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Il museo civico di castelfranco veneto
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Luoghi, raccolte e collezioni in Castelfranco prima della fondazione del Museo
di Marco Mondi
La fondazione di un museo civico nel secolo scorso può certamente essere vista come il raggiungimento di un grado di maturità socio-culturale grazie al quale le idee informatrici dell'illuminismo del razionalismo e del positivismo, subito investite anche da intenti ideali e didattici, vengono conglobate e applicate in un'istituzione che ha, per statuto, carattere pubblico-educativo e al contempo scopo di raccolta, conservazione e valorizzazione di un patrimonio culturale che gli ineluttabili eventi storici del momento rischiavano di compromettere a volte nella sua stessa integrità fisica. Ma non fu solo questo, come vedremo più avanti nella fattispecie cittadina, specchio quest'ultima di un fenomeno essenzialmente italiano quale fu la nascita dei musei civici al seguito dell'unità nazionale, in un territorio geografico che si racchiude prevalentemente proprio nell'Italia settentrionale.
Sebbene l'istituzione museo trovi, a livello italiano ed europeo, origini ben più antiche e possa spesso essere fatta coincidere con la storia del collezionismo stesso, particolari avvenimenti, talvolta locali tal'altra "nazionali", hanno fatto sì che durante il secolo scorso si giungesse gradualmente a sentire il bisogno di un luogo ufficialmente destinato a rappresentare pubblicamente la ricchezza culturale (nel senso più ampio del termine) passata e presente di un determinato territorio geografico. Già nella seconda metà del XVIII secolo, la scelta della Serenissima Repubblica di sopprimere, talvolta con la conseguente demolizione fisica dei locali, alcune congregazioni religiose, aveva dato inizio a una dispersione del patrimonio storico artistico che veniva così trasferito, dopo secoli, altrove. La successiva caduta dello Stato di San Marco e l'invasione dell'ideologia rivoluzionaria francese rielaborata dall'allora vincente logica napoleonica, acuì sensibilmente nel volger di pochi anni la soppressione di altre congregazioni religiose, perpetrando sovente, tanto ai danni dei luoghi pubblici quanto di quelli privati, vere e proprie asportazioni forzate, rapine, requisizioni. L'avvento del dominio austriaco, inoltre, nonostante il suo benefico riassetto burocratico-amministrativo, fomentò per oltre cinquant'anni in maniera sempre più incalzante un sentimento di amor patrio che condizionò non poco il sorgere dei musei civici. La tanto bramata unità d'Italia infine, per la quale, non si dimentichi, Castelfranco ebbe per il Veneto un ruolo attivo, portò alla volontà di ricostruire e di risistemare diversi edifici pubblici, privati e religiosi, a cui seguì il trasferimento di parte delle ricchezze là contenute pure nel Museo cittadino. Va ancora ricordato, per questo genere di lavori in Castelfranco, che il Settecento fu il secolo del cenacolo riccatiano, di tutti coloro cioè che nell'orbita delle idee degli eruditi componenti della famiglia Riccati contribuirono di buon grado a dare alla città l'aspetto architettonico-urbanistico tutt'oggi in parte visibile e vivibile.
Di fatto, proprio sotto l'influsso più o meno direttamente determinante dei Riccati, nella prima metà del XVIII secolo Castelfranco vide abbattere l'antica chiesa "di dentro" e sorgere la nuova fabbrica del Duomo 1 . Urbanisticamente, questo rappresentò un intervento di notevole portata: le parti più sporgenti degli avancorpi di casa Marta, oggi Casa di Giorgione, vennero amputati; parte della cinta muraria nel suo lato meridionale venne abbattuta per dar spazio all'abside della nuova architettura; il piccolo oratorio del Cristo si trovò rilegato in uno spazio angusto, mentre fu risistemata la facciata della casa domenicale dei Riccati, destinata a diventare in seguito la nuova sede del Santo Monte dei Pegni; infine, negli anni Venti del secolo scorso, il vetusto edificio del Santo Monte, venuto infelicemente a trovarsi tra la facciata della settecentesca chiesa e l'originario, sebbene riadattato nei secoli 2 , Palazzo Pretorio, venne demolito 3 . Verso la metà del XVIII secolo si iniziarono i lavori per la costruzione del Teatro Accademico, sede all'inizio dell'Ottocento prima dell'Accademia dei "Capponici" e poi di quella dei "Filoglotti" 4 ; l'edificio verrà ristrutturato dopo circa cent'anni dalla sua costruzione e reinaugurato nel 1858 5 . Fuori dalle mura, molte facciate di case e di palazzi vennero rinnovate 6 , e ristrutturate, o ricostruite, alcune chiese 7 . Francesco Maria Preti elaborò un progetto di ristrutturazione di Palazzo Cornaro "al Paradiso" 8 ; mentre, sempre su progetto di questi, si iniziarono i lavori per la costruzione della nuova sede dell'Ospedale di San Giacomo 9 , poi trasferito nel dismesso convento dei Padri Serviti. Di gran parte di questi interventi il Museo oggi ne conserva diverse testimonianze, alcune delle quali esposte in mostra. Dei Riccati ancora, grazie alla recente donazione (1990) fatta dal conte Valperto degli Azzoni Avogadro 10 , la Raccolta Comunale è venuta in possesso di sei dipinti della più vasta galleria dei ritratti di famiglia da secoli custodita nel palazzo di borgo Treviso 11 . E' da augurarsi a tal proposito che la parte più significativa del ricco patrimonio riccatiano presente in Castelfranco, biblioteche e palazzo compresi, possa in futuro venire acquisito dalla città, considerata la sua notevole importanza sotto il profilo artistico, storico e documentario.
Nella seconda metà del XVIII secolo 12 (1769) la Serenissima Repubblica decise la soppressione (attuata tra il 1770 e il 1793) in tutto il Veneto di oltre un centinaio di comunità religiose 13 . A conseguenza di ciò, in quegli anni a Castelfranco vennero soppressi il monastero dei Servi di Maria 14 , annesso al Pio Ospedale di San Giacomo, il convento dei Padri Cappuccini 15 , che sarà allora adibito a nuova sede del Pio Ospedale, il convento della Congregazione degli Oratoriani 16 , il monastero di Sant'Antonio abate dei Minori Conventuali di San Francesco 17 ed il monastero dei Reverendi Padri Zoccolanti della Riforma di Sant'Antonio 18 . Dopo la caduta della Repubblica Veneta, nel 1808 verrà sciolta la comunità delle monache del Redentore e di Santa Chiara, il cui convento sarà di lì a poco adibito a caserma militare 19 . Come nelle altre parti d'Italia, la soppressione di ordini, congregazioni, parrocchie, sinecure, commende ecc., spesso seguita dall'abbattimento dei relativi locali, anche nella nostra città portò ad una mobilitazione delle ricchezze da loro custodite. Con ogni probabilità, infatti, diverse delle opere antiche oggi in possesso del Museo, pur magari attraverso più passaggi, devono avere questa provenienza 20 .
Altre opere poterono giungere al Museo dalle antiche dimore o da civici luoghi abbattuti nel secolo scorso o prima ancora. La demolizione di villa Soranza 21 , ad esempio, può aver comportato la dispersione del patrimonio in essa contenuto che, a causa dei successivi passaggi di proprietà e della perdita delle antiche e vecchie documentazioni, può essere in minima parte giunto anche al Museo, senza fino ad oggi averne potuto rintracciare la vera provenienza. La formazione stessa di quella che è attualmente la vera "Pinacoteca" cittadina, la raccolta presente in Duomo e nella sua sacrestia ormai da quasi due secoli, trova uno dei fattori di ampliamento proprio dalla scomparsa della Soranza: da lì in effetti giunse, grazie al conte Filippo Balbi e al dott. Francesco Trevisan 22 , uno dei nuclei di maggiore ed universale qualità di quella raccolta, gli affreschi del Veronese e dello Zelotti. Altre demolizioni e costruzioni si legano alle vicende del Museo, come quella del nuovo Municipio che, sorto nella seconda metà del secolo scorso al posto dell'antico Palazzo Pretorio, non può non essere vista in relazione all'esistenza del Museo stesso, che proprio nelle sale del Municipio trovò la sua primissima collocazione; sale che tutt'oggi conservano ancora non poche opere della Raccolta, mentre altre, un tempo là custodite, si trovano ora collocate altrove 23 .
L'esistenza, inoltre, nel secolo scorso di cenacoli come quello del conte Giovan Battista Barisan 24 , che raggruppò attorno a sé artisti tra i quali il Canal, il Borsato, il Bevilacqua, il Chiarottini, o di avvenimenti come la già citata ristrutturazione del Teatro Accademico 25 , di villa Revedin-Bolasco 26 , e altri edifici ancora, oppure della risistemazione di giardini pubblici e di parchi privati, della costruzione del passeggio Dante 27 e dell'innalzamento del Monumento a Giorgione 28 , furono momenti tutti che, direttamente o indirettamente, lasciarono una loro testimonianza nella Raccolta museale.
Ancora, lasciti, donazioni, acquisti da privati o dal mercato antiquario furono ulteriori canali attraverso i quali il Museo venne in possesso di altre opere un tempo facenti parte di raccolte private locali. Numerosissime sono le lettere scritte nel tempo dai conservatori del Museo quale ringraziamento per aver permesso l'acquisizione di opere provenienti verosimilmente da vecchie e da antiche raccolte della città. Tra queste, la collezione che più meriterebbe un approfondito studio fu certo quella di Luigi Tescari, appassionato collezionista, soprattutto di dipinti, che poteva vantare nella seconda metà del secolo scorso una vastissima raccolta formata da oltre 370 opere dove figuravano, come risulta dal catalogo pubblicato nel 1875 29 , secondo le attribuzioni di un tempo, nomi quali Mantegna, Carpaccio, Giorgione, Tiepolo, ecc. 30
Questa lunga, seppure sintetica, disquisizione sulle possibili collocazioni delle opere oggi custodite nella Raccolta Comunale, prima ancora della fondazione del Museo, serve certo anche per evidenziare come la storia di una siffatta istituzione, soprattutto nella sua veste civica, non possa né debba scindersi dalla storia del territorio e della città in cui sorge.
La nascita del Museo
Tra la documentazione del Museo che si conserva presso la Biblioteca Comunale, tra i cosiddetti Autografi , così come anche in altre collocazioni, figurano diversi scritti d'epoca nei quali si raccontano fatti e imprese di coloro che, di Castelfranco o legati a Castelfranco, ebbero un ruolo attivo contro l'oppressione dello straniero, o che aderirono al Comitato segreto di liberazione 31 . I nomi di Vincenzo Pillan 32 , di Antonio Guidolin dei Mille 33 , di Antonio Turcato 34 o del patriota e scrittore Arnaldo Fusinato 35 , sono solo quelli che maggiormente risplendono negli avvenimenti eroici di quegli anni; ma dietro a loro si stende tutta una schiera più ampia di figure che, seppure minori, dettero però il loro sentito contributo per il raggiungimento della tanto agognata libertà: un piccolo, tuttavia sintomatico, esempio di ciò è rappresentato dal Tricolore che si conserva al Museo, ricamato a mano dalle donne di Castelfranco con la scritta , che doveva essere donato a Garibaldi in occasione della sua venuta in città. La costruzione dello stesso passeggio Dante deve essere intesa, oltre che come un intervento di pratico arredo urbano, anche come una forma di rivendicazione dello spirito nazionale di fronte al dominio austriaco: e i festeggiamenti per il sesto centenario della nascita di Dante Alighieri non furono certo, in tal senso, un pretesto per la sola Castelfranco!
Dopo il voto plebiscitario del 1866 che sancì l'adesione del Veneto al Regno d'Italia, al seguito del quale il conte Francesco Revedin ospitò anche nella sua dimora in Castelfranco il principe Amedeo di Savoia 36 , nonostante le divergenze politiche tra i conservatori e i liberali, lo spirito patrio, per tanti anni costretto a muoversi in ombra, poté finalmente trovar un suo sfogo 37 . Molti dovettero essere i privati che raccolsero nelle loro abitazioni documentazione e oggettistica varia sulla lunga guerra per l'Indipendenza. Tant'è vero che nel 1884 il Comune di Padova chiese a quello di Castelfranco, (continua in //xoomer.alice.it/stmondi/museocomunemonditesto.htm )
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