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Noè bordignon: la tradizione nella geniale rappresentazione del realismo veneto del nostro entroterr


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Noè Bordignon: la tradizione nella geniale rappresentazione del Realismo veneto del nostro entroterra

(da MARCO MONDI, Noè Bordignon: la tradizione nella geniale rappresentazione del Realismo veneto del nostro entroterra , Rino Bordignon, una promessa mancata e Luigi Stefani (1899 - 1987) , in San Zenone degli Ezzelini Terra di Artisti , catalogo a cura di Comitato San Zenone Terra d’Artisti e Gruppo d’Arte Noè Bordignon, San Zenone degli Ezzelini, Villa Marini-Rubelli, 16 settembre 2011 – 8 gennaio 2012, Ramon di Loria, 2011, pp. 104-123)



Nell’ambito del Realismo veneto che, dagli anni Settanta del XIX secolo, diviene l’espressione più importante della nostra pittura, la figura artistica di Noè Bordignon spicca, e vien da dire quasi solitaria, per la genuina rappresentazione della vita quotidiano-vernacolare del nostro entroterra, risolta con una qualità pittorica e compositiva che non teme il confronto con quella di altre personalità ancora oggi più note, conosciute e studiate. Questa geniale rappresentazione, sin dai primi anni d’attività dell’artista, con un crescendo evolutivo da vero grande maestro, espresso tanto nel ductus pittorico-coloristico quanto nell’impianto compositivo-architettonico, si è avvalsa di una lettura assai acuta e penetrante della gloriosa tradizione artistica veneta, lasciandoci alcuni dei più alti brani interpretativi, in questo senso, raggiunti dalla pittura veneta tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi anni del secolo successivo, delle lezioni di Giorgione, Tiziano, Paolo Veronese, Jacopo Bassano o Giambattista Tiepolo, reinventati nell’ambito del Realismo.


Noè Bordignon, nato a Salvarosa di Castelfranco il 3 settembre 1841, quarto di otto figli, non ebbe un’infanzia facile. La madre, Angela Dorella, morì a trentasette anni, nel 1848; il padre, Domenico Lazzaro, sarto, fu costretto a ricorrere all’aiuto della sorella Maria Luigia per crescere i figli, in una situazione economica ben poco rosea. Trasferitesi ad abitare a Castelfranco, nell’abitazione ancora oggi esistente in Borgo Treviso (e affrescata più tardi dal pittore), il giovane Noè poté frequentare la locale scuola, dove fu subito notata la sua propensione all'arte, tant'è che non tardò a distinguersi nel disegno ornamentale. Terminati questi primi studi, fu solo grazie all'interessamento e al sostegno economico di alcuni privati e dello stesso Comune che poté iscriversi e frequentare la Regia Accademia di Belle Arti di Venezia.


L’ambiente artistico trovato da Bordignon nella città lagunare, oramai alla vigilia della sua annessione a quello che sarà il Regno d’Italia, era un ambiente fervido e ricco di molti stimoli; tuttavia, la cultura ufficiale dell’epoca, quella che incontrò e nella quale si formò, era ancora tutta farcita di un Romanticismo “provinciale” che il nostro territorio, come gran parte di altre zone d’Italia, non riuscì mai a vivere e assimilare completamente così da poterlo esaurire e criticamente sorpassare. La ragione principale, prima che artistica, fu sociale: il passaggio dal Vecchio Regime a una società moderna fu lento, spesso contraddittorio, e soprattutto legato a un forte conservatorismo di stampo aristocratico e borghese; così, il Romanticismo non trovò da noi mai lo sfogo che trovò altrove e si trascinò per tutto l'Ottocento (e parte del Novecento), affiorando continuamente in modo a volte più, a volte meno marcato. All’Accademia, dove il giovane Noè seguì con particolare attenzione i corsi di Michelangelo Grigoletti, Carlo De Blaas e Pompeo Marino Molmenti, e dove, pur non tutti coetanei, suoi compagni di studio e amici furono personalità quali Guglielmo Ciardi, Luigi Nono o Giacomo Favretto, gli insegnamenti vertevano a educare i giovani pittori a un giusto apprendimento delle tecniche esecutive e a un presto discusso, ma voluto e acclamato dagli ambienti istituzionali, "stile" figurativo didatticamente ispirato ai modelli dei grandi artisti del passato nella preoccupazione, per lo più, di ottenere una resa fedele, quasi oleografica, della rappresentazione. L'ideale del bello fu, per certi versi, l'ideale della somiglianza a tutti i costi adattata a tematiche ridondanti di motivi storico-mitologico-classiccheggianti, non senza il grido "petrarchesco" di . L'attenzione si concentrò, allora, sul soggetto da trattare, enfaticamente farcito d'ogni genere di pregiudiziale filosofica, teorica, poetica, morale, religiosa, politica, come se il soggetto, così teatralmente mascherato, fosse l'unico fattore in grado di innovare e differenziare un'opera da un'altra. Michelangelo Grigoletti era un delicato ritrattista dotato di una sensibilità di ascendenza ancora settecentesca, Carlo De Blaas un ritrattista romantico inventore anche di suggestive scenografie di gusto palesemente mitteleuropeo e Pompeo Molmenti un artista sotto certi versi rivoluzionario all’epoca, in città, per la sua capacità di esprimersi in un modo nuovo, aperto a una resa realistica particolarmente attenta alla nuova vita borghese, capace però, al tempo stesso, di raffigurazioni farcite di storia e di letteratura com’è il suo capolavoro, La morte di Otello (1869-1879). Furono tutti maestri insigni, accanto ai quali lavoravano anche pittori come un Domenico Bresolin, ad esempio, che amava tener lezioni portando i propri allievi a dipingere all’aria aperta, o si affiancavano personalità come Camillo Boito, capace di annotare che « La grandezza dell'arte veneziana vecchia è un impiccio alla beltà dell'arte veneziana nuova. I pittori non hanno l'animo di rompere la catena della tradizione; non hanno l'animo di guardare il vero in faccia » ( La pittura d'oggi a Venezia , 1871). Se per tanti pittori «la grandezza dell'arte veneziana vecchia » fu davvero un limite, per Noè Bordignon, invece, rappresentò un humus fecondo in grado di garantirgli la possibilità d’intraprendere un dialogo sempre sincero, profondo e del tutto moderno col suo “mestiere” d’artista, un dialogo che gli permise non solo di « guardare il vero in faccia » ma di riviverlo nella sua pittura.


Dei suoi primi anni di attività, si sa ben poco. Un nudo accademico in collezione privata, forse dei disegni, alcuni ritratti, però, ci fanno supporre sensatamente che i suoi più precoci e impegnati lavori non dovessero poi scostarsi di molto dal gusto della pittura ufficiale dell’epoca, appresa dagli insegnamenti dei suoi maestri. La recente tesi di laurea su Noè Bordignon di Emiliano Covre e il suo illuminante scritto pubblicato in questo catalogo (al quale si rimanda e in merito al quale lo ringrazio per avermene concesso la lettura prima della completa stesura del presente testo), però, ci forniscono importanti e nuovi elementi per gli anni immediatamente successivi, permettendoci di chiarire le vicende che gli meritarono il pensionato triennale a Roma tra il 1871 e il 1874, nonché fornendoci un elenco di opere che il giovane artista aveva realizzato in quegli anni. I contributi del dott. Covre, inoltre, ci consentono di meglio interpretare la volontà di Bordignon nel voler uscire dai tradizionali schemi di apprendimento accademico per rivolgere la sua attenzione a una concezione più moderna del fare artistico, aperta all’esigenza d’improntarne i lavori su di una visione tratta dal vero e all’aria aperta tanto della natura quanto dell’uomo, confermandoci così una predisposizione precoce verso il Realismo.


Il viaggio di studio a Roma rappresentò un momento fondamentale non solo di questi suoi primi anni d’attività, ma per la sua intera carriera d’artista. Infatti, in un certo senso come fu per Tiziano, quando tre secoli prima se andò a Roma ospite di papa Paolo III Farnese a “esaurire” la sua cosiddetta “crisi manieristica” per poter finalmente reinventare il colore della pittura veneta, pure per Noè Bordignon questo lungo pensionato nella capitale (non senza rapporti con la pittura napoletana e con l’ambiente artistico toscano e dei Macchiaioli), oltre alla necessità di confrontarsi con una visione realistica tratta en plein air , rappresentò anche l’occasione di vedere, conoscere e studiare l’arte allora più in voga del Romanticismo italiano, con una particolare attenzione verso Puristi e Nazzareni, e un passato artistico-culturale straordinario, che spaziava dall’antichità per antonomasia al Rinascimento di Michelangelo e Raffaello, dal realismo di Caravaggio al classicismo dei Carracci, di Reni e di Poussin, dal trionfo del Barocco e di Bernini all’ambiente dell'Accademia di Francia e delle schiere dei pensionanti francesi al Prix de Rome , da David a Ingres. Un universo figurativo, insomma, che gli permise di dar sfogo a un apprendimento pittorico dal quale, gradualmente, come fu per il cadorino, ritornerà a sentirsi e a voler essere pienamente veneto, nel colore e nella composizione.


Nel 1874, al suo rientro a Castelfranco e a Venezia, pertanto, Bordignon è un giovane artista che ha maturato molteplici esperienze, utili a formargli una personalità pittorica capace di permettergli di affrontare, su tela e in affresco, lavori anche impegnativi e di rilievo. Poche, però, sono ancora una volta le opere che ci permettono di indagare bene la sua personalità in questi anni. Se in alcuni ritratti vivono ancora preponderanti gli insegnamenti appresi all’Accademia, con certe leziosità nelle vesti che rimandano al Grigoletti, nella Dama a cavallo con paggio della centina sopra il portale del palazzetto Martini-Stecca in Castelfranco, da alcune fonti datato addirittura al 1870, prevale un'aggraziata eleganza storicistica di gusto giorgionesco-carpaccesca, mentre negli affreschi del pronao della chiesa di Santa Maria Nascente della Pieve Nuova, sempre in Castelfranco, è maggiormente evidente l'influenza di un Romanticismo di stampo purista e d’ascendenza romana.


Nonostante che nel frattempo avesse aperto uno studio a San Vio, sembra che nell’Ottavo decennio dell’Ottocento Noè Bordignon ricevesse buona parte dei suoi incarichi di lavoro più importanti proprio nell'ambito del territorio che da Castelfranco si estende fino a Bassano e alle porte di Schio da un lato, a Vittorio Veneto e all’entroterra della più vicina provincia di Venezia dall'altro. Di grande rilevanza a tal riguardo, inoltre, fu la stima di amici e ammiratori, come quella profonda e cordiale con la poetessa Enrichetta Usuelli Ruzza e con la sua famiglia, con lo scultore Serafino Ramazzotti e col pittore Andrea Favero. Furono proprio questi amici, che in più occasioni lo invitarono a fermarsi nei loro possedimenti di San Zenone, a essere il probabile tramite dell’affidamento del complesso ciclo in affresco della locale parrocchiale, che lo vide impegnato per circa un decennio, sino al 1882. A tal proposito, vale la pena soffermarsi su alcuni disegni e bozzetti esposti in mostra, per meglio vedere come Noè Bordignon usasse affrontare i lavori in affresco e, quindi, comprendere meglio la sua arte. Lo Studio per "La gloria del Vescovo San Nicolò" per l’affresco nella chiesa parrocchiale di Monfumo (tav. xx), del 1877 circa, ci mostra come, pur rientrando in un modus operandi piuttosto tradizionale e comune all’epoca, l’artista ideasse la composizione partendo dall’elaborare la raffigurazione d’insieme attraverso veloci e rapidi schizzi atti a delineare l’opera nelle sue parti salienti. Sono prime idee che possono subire in fase di lavorazione talvolta anche profondi ripensamenti, ma che lo mostrano tutte artista già maturo. Così come in altri studi per affreschi, nello Studio per "La gloria del Vescovo San Nicolò" in particolare, si riscontra una maestria esecutiva caratterizzata da una frizzante e sciolta gestualità del segno grafico, da una sapiente ricerca luministico-cromatica-chiaroscurale delle acquerellature e da una complessità compositiva risolta con un ritmo sinuoso e ascendente da rappresentare uno dei tanti felici esempi di come l’artista abbia saputo leggere in profondità le ingegnose architetture figurative del nostro glorioso passato, di Giambattista Tiepolo nella fattispecie. Una volta chiarita al meglio la composizione, Noè Bordignon passava a sviluppare i particolari delle singole parti in disegni talvolta anche ben dettagliati, come si può vedere nello Studio di figura maschile per la Resurrezione della Carne per la chiesa di Pagnano d’Asolo (tav. xx), del 1874, o negli studi per il Giudizio Universale della parrocchiale di San Zenone (tavv. xx, xx, xx), della fine del decennio. In questi, prevale una maggior lucidità descrittiva, quando serve coinvolgente e drammatica, dove il tratto tipicamente veneto del segno trova essenzialità di positure d’ascendenza purista e ombreggiature e lumeggiature talvolta “solari” e limpide, memori delle esperienze romane. Si noti come, per gli studi del Giudizio Universale , quell’evidente influenza michelangiolesca che pervade l’intera opera in affresco, sia qui alquanto smorzata a favore di una liricità più coloristico-luminosa. La quadrettatura, infine, si rendeva necessaria per riportare la composizione definitiva del singolo particolare sul cartone da trasporto, al fine di poterne effettuare lo spolvero sull’intonaco da affrescare. Lo sviluppo dell’ideazione poi, e sovente al tempo stesso, trovava le soluzioni cromatiche e di luce necessarie per mezzo della realizzazione di bozzetti. Nel davvero straordinario bozzetto per il Gesù figlio di Dio del soffitto della parrocchiale di Montaner (tav. xx), del 1877 circa, Noè Bordignon risolve l’architettura compositivo-cromatica della raffigurazione dandoci ancora una volta un saggio esemplare di come la nostra gloriosa tradizione pittorica sia ben più stimolo e geniale concordanza d’ispirazione che limite: colto con un’efficace prospettiva dal sotto in su, il colore modella il cartone con pennellate sciolte e decise, capaci di plasmare la composizione in un crescendo di ricerca luministica fatta tutta di materia cromatica, che fin quasi arriva a una deflagrazione che abbaglia là dove appare la figura del Padre Eterno. Tanto nelle figure del primo piano quanto e soprattutto nell’impasto luminoso dell’apparizione di Dio, ci troviamo una volta ancora davanti ad un saggio che non sarebbe dispiaciuto al Tiziano dell’ Annunciazione di San Salvatore a Venezia; mentre lo svolazzo degli angeli, con le loro gambe ardite e le ali spianate, una volta in più riporta al Tiepolo padre. La stessa felicità esecutiva nella ricerca formale e luministica, accende le Figure in gloria della Civica Raccolta Comunale di Castelfranco Veneto (tav. xx), mentre una scioltezza, se possibile, ancora più fresca e frizzante, quasi come un Boldini permeato da una moderna gestualità espressiva, caratterizza lo Studio per figura femminile allegorica (1896 circa) di una facciata di casa Canevaro-Passarin in Bassano del Grappa




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