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Fra' cosmo da castelfranco cappuccino, al secolo paolo piazza


(visibile completo in: //xoomer.alice.it/studiomondi/piazzap.htm )


FRA' COSMO


DA


CASTELFRANCO


CAPPUCCINO,


AL SECOLO


PAOLO PIAZZA


(1560 – 1620)


 


  di Marco Mondi


      La figura artistica di maggior importanza che Castelfranco ebbe nei primi decenni del XVII secolo fu certo Pietro Damini, la cui attività pittorica si mosse certo in stretto contatto con i nuovi canoni figurativi controriformistici. Accanto, e prima, di Pietro Damini, un'altro pittore, fra' Cosmo da Castelfranco, al secolo Paolo Piazza, forse più del Damini s'impegnò a divulgare, e talvolta con ambiguità, i nuovi canoni del Concilio tridentino (sessione venticinquesima, 3-4 dicembre 1563). Se il Damini della Riforma Cattolica operò essenzial­mente in ambito locale, i confini entro i quali si mosse il pittore cappuccino vanno, come vedremo, ben al di là del Veneto.


    Stilisticamente i due artisti appaiono indubbiamente appartenere a culture diverse: il Piazza immerso nel tardomanierismo veneto nel qua­le, solo sporadicamente, talvolta con sorprendente sensibilità, riesce ad inserire stilemi moderni; il Damini, pittore sicuramente più ag­giornato alle nuove istanze seicentesche, che sa fondere un classici­smo di derivazione veronesiana con influssi diversi, emiliani soprat­tutto. Due generazioni separano i maestri di Castelfranco (Paolo Piaz­za nasce intorno al 1560, Pietro Damini nel 1592). Nonostante questo, le fonti dalle quali entrambi attingono sono sovente vicine: e sono quelle tipiche del tardo Cinquecento veneto, quelle che accomunano, usando parole di Marco Boschini, i pittori delle sette maniere . Dopo i grandi maestri veneziani del secolo (Tiziano, Veronese, Tintoretto e Bassano), le nuove generazioni non sanno che portare avanti la loro lezione, facendo prevalere, a seconda dei casi, la maniera di uno piuttosto che quella di un altro. Paolo Piazza fa parte di un gruppo d'artisti che conclude un ciclo intellettualistico "iniziato" nel quinto decennio con la crisi manieristica di Tiziano (annunciato già dalle esperienze del Pordenone e dalla presenza a Venezia di artisti come il Vasari, il Salviati o lo Schiavone), destinato a concludersi solo nei primi decenni del secolo successivo. Pietro Damini, nonostan­te la sua precoce morte (avvenuta solo una decina d'anni dopo quella del Piazza), s'inserisce nell'ultima fase di quel gruppo di pittori di maniera capaci di sganciarsi dal tardomanierismo accademico aprendosi alle novità dei . In questo senso, oltre alla comune, se pur in termini diversi, azione controriformistica, l'esposizione di Padova avrebbe potuto approfondire un eventuale rapporto tra i due ar­tisti concittadini.


    Non si dimentichi in ogni caso che Pietro Damini, allievo di Gio­van Battista Novello, conterraneo formatosi alla scuola di Palma il Giovane, lasciò Castelfranco per Padova  nel 1612, all'età di vent'an­ni con un bagaglio culturale e figurativo in corso di formazione, quando fra' Cosmo cappuccino (che, come afferma il Melchiori, studiò a Venezia , e fu tra l'altro pure at­tento ad alcune soluzioni compositive del Veronese stesso) era già ar­tista affermato richiesto e conteso in mezza Europa, autore nella sua città di una consistente mole di opere tra pale d'altare ed affreschi. Nuovi studi su Paolo Piazza, magari in occasione di una mostra (e perché no a Castelfranco?), potrebbero a tal proposito chiarirne gli eventuali rapporti, forse del tutto ipotetici.


   > .


    Alla fine del 1593, o agli inizi dell'anno seguente, come risulta dalla sua iscrizione alla fraglia dei pittori (Da Portogruaro), Paolo Piazza si trasferì a Venezia. Nella città lagunare ebbe diverse com­missioni. Alla chiesa di S. Polo sono ancora oggi conservate due sue opere databili a questo momento (il Ridolfi ricorda anche ): La predicazione di San Paolo e  San Silvestro bat­tezza l'imperatore Costantino , entrambe firmate. L'impostazione manie­ristica è sottolineata, nella Predicazione , dalla composizio­ne in diagonale che, se pur riprendendo uno schema tizianesco, viene qui complicata dalla retorica figura del San Paolo (un esempio di co­me, anche attraverso il Palma, viene filtrato il dinamismo tintorette­sco; ma una sorta di prototipo è pure la tela, con lo stesso soggetto, del Bassano) e dall'inserimento del soldato visto di spalle. Più clas­sicistici in senso veronesiano sono i profeti sulla destra; mentre la folla d'ascoltatori sul fondo ricorda l'accavallarsi di volti e teste di tante opere di Domenico Tintoretto, figlio del maestro. Veronesia­no, inteso in senso bassanesco, lo scorcio architettonico con la scul­tura muliebre nella nicchia, non scevro però da certe soluzioni del fiammingo Ludovico Pozzoserrato (LodewJik Toeput che, - Donzelli-Pilo). Saldamente più legata alle solu­zioni di genere bassanesco, sopraffatte da un conformismo aulico di tipo palmesco (Pallucchini), è la tela del Battesimo di Costantino dove ancora i modi di un Veronese tardo ed elegante si mesco­lano a torsioni tintorettesche e a un vigorismo tizianesco. I ritratti sulla sinistra, tra i quali il personaggio con gli occhiali sull'orec­chio è probabilmente un autoritratto, mostrano una maggior adesione ai canoni controriformistici.


    Le commissioni che Paolo Piazza dovette avere in questo suo secon­do soggiorno veneziano (interrotto tra il 1595 e il 1596 per dipingere il soffitto dell'Oratorio della SS. Trinità di Chioggia) dovettero es­sere piuttosto numerose: diverse sono quelle ricordate dalle fonti ed eseguite prevalentemente per chiese (oltre a S. Polo, ai SS. Giovanni e Paolo, a S. Ubaldo, a Santa Croce, ecc.); dovettero inoltre esservi un certo numero di altre opere dipinte dall'artista per committenti privati o minori, delle quali s'è ben presto persa la paternità e che probabilmente ancora oggi figurano in sale e in magazzini di musei o di raccolte pubbliche e private, nonché nel mercato antiquario, con attribuzioni sbagliate o semplicemente riportate come lavori di scuo­la.


    Che Paolo Piazza abbia lavorato per committenti privati lo prova, come ricordano i biografi, anche l'allestimento di un teatro galleg­giante, nel maggio del 1597, in occasione della > - Melchiori), prima dell'improvvisa de­cisione, di lì a qualche mese, d'entrare nell'austero mondo religioso dei frati cappuccini francescani. > (Ri­dolfi). Rodolfo II d'Asburgo (Vienna, 1552 - Praga, 1612), imperatore dal 1576, ebbe in Spagna un'educazione rigorosamente cattolica e nel suo impero favorì la Controriforma. Da sempre appassionato d'astrono­mia, di scienze ed amante delle belle arti, fece della sua corte il principale centro del manierismo figurativo tedesco, chiamando ai suoi servigi molti dei grandi artisti europei. Sotto la spinta della rifor­ma cattolica, numerosi furono i pittori esplicitamente mandati dalla Chiesa ad operare oltr'Alpe con l'intento di ristabilire un'egemonia cattolica. Fu il compito anche di fra' Cosmo da Castelfranco andare a decorare le disadorne chiese della Germania, con pitture atte a trarre per la Chiesa romana. A riprova dell'impegno reli­gioso del nostro concittadino, viene ancora il Ridolfi che sottolinea: > (Mancini). L'opera così descritta dalle fonti, assieme a diverse altre, fu proba­bilmente distrutta dopo la partenza del pittore cappuccino (Da Porto­gruaro) proprio a causa dei contrasti religiosi.


    Fra' Cosmo da Castelfranco, dal 1601 alla fine del 1607, lavorò in terra straniera lasciando numerose opere, attenendosi ad un itinerario cronologico, alla corte imperiale di Praga e per le stesse chiese del­la capitale, in Baviera, a Graz (1604) e a Monaco (1604-1606), nel Ti­rolo, a Innsbruch (1606), a Brünn in Boemia (1607), per rientrare in fine a Venezia.


    La Crocifissione di S. Pietro , dipinta per la Collegiata di S. Maria di Monaco, oggi conservata presso l'Ordinario Vescovile, mostra il ritorno del pittore a stilemi veronesiani soprattutto nei putti alati della parte superiore, (Pallucchini). Iconografi­camente inusuale nella tradizione veneta l'impianto del martirio col ribaltamento della croce, la composizione nella figura di S. Pietro rimanda piuttosto a soluzioni emiliane o addirittura romane, filtrate forse attraverso le stampe o, magari, proprio dalla diretta visione di opere italiane dipinte per Rodolfo II. La fuga prospettica dell'aper­tura dello sfondo ricorda invece direttamente quelle che Jacopo Bassa­no, i figli e la bottega avevano ideato come scenografia alle loro nu­merose pale d'altare. L'intento controriformistico, qui forse a metà strada tra un manierismo tardo e una certa vena di aggiornamento com­positivo, riveste un aspetto declamatorio atto più ad una propaganda esteriore che ad un vero rinnovamento.


    Concepita ancora secondo i modi bassaneschi, di un Bassano legato alle influenze plastiche del Pordenone da un lato e a quelle parmigia­ninesche recepite attraverso il Salviati dall'altro, è la pala con la Decapitazione di S. Paolo , sempre dell'Ordinario Vescovile di Monaco. Dipinta all'incirca nello stesso momento dell'opera precedente e avente la medesima provenienza, ne riprende anche, con architetture differenti, l'impianto nello sfondo (come si vede anche in altri lavo­ri, ad esempio, l' Adorazione dei Magi di Innsbruck), inserendo però in primo piano un personaggio di chiara derivazione veronesiana. Tanto la Crocifissione quanto la Decapitazione furono lasciate incompiute e completate poco dopo ad opera del pittore Bortolo Keidter (Da Porto­gruaro).


    Alquanto interessante è la Pietà , siglata, conservata al Ferdinandeum di Innsbruck, databile al 1606. Se la composizione ri­prende soluzioni più volte affrontate dagli artisti veneti, lo snodar­si > (Ridolfi). La prima grande mole delle pit­ture murali per Palazzo Borghese, a cui il frate cappuccino attese si­no alla primavera del 1616, coprirono una estesa superficie divisa in più sale. I temi trattati furono principalmente scene storiche alter­nate a quelle allegoriche ( Storie di Marcantonio e Cleopatra , Storie della Regina di Saba , il Ratto delle Sabine , ecc.), adornate con vari ritratti, fregi e ornamenti. Purtroppo, la tecnica pittorica adottata dal nostro concittadino, (cioè, più propriamente, a secco ; curiosamente come già, un secolo prima, un altro frate di o­rigine veneziana, Sebastiano del Piombo, aveva fatto proprio a Roma), portò rapidamente alla perdita di gran parte delle sue fatiche. Appena trent'anni dopo il Baglione annotava: > .


    A Roma, fra' Cosmo cappuccino, oltre alle pitture di Palazzo Bor­ghese, fu impegnato in altre opere, tra le quali, quella che sicura­mente può essere considerata tra le più importanti, è il Cristo depo­sto  adorato da un cappuccino della Galleria Capitolina. Il dipinto, che trova precedenti iconografici sin da Tiziano, è risolto, attraverso l'inserimento del lume di candela al centro, secondo sugge­rimenti luministici tipicamente bassaneschi, (Pallucchini).


    Nella città papale, mostrò quindi di sapersi aprire sensibilmente alle nuove tendenze artistiche, anche se ciò rappresentò solo una pa­rentesi nella sua attività. A tal proposito il Pallucchini suppone in più l'amicizia con Carlo Saraceni: .


    Finite le principali decorazioni di Palazzo Borghese, nel 1616, fra' Cosmo da Castelfranco venne inviato a Terni, in Umbria, a lavora­re ad un grande Giudizio universale per il convento di S. Martino, e successivamente ad Amelia, ed in fine a Foligno.


    Fu quindi richiamato a Roma ad ultimare, con nuove pitture, i la­vori di Palazzo Borghese
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