare amarezze e soprusi sino a urlare nell’ignoto le meschine “maschere” di chi cerca di essere un eroe e non sa di poter arrivare solo al gradino dell’io semplicemente umano. E poi ci sei tu, uomo della strada, lettore confuso e pseudo-critico, tu che stenti a riconoscere quella verità che senti dentro mentre tutti i “negozianti di successi accumulati e impacchettati” espongono in vetrina il loro prodotto. E tu scruti tutti e cerchi di comprendere chi vuole vivere senza catene, forse, per un giorno solo. E’ qui che Antonio Fundarò, in questo testo, preme il pulsante del suo registratore per immortalare, nell’eterno presente, quei pianti amari accompagnati da urli silenziosi che forse non saranno mai uditi dai burocrati di un presente sempre più “camomillato” e “assonnacchiato” tra l’essere e l’avere, tra pre-concetti e pregiudizi, tra silenzi e sguardi che si perdono e si ritrovano in un meraviglioso caleidoscopio di questo “Ciack- si gira”. Vorremmo presentare questo testo dando solo voce al silenzio che passa e porta via il vento dei ricordi dove tutto rispolvera vecchie nostalgie mentre un pubblico che preferisce e applaude l’auto-inganno cerca rumori e confusione dimenticando che molti muoiono ovattati di freddo e crocifissi sul palo della solitudine. E’ a questi, a chi fa cronaca e stenta a vivere la storia dei tempi, che Antonio Fundarò offre una mano, regala una chiave che improvvisamente apre tutti i catenacci di quelle catene subite e imposte, pronti tutti a spiccare il volo verso un immenso cielo dove regna l’azzurro dei colori, lo stesso che dà vita al mare e che poi si perde negli occhi cristallinei di un bambino. Scriviamo così una prefazione quasi particolare, silenziosa, ma profonda e onesta, vera e priva di pretese dove tutti dicono a tutti ciò che nessuno vuole sapere e ammettere: “Ridate all’uomo la libertà di essere vero, di sapersi vivo, di vivere per non mentire, di sperare che finchè si è se stessi la guerra non avrà barriere e non sussisterà. Ci si cala nelle storie con la fune degli esploratori curiosi e un po’ distratti, e nel pozzo degli “intoccabili” ecco trovare l’uomo di sempre: qui, Antonio, intreccia i diversi nodi in gola, intervista le paure, esorta tutti a venire alla luce senza temere i meschini commenti di chi fa finta di sapere tutto e poi non conosce nulla, neanche di se stesso. E tutti si legano alla fune. Puntano gli occhi su quell’azzurro cielo dove le ali dei gabbiani battono in velocità l’alba e il tramonto per poter fare il giorno e la notte a dimensione dei propri sogni. Antonio Fundarò in questo volume è riuscito nel suo intento, semplice ma onesto, vero e pulito, coraggioso ma non desideroso di orgoglio: far parlare chi non può e non dovrà mai parlare. Rompere le catene di ogni forma di schiavitù vuol dire sapersi vivi e targati per una libertà che non esclude nessuno da questa indiscussa impresa di Amore. Troppo rumorosa questa parola “Amore” troppo pulita per essere regalata e sporcata dai pseudo-moralisti delle cattedre di questa storia dove spesso manca la coerenza tra ciò che si pensa, ciò che si proclama e ciò che si vive. Amare: parola da sempre osannata e da molti calpestata tra i surrogati dell’odio e delle vendette. Amare, termine per dire l’indicibile, spazio dove far correre e galoppare le idee di tutti, dal bambino e all’adulto, dall’anziano e all’uomo arrivato. Amare: parola talvolta usata da Antonio per ricordare con i pennelli della speranza quella amara solitudine che non conosce più muri da abbattere e maschere da togliere troppi rugati e sudati. Amare è il contrario di ciò che si desidera, è il contrario di ciò che si impone con la forza, ecco perchè questa parola fa paura malgrado da tutti è ricercata ma da pochi vissuta alla luce delle 24 ore. Grazie, giovani che avete avuto semplicemente la forza della libertà intellettuale e avete messo nero su bianco scrivendo in questo testo le vostre storie di sempre, avete avuto sicuramente un momento di ripensamento ma noi, gente un po’ distratta, vi diciamo ancora grazie perchè silenziosamente avete avuto il coraggio e la volontà di salire sul treno dei ricordi dove i silenzi non sono mai stati d’oro. Avete interpellato le vostre coscienze, avete scavato tra le macerie delle vostre idee, avete inchiodato al muro l’uomo vecchio e oggi non vi resta che vivere sapendo che nel cuore di tutti vi è quel talento, quel tassello che serve per completare quell’unico mosaico vero, diverso e colorato, che è la vita. Non sarà facile sfogliare questo testo, ma certo al termine non possiamo che chiedere al lettore di rimanere un attimo in silenzio, di spogliarsi dai vari vestiti del critico e di commemorare quanti, presi dalla nostalgia e sostenuti dalla debolezza, non ce l’hanno fatta e hanno concluso la loro unica e irripetibile storia tra i vicoli bui e ciechi di questa società morendo di morte comune. E sono tanti. Ricordo Marco, un giovane che stanco di mentire a chi lo voleva diverso da come era disse: “Vado via, ma ci incontreremo e non sarà su questa terra, ma ci incontreremo certamente in un’altra vita là dove non ci saranno più nomi o figure da amare ma solo spazi per volare”. E qui si chiude un epilogo, forse possiamo pure fare calare il sipario, ma non dimenticare, caro lettore, che l’impresa non certo facile ma sicuramente apprezzabile e meravigliosamente riuscita da Antonio Fundarò, oggi ci interpella perchè molti non chiedono giudici che diano sentenze ma semplicemente invocano la libertà di vivere e di dialogare, di correggere gli errori con molta onestà senza nessuno che un giorno gridi “Sì a Cristo” e dopo tre secondi urla “Dateci libero Barabba”. Ecco perchè questo testo va letto con rispetto e senza condanne, forse con un po’ di presunzione possiamo dire che va rispettato senza tanti pseudo-pudori culturali. Qui c’è anche quella verità che in molti stenta a venire fuori, qui sta scritta quell’amarezza che non può ancora dar vita ad occhi spenti e cuori agghiacciati da giudizi che nessuno può avere il diritto di pronunciare proprio perchè non si è mai calato in quel labirinto dove tanti cercano l’aria per vivere e per lasciar vivere. Antonio ha percorso un iter giovanile certamente non facile, ma nel buio ha acceso tante lucciole e li ha tirati fuori una per una poichè nessuno deve avere la paura di essere vivo, nessuno deve puntare tutto sulla menzogna recitata a chiare lettere. Qui tantissimi giovani si raccontano e si incoraggiano guardandosi allo specchio, avendo l’onestà di sapersi con qualche ruga in più ma tutti accomunati da un cuore che ancora può e deve ricominciare ad amare la vita. A te, caro lettore, loro chiedono di riscoprirti goccia che malgrado gli sforzi non potrà mai comprendere in sè tutto l’oceano che circonda il quieto vivere… ma l’oceano ha bisogno, per essere tale, di tante gocce d’acqua. Ed è su questo oceano che Antonio frantuma le sue e le altrui catene perchè le ali della libertà non perdano mai la speranza e da qui inizi quel volo verso mondi nuovi dove tutto ha i colori ora tenui ora forti di un arcobaleno che è e rimane simbolo e segno di una nuova alleanza. E’ l’immenso lo spazio in cui ognuno scriva con la semplicità nel cuore; il suo messaggio di vita dove tutti possono comprendere tutto. Ma questo volo va fatto insieme, ala vicino alle ali, formando così una corona di speranza su un mondo che etichetta,tutto persino i morti ancora vivi. Sapersi coraggiosi equivale a riconoscersi utili agli altri e a se stessi, a divenire insieme portatori coerenti di una bella notizia: “Non guardare più la pagliuzza nell’occhio del tuo simile, esamina la trave che c’è nel tuo”. Se proviamo a tenere su una mano la pagliuzza e nell’altra mano una leggera trave, forse comprenderemo il male che abbiamo fatto quando, con molta ingenuità e faciloneria, abbiamo portato sul lastrico del precipizio tanti che oggi non sanno più chi sono, dove sono e perchè devono vivere questa vita tra rabbia e menzogne. Grazie, allora, diciamolo pure a chi ha messo mano a questo volume e nel più bello non si è tirato indietro, diciamolo con tutta coerenza e onestà senza tante mezze frasi, se è il caso diciamolo pure a bassa voce o con un cenno del capo, ma vi prego rispolveriamo i nostri modi di vivere, interroghiamo prima noi stessi sul segreto della nostra stanza dove nessuno può disturbare un onesto esame di coscienza, permettiamo ad ognuno di essere ciò che il cuore detta senza per questo fare un monumento a chi ama l’eccesso e il futile orgoglio. Amiamo l’amabile amando questa vita. Solo chi percepisce ciò a fior di pelle, solo chi comunica messaggi di vita e di speranza, solo questi riuscirà a riscaldare con un abbraccio chi piange per un bicchiere di alcool in più o per una dose andata male. E per fare ciò occorre solo avere occhi e vedere, avere un cuore e amare, avere braccia e spalancarle su ogni realtà, avere piedi e fare in fretta per soccorrere chi è stanco di essere ingiustamente ed ipocritamente giudicato da chi, nel buio del non senso, ne combina di peggio e poi ritorna “normale” tra gli “anormali”. E allora lasciamo a tutti, la libertà di esprimersi, invitiamo tutti a salire sul pentagramma di questa vita e cantare e suonare ognuno la propria nota nel rispetto di tutti senza sopraffare nessuno, ricompaginiamo le pagine dei nostri diari che nascondano frasi, foto, immagini e qualche lacrima sbiadita da una goccia di inchiostro nero come chi si è arreso. Se è vero come è vero che tutti siamo chiamati a dire qualcosa, è indiscusso che solo chi passa per il tunnel delle accuse, delle amarezze, dei silenzi, potrà un giorno cantare l’inno di una vittoria annunciata. I deboli diverranno certamente i forti e chi si credeva forte scoprirà in se di aver mentito in questa unica occasione di vivere la città. Molti faranno i conti con la loro solitudine, mentre parecchi lasceranno le poltrone dorate, i palchi addobbati a festa e faranno quattro chiacchiere con chi è per la strada sicuri di voler ricominciare tutto da capo. Ma ormai la vita non torna indietro e chi ha seminato raccoglierà il frutto della sua azione. E questo Antonio Fundarò lo sta intervistando negli sguardi forti e smarriti di chi non vuole mollare questa impresa che vede molti uniti a tanti per cantare insieme un inno che ancora non ha nè parole nè musica. All’autore va il merito di essere stato discreto e privo di meccanismi di difesa. Tutti possiamo ritrovarci in questo testo, riscoprire quella frase, quell’idea, quella convinzione, quella espressione che sempre cercavamo tra i tanti vocabolari del vivere ma non abbiamo mai trovato. Accogliamo, allora, con interesse l’opera di Antonio, questa raccolta di infinite e silenziose testimonianze dove nessuno può permettersi il lusso di criticare ma tutti dobbiamo essere pronti a coniare e coniugare tre verbi: amare, servire, vivere. Scinderli è killeraggio puro, sotterrarli è massacrare i silenzi urlati di molti, accettarli e cooperare insieme,solo un modo per dare casa e tetto a chi vive per le strade e sa che paure e angosce sono in agguato mentre tutti sappiamo che “dobbiamo sempre e ovunque cercare ciò che ci unisce, che ci fa veri, e non ciò che ci divide e ci porta alle guerriglie quotidiane”. A te, lettore, non un libro qualunque, ma il testamento di tanti che credono che da ogni ferita può nascere un nuovo germoglio di vita. A te il compito di coltivare questa speranza dove l’Amore può abbattere l’indifferenza... l’unico motivo perchè Antonio rompe le catene e vola su nuovi cieli, per nuove speranze per nuovi volti. Nicola Mannino