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I bronzi della bottega di nicolò roccatagliata per il decoro e l’arredo di palazzi e ville


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Sezione 3. I bronzi della bottega di Nicolò Roccatagliata per il decoro e l’arredo di palazzi e ville


Le enormi ricchezze accumulate dalle famiglie dell’aristocrazia veneziana con i commerci, avevano permesso loro un tenore di vita da sempre molto alto. Avere dimore lussuose con sfarzosi saloni di rappresentanza era talvolta un bisogno legato allo stato sociale ma anche alla loro attività di mercanti, che necessitava, ieri come oggi, di trasmettere un’immagine di solidità, professionalità, affidabilità ed efficienza. Quel tenore di vita raffinato, ricercato ed elegante, dalla capitale si rifletteva sulla provincia. In aggiunta a quella delle istituzioni pubbliche e religiose, ciò faceva sì che vi fosse una forte richiesta interna di ogni genere di prodotti. Come già visto, poi, la condizione di “Stato da mar” della Repubblica si stava trasformando gradualmente in “Stato da terra”, e ciò, oltre che in agricoltura, si traduceva anche in un forte impulso edilizio e di consolidamento dell’industria locale, in continua espansione e rinnovamento tecnico e tecnologico.


Il passaggio dal Rinascimento al Barocco attraverso il Manierismo, espressione del passaggio dalle Signorie alle monarchie asso lute, da noi si manifesta in ritardo rispetto ad altre zone d’Italia e d’Europa. L’attività di scultore bronzista di Nicolò Roccatagliata, ben approfondita da Franca Pellegrini nel suo contributo, si può collocare pertanto nell’ambito del tardo Manierismo veneto e trova la sua clien tela ufficiale soprattutto in ambito ecclesiastico, mentre parte della sua produzione va a soddisfare le esigenze di quella ricca aristocrazia cittadina e nobiltà di provincia che ricerca, anche a livello collezionistico, opere di grande valore decorativo, spesso di carattere classicheggiante o mitologico (sul gusto per le antichità, dalle quali si usava pure “tirar calchi”), ma utili ad usi d’arredo e impieghi pratici, come decorazioni per mobili, alari da camino, battenti e maniglie di porte, calamai, lucerne, campanelli, candelieri, bruciaprofumi o mortai. Un genere di attività scultorea, si può dire, in buona parte dedicata alle arti applicate e anche, come visto per i Bassano, a lavori più strettamente artigianali. Trattandosi di lavori comunque tecnicamente impegnativi, tutti i collaboratori dovevano essere ben capaci in ogni fase della lavorazione e saper anche intrattenere i giusti rapporti con la committenza e con le collaborazioni esterne. Le dimensioni generalmente ridotte delle opere, inoltre, e la loro riproducibilità facilmente seriale (aspetto assai interessante nel contesto di questa mostra), permettevano pure una realizzazione senza che a priori vi fosse un ordine preciso, con le conseguenti difficoltà poi della loro collocazione nel mercato, sebbene la loro diffusione e la loro circolazione sia stata sin dall’origine sempre piuttosto consistente, al punto da accentuare alquanto, stilisticamente, reciproche influenze tra artisti o scuole anche geograficamente molto lontane.


Il capobottega ricercava e riceveva quindi le richieste, discuteva col committente come e cosa realizzare, mostrandogli magari modelli di opere appositamente tenuti allo scopo, o primi studi o abbozzi in disegno, e forse poi anche in bozzetti plastici; su queste prime idee, a volte il committente faceva fare eventuali modifiche. Ed era sempre il capobottega a decidere la produzione di opere fatte senza committenza iniziale, prevedendo già come, a chi o attraverso chi venderle. Dopo di che, venivano realizzati disegni preparatori più tec nici, sui quali i lavoranti di bottega iniziavano i modelli o le parti necessaria alla vera e propria fusione, che l’artista curava direttamente nelle fasi finali. La fusione poteva essere a cera persa: su una base generalmente d’argilla, veniva modellato il soggetto desiderato con la cera, successivamente ricoperto con terra refrattaria nella quale si aprivano dei canaletti di scolo attraverso i quali, cotto al forno l’insieme, la cera liquefatta fuoriusciva lasciando il vuoto che si riempiva di bronzo fuso; distrutto l’involucro si recuperava il bronzetto. Questo metodo permetteva la realizzazione di un unico esemplare. Al contrario, si potevano ottenere numerosi esemplari uguali di bronzetti utilizzando il metodo di fusione a tasselli, che prevedeva l’esecuzione di un modello in argilla dal quale si ricavava una forma in gesso scomposta in vari tasselli, all’interno della quale si stendeva uno strato di cera e il tutto si riempiva di terra; tolti i tasselli, la cera veniva accuratamente rifinita e ricoperta da uno strato d’argilla sul quale si praticavano dei canaletti di scolo e degli sfiatatoi; si versava dentro il bronzo fuso, che andava a prendere il posto della


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