Cosa sono le emozioni?
Nel territorio del senso comune sono rintracciabili i fondamenti della conoscenza nella vita quotidiana, vale a dire le oggettivazioni dei processi (e significati) soggettivi per mezzo dei quali il mondo intersoggettivo del senso comune viene costruito. Vi è nel senso comune, in quanto tale, una continua corrispondenza tra i miei significati ed i significati dei miei interlocutori, che permette la co-costruzione di ciò che in quel momento emerge come realtà condivisa (le emozioni). La conoscenza del senso comune è la conoscenza che io condivido con altri nelle normali autoevidenti routines della vita quotidiana. La realtà della vita quotidiana viene data per scontata come realtà. Essa c’è completamente come fattualità autoevidente ed indiscutibile.
Il linguaggio comune di cui dispongo per oggettivare le mie esperienze è fondato sulla vita quotidiana e continua a rinviare ad essa anche quando lo impiego per interpretare esperienze in sfere circoscritte di significato. E’ inevitabile perciò che io distorca la realtà di queste esperienze non appena comincio a usare il linguaggio comune per interpretarle, e cioè che io ritraduca le esperienze non quotidiane nella realtà dominante della vita quotidiana. Ciò è quanto accade ad esempio con le emozioni (Berger e Luckman, pag. 47). Per mezzo del linguaggio vengono oggettivati dei modi di essere, delle esperienze soggettive, che si cristallizzano e stabilizzano all’interno delle maglie linguistiche stesse, nei modi di dire, e di configurare la realtà del parlante con l’effetto che l’attore, nel momento in cui oggettiva la propria realtà, contemporaneamente ascolta la propria realtà oggettivarsi all’interno di un modulo espressivo già prefigurato a livello semantico e culturale che si sostituirà all’esperienza stessa in qualità di racconto o narrazione dell’evento, e in seguito di ricordo. Di più io odo me stesso mentre parlo; i miei propri significati soggettivi divengono oggettivamente e continuamente accessibili per me e ipso facto divengono per me “più reali” (Berger e Luckman, p. 61).
Al costrutto di verità storica si sostituisce il costrutto di verità narrativa , che vede all’interno dell’universo dei racconti, l’aprirsi d’infinite possibilità di ricostruzione discorsive dello stesso evento in funzione di variabili contestuali, di ruolo, di punti di vista, di intenzioni pragmatiche.
Inoltre il linguaggio fornisce già al parlante delle categorie generali di esperienza, permettendogli di incasellarle entro codici semantici adeguati in quanto condivisi dalla comunità, che ne rendono accessibili i significati anche agli interlocutori. Tuttavia ciò anonimizza le esperienze, perché l’esperienza classificata può in linea di principio essere identica a qualunque altra che ricada nella categoria in questione. Per esempio possiamo innamorarci della commessa del supermercato, e questa esperienza, soggettivamente unica, verrà classificata all’interno della categoria linguistica “innamoramento di una ragazza”.
La dimensione dell’interazione o in questo caso dell’interlocuzione, nasconde una serie d’impliciti quali la condivisione di codici semantici e pragmatici del linguaggio, ossia un terreno comune nel quale schemi emotivi e attribuzioni di significati e valori corrispondono a specifiche formule narrative predefinite. In questo senso l’attore sociale che racconta la propria esperienza, è individuo dotato di competenza nella scelta del tipo di narrazione che meglio può indurre l’altro all’ascolto, all’interesse, alla condivisione.
Le emozioni sono riconducibili ad atti e forme retoriche ben definite, e come tali vanno interpretate. Riprendendo la metafora dei repertori di azione drammatistici, essendo l’essere umano un attore sociale con intenzioni situate, la scelta della narrazione e della retorica emotiva da mettere in atto risulterà in quel momento la più adatta a rendere accessibile il proprio mondo all’interlocutore, ad evocare in lui universi di senso che lo persuadano all’ascolto ed alla partecipazione emotivo-discorsiva.
Nel suo capolavoro letterario dal titolo “ Esercizi di stile ”, Raymond Queneau rivela con elegante maestria come già un normale episodio di vita quotidiana, apra le porte ad infinite possibilità narrative tra loro completamente diverse a seconda del punto di vista, o in questo caso della formula retorica, che si sceglie di adottare.
Il punto di vista cambia in relazione al contesto, ai ruoli implicati, all’interlocutore, alle intenzioni del parlante. Sulla base di questi aspetti, cambieranno anche le emozioni che il tipo di narrazione evoca in quanto ad essa coerenti.
Poniamo ad esempio che un medico si trovi a ricevere d’urgenza un bambino con una grave lesione ad un braccio; il professionista, in virtù del proprio ruolo, assiste impassibile alla sofferenza del piccolo sofferente e svolge al meglio le procedure previste per quel tipo di danno assolvendo al proprio mandato di cura; poniamo che la stessa scena si presenti con una semplice variazione: il bambino è il figlio del medico in questione; non è difficile ipotizzare che le reazioni di fronte alla stessa scena saranno completamente differenti, in conseguenza del fatto che la coerenza nel ruolo di madre, in questo caso, potrà essere più forte della coerenza nel ruolo di medico. Il ruolo che gli individui impersonano all’interno delle interazioni quotidiane anticipano i repertori emotivi e di azione che in esse verranno messe in gioco.
«Ciò che si dovrà o potrà dire anticipa come e che cosa si vede e come lo si ricostruisce o racconta» (Salvini, 1996, p. 215).
Il linguaggio fornisce delle categorie concettuali attraverso le quali gli individui rappresentano le proprie esperienze. Utilizzare il costrutto di “colpa” piuttosto che il costrutto di “rimorso” apre il sipario a scenari completamente differenti, che gli psicologi costruttivisti chiamano “costruzioni di realtà”. Secondo Harrè e Gillet, all’interno dei discorsi adottati dalla persona sono contenuti anche i modi attraverso i quali concettualizzano le proprie emozioni, dunque il modo in cui uno parla finisce per diventare il modo in cui rappresenta e costruisce ciò di cui parla (Salvini, 1996).