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TEATRO TOTALE di A. Petrini - Saggistica

14.00
Disponibilità: MEDIA
Codice: 01
Marca: Titivillus Editrice 2006

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Descrizione

TEATRO TOTALE



di



Alfio Petrini



Titivillus Edizione 2006



Presentazione di Giancarlo Sammartano



(docente Università Roma Tre, Corso di Laura DAMS)







Teatro Totale , un libro nella forma, per sostanza appartiene alla scena e alla scena si vota per volontario destino. Una controstoria delle poetiche, delle teoriche e delle pratiche teatrali del 900, ma anche un livret de mise en scène che guarda oltre il testo drammatico al mistero della composizione scenica. Una riflessione che nasce dalla pratica, dalla drammaturgia dell’attore, dallo sperimentalismo individuale orientato alla sapienza dell’architettura del fare . Una guida di viaggio sistematica guidata da una duplice idea: la consapevolezza –moderna- della crisi dello spettacolo, il sentimento –classico- del valore del teatro, che per vivere deve fingere di morire, interrandosi e prosciugandosi nell’essenzialità. Uno studio che nasce fuori dall’Accademia ma ne osserva le regole per eccepirle, che non vuole mettere il punto ma i due punti che aprono il dialogo e invitano all’azione. Teatro Totale è lo studio di un apprendista proletario che si fa maestro aristocratico della pratica consapevole.



Questo libro, pensato a lungo sul finire del novecento, rappresenta con molta proprietà la divaricazione –fisiologica in quegli anni di crisi sistematica- tra la catàfora (che “spinge avanti”, indicando a ciò che segue) del Teatro, e l’ anàfora (che garantisce la coerenza semantica al discorso) dello Spettacolo. E’ la convinzione, indimostrabile, che lo spettacolo sia solo la parte visibile del teatro, la parusìa di un insieme nascosto, un sistema di concezione del mondo che solo accidentalmente, e quindi per convenzione, abbia a che fare con le forme estetiche, pertinendo in realtà alle scienze del linguaggio, della psicologia, dell’antropologia. La stessa divaricazione si materializza, rendendosi per ciò stesso visibile, tra scena e libro. La scena va come sempre –metastoricamente- è andata: dall’occhio alla memoria personale. Il libro va dalle memorie collettive ad occhi che per lo più non hanno visto. Scena e libro cercano. separatamente ma concordemente, una memoria di pensiero dettato o anche solo ispirato dall’azione. Ma il tempo del teatro non è il tempo della Storia. Il tempo del teatro è più breve e più largo, una banda di trsmissione corporea che traghetta il sapere in maniera indivisibile, quindi inapplicabile fuori dal campo dell’azione. Nel tempo del teatro governano principî di orientamento diversi, relegando il contesto – la storia- in un generico “orizzonte della crisi” e selezionando la realtà secondo il principio della sua pertinenza alla natura artificiale, ma organica, della sua arte. Fedele non all’oggetto (storico) che si vuole rappresentare, ma al soggetto (metastorico) –il corpo dell’attore- scelto per rappresentarlo. Questa fedeltà alla materia, oltre i generi, le poetiche, gli stili, si vaporizza nel tempo –fiume carsico o nuvola- arca metafisica del valore del teatro, utopia di un’anima pura contro il trucco della recita occasionale. Nel novecento del nuovo teatro –non per caso chiamato il “secolo breve”- la perdita del monopolio del mercato dell’intrattenimento, generando eccezioni che sono diversità, accentua ed esaspera la divaricazione della radice del Teatro dai rami dello Spettacolo. Scena e Libro si separano per guardarsi e dialogare meglio; in qualche caso si dimenticano l’una dell’altro per potersi ri-conoscere. Il testo letterario può vivere la maturità di una vita propria per forma e senso nascosto; mentre la scena può fare a meno del testo senza rinunciare ad un suo spazio letterario, a tutta quella letteratura – storia, critica, teoresi, tecnica, memoria, racconto- che fa teatro anche senza il dramma. Tutto ciò che dalla letteratura, dai suoi miti, va in scena, dalla scena torna alla letteratura come corpo di un unico, grande mito inscenato. Nature e materiali mutevoli, che viaggiano fuori sacco, generando cultura della vita del teatro, dopo avere prodotto un teatro di vita. Il corpo (inevitabilmente) reale del libro ora sa che non può sostituirsi al corpo (volontariamente) veritiero dell’attore. Entrambi descrivono descrizioni –artificiali ma organiche- che possono stare insieme grazie al disordine temporale del teatro, cercando armonia degli opposti e conflitto dei simili. Scena e libro pensati oltre l’automatismo che va dalla pagina alla scena come progetto e vi ritorna come teoresi, pur non stando naturalmente insieme, producono nella memoria dello spettatore un senso complessivo del valore del teatro come stabilità del suo tempo contro la statuale labilità della sua storia. Una dimensione parallela, causale per tecnica ed orientata per tensione morale. Se la scena ha il suo codice di leggi applicative, il libro ne è il suo dettato costituzionale. L’una invera l’altro, questo sancisce quella in un tutto organico ed indivisibile. Il libro così letto non è più l’indice o l’epistola dedicatoria o il vocabolario del teatro, ma la mappa di un’esplorazione da farsi e rifarsi che solo sul campo dell’azione può sciogliere il suo travaglio nella scoperta del nuovo.



Quinto Orazio Flacco aveva racchiuso in tre sole parole questa straziante utopia: Non omnis moriar.



Due ritratti dell’incisore parigino Hèbert racchiudono inconsapevolmente questa idea: in un ovale Dominique, il grande Arlecchino Domenico Biancolelli, mostra oltre la cornice, come verso un ideale proscenio, la sua maschera, offrendola alla considerazione e all’ammirazione dello spettatore. E’ il gesto di un maestro che domina con il talento la sua arte, eppure consapevole del valore radicale della sua tecnica. Nell’altro medaglione Jean-Baptiste Poquelin, un Molière appena qualche anno prima étudiant di teatro, in tensione stupita si mostra esibendo a braccio teso il libro aperto di Tartuffe . La sua scrittura è una nuova maschera. La misura e il rigore del metro drammaturgico sono il nuovo artificio che regola con naturale consapevolezza la sua composizione ed azione scenica. Maschera e Libro sono così per l’attore la stessa cosa , elementi diversi e complementari, di natura artificiale e di organica precisione per evocare in scena e in memoria i fantasmi del possibile: le cose dell’altro mondo.



Teatro Totale si può leggere paratatticamente, in avanti ed indietro, in alto e in basso, come sequenze di racconto e d’immagini aperte a molteplici livelli di montaggio. Nella filigrana del libro voglio -e devo- leggere la forza e la presenza di almeno due sentimenti opposti, due utopie del novecento teatrale: la violenza frontale, politica, di un teatro per una altra polis , radicale e sotterranea, per un’epica della comprensione lucida; la delicatezza di una perejivanie , una esperienziali zzazione collettiva che cerca la verità nell’artificio, sogna l’ opravdanie , la giustificazione della credibilità del teatro in forme nuove e diverse.



Come l’ombra del cipresso di Appia , questo libro nasconde molte cose ed a molte rimanda. Deve essere letto con sguardo prospettico, come il copione di un suggeritore che è disposto a farsi suggerire, determinando – non senza eccitazione d’allegria- una salutare con-fusione di Teatro e Vita.