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L’imprenditoria artistica all’epoca dei comuni e delle signorie: dal secolo dell’anno mille al primo
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Sezione 1. L’imprenditoria artistica all’epoca dei Comuni e delle Signorie:
dal secolo dell’anno Mille al primo Rinascimento
è triste constatare, oggi, che uno dei principali problemi di questo nostro Veneto, con enormi conseguenze anche in campo eco nomico, poteva essere risolto semplicemente tornando a soluzioni vecchie di duemila anni, e ciò quand’era ancora possibile, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso: mi riferisco alla viabilità, che avremmo tracciata con delle strade drittissime, veloci e sicure, se solo si fossero ripristinate, con autostrade, le antiche vie romane.
L’Impero Romano, almeno per l’Occidente, ha continuato per secoli e secoli a far sentire la sua influenza, andando ben al di là del suo crollo ufficiale nel 476 d.C., l’abbiamo appena visto. Le invasio ni barbariche, spingono le popolazioni a trovar rifugio in zone più sicure rispetto alle città, che si rivelano facilmente raggiungibili proprio grazie anche all’efficiente rete di comunicazione: località isolate in pianura, boschi, alture e montagne o, e questo segnerà la nascita di Venezia, lagune, divengono luoghi dove costruire rocche, fortezze e castelli dominati militarmente dalle famiglie più potenti che da lì governano i loro feudi. Disboscamento e cura delle campagne vengono trascurate, ed il paesaggio diventa impervio. Roma, come città simbolo, viene gradualmente sostituita dal Cristianesimo con la “Città Celeste”, nuova capitale ideale e luogo di comunione dei santi. Nelle città sempre più fortificate, con una popolazione decimata anche da carestie e malattie (conseguenza diretta delle invasioni), gli edifici romani si trasformano in edifici cristiani: le basiliche in chiese, le terme in battisteri, il foro in piazza, il cardo e il decumanus in sinuosi vicoli, più facili da difendere. Il Cristianesimo tende a fare degli aspetti negativi della Roma antica la virtù di una nuova concezione spirituale e sociale, di solidarietà e di amore: il cristiano visita gli am-malati, accudisce agli orfani e le vedove, sfama gli affamati, prega per sé e prega per gli altri. I príncipi del Cristianesimo sono i monaci ed è nei monasteri, dove la gente che fugge dalle città trova rifugio, protezione e garanzia di sussistenza, che si conserva la cultura del passato, con biblioteche e attività produttive. Il monastero, in un certo senso, conserva anche la cultura della città, modificandola alle nuove esigenze. La struttura stessa della città romana, vede, nella pianta dei monasteri, l'incrocio tra cardo e decumano trasformarsi simbolicamente in croce ed il foro trasformarsi in navata di chiesa, in chiostro, in hortus conclusus , senza però perdere la sua funzione sociale, economico-produttiva e di luogo di riunione, non solo religiosa: sotto tutti gli aspetti, spirituali, culturali, artistici ma anche topografico-urbanistici, edilizi, sociali, economici, l'esperienza di vita nei monasteri è fondamentale per la città del medioevo, in cui confluisce. La città “aperta” romana si trasforma in una città chiusa da forti mura difensive, che tende ad isolarsi dal pericoloso mondo che la circonda. Si diffonde un senso di anarchia contro la quale bisogna reagire, soprattutto da parte della Chiesa, per cui i vescovi, che si affiancano ai signori feudali nella gestione del potere, assumono sempre maggior importanza.
Le invasioni barbariche portano ad uno stravolgimento dell’assetto geopolitico di molti territori e solo al loro completo cessare, sul finire del IX secolo, dopo le scorrerie degli Ungari, la città torna ad essere polo d’attrazione per la popolazione e volano propulsivo per una nuova rinascita civile. L’aumento demografico fa crescere le dimensioni delle città che devono ampliare le loro mura per far sorgere nuovi quartieri. S’innesca così un circolo virtuoso che dà uno straordinario impulso ad ogni forma produttiva: l’aumento di popolazione fa crescere il bisogno di generi alimentari e di altre necessità, non ultime quelle edilizie, col conseguente aumento di ogni genere di produzione e di commercio. Il modello monastico, che aveva conservato le antiche conoscenze e instaurato al suo interno, pur in forma rigorosamente gerarchica, un’uguaglianza sociale altrove inesistente, contribuisce non poco a ridar vita a tutta quella miriade di attività necessaria a soddisfare le esigenze di una comunità. L’ Ora et labora benedettino, che contribuisce a creare abbondanza di merci, spinge la città ad instaurare rapporti commerciali con altri centri, con un reciproco aumento di benessere e di ricchezza. Vengono ripristinare le vie di comunicazione, necessarie al commercio, e le ricchezze accumulate investite a vantaggio della comunità, pur negli interessi delle famiglie più potenti che la governano. Sorgono ovunque cantieri per l’edificazione di edifici simbolo come i palazzi comunali e le cattedrali, rappresentazioni tangibili di un raggiunto benessere cittadino dove la comunità sfoggia non solo la propria ricchezza, ma anche le proprie capacità tecniche, artigianali ed artistiche, quindi culturali e di agiatezza. Tra il IX e XI secolo, la mancanza di un forte potere centrale spinge la città verso una più ampia autonomia e all’autogoverno. Gradualmente, il potere del vescovo, come quello dei signori feudali, passa alla municipalità, che deve ora regolamentare tutte le attività cittadine, edilizie ed urbanistiche, produttive e commerciali, di controllo e di sicurezza, igieniche e sanitarie. è la nascita dell’epoca dei comuni dove, attraverso il “Consiglio Maggiore” (che a Treviso sarà poi chiamato “dei Trecento”) ed il “Consiglio Minore”, la cittadinanza partecipa alla vita politica del Comune, pur nei limiti di una costituzione oligarchica, diretta, cioè, dalle famiglie più potenti. Famiglie che, di lotta in lotta, di guerra in guerra, interna e con le città vicine, schierandosi di volta in volta col Papa (Guelfi) o con l’Imperatore (Ghibellini), a seconda dei loro interessi, sostituiscono il loro potere a quello comunale, portando gradualmente all’epoca delle Signorie e, con il successivo consolidarsi di un potere centrale, al concretizzarsi in senso moderno dell’idea di “Stato”. Per Treviso, però, e per un territorio geograficamente ben più vasto dell’attuale Veneto, la Signoria e quindi lo Stato, furono rette da una Repubblica, pur anch’essa oligarchica ma, con le debite differenze, basata sui principi dei “liberi” governi comunali, dei quali Venezia ne fu la più diretta, e longeva, derivazione. Tra il XIII ed il XV secolo, le città accumulano ricchezze enormi che si concentrano nelle mani di pochi nobili, che le trasformano, con alleanze alternabili, in potere per dominare territori sempre più vasti. A Treviso, nel secondo decennio del XIII secolo, si afferma la supremazia di Ezzelino II da Romano e della sua fazione, opposta a quella dei Collalto, famiglia da secoli comitale del territorio. Dopo il 1268, si rafforza la potenza dei da Camino, dalla cui parte sta la maggioranza della nobiltà trevigiana, per poi subire il dominio scaligero (1329-1339), dei Carraresi (1384-1388) e passare infine sotto Venezia (1388). Sotto l’orbita della Serenissima, però, Treviso soggiaceva già da tempo, soprattutto economicamente: ricca di acque, sin dal X-XI secolo i numerosi mulini esistenti macinavano grano per Venezia e la città, soprattutto dal XII secolo
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