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L’adolescente: un atleta in equilibrio tra aggregazione e disgregazione

E' on line il mio nuovo sito, riorganizzato nella grafica e aggiornato nei contenuti.


Venite a trovarmi all'indirizzo: //vsbrescia.wix.com/valentinasbrescia


Il nuovo sito è aggiornato nei contenuti e riorganizzato in maniera più intuitiva ed esteticamente più curata.
Troverete in più una sezione progetti, in cui archivio una selezione del materiale utilizzato nei vari interventi di formazione e negli interventi a conferenze e seminari; vi è inoltre una sezione denominata "IN EVIDENZA", dove mi piace segnalare eventi interessanti, sia miei che di colleghi che stimo.
Spero che il nuovo sito possa incontrare i vostri gusti e le vostre necessità!
Un abbraccio,
Dott.ssa Valentina Sbrescia




L’ADOLESCENTE: UN ATLETA IN EQUILIBRIO TRA AGGREGAZIONE E DISGREGAZIONE



Cos’è l’adolescenza? Strano porsi questa domanda: lo siamo stati tutti! Quindi sappiamo tutti già molto su questo argomento. Tuttavia, come le sagome delle montagne, che si vedono più chiaramente da lontano, anche ciò di cui parleremo oggi sarà più comprensibile se osservato da una certa distanza.


LE DUE VIE DELLO SVILUPPO


Prima di entrare nello specifico, mi sembra utile ricordare alcuni elementi generali per inquadrare il tema di oggi.


Si può intendere lo sviluppo umano come il miglior compromesso possibile tra due tendenze contrapposte:


  • La prima spinge all’ aggregazione . È una ‘spinta’ sociale, una spinta a stringere legami e connessioni, visibile sin dall’inizio della vita in diversi ambiti:
  • Socialità – ne è esempio la tendenza del neonato a sorridere ai visi umani o addirittura a forme di cartone che ne riproducono gli elementi essenziali. Se il vostro bambino ha cominciato presto a sorridere alle persone, non è stato per via della sua genialità ma perché la specie umana ha sviluppato questa capacità di riconoscimento allo scopo di mantenere la vicinanza con gli adulti e poter così sopravvivere;
  • Affettività – allo stesso modo del sorriso, ma stavolta in modo più specifico, il neonato anche di poche ore di vita, è in grado di riconoscere la voce della madre, udita fino a quel momento per via interna, intrauterina, e di voltarsi verso la direzione da cui proviene la sua voce;
  • Concettuale – i bambini, sin da tenera età, sono in grado di imparare, cioè di collegare tra loro conoscenze diverse. Per esempio, sono in grado di associare il loro pianto all’arrivo del genitore, costituendo così un concetto unico, costituito da due parti che combaciano perfettamente tra loro: quando c’è uno arriva anche l’altro;
  • Sensoriale – i bambini sono in grado di imparare per imitazione, cioè copiare i comportamenti di qualcun altro: un neonato riesce a copiare un adulto che gli fa la linguaccia, magari non con risultati eccellenti ma ci rendiamo conto che sta cercando di fare proprio quei movimenti che stiamo facendo noi davanti a lui.
  • E se queste capacità sono evidenti già in tenera età, va da sè che continuino a presentarsi anche durante il resto dello sviluppo: non si tratterà più di sorridere agli estranei ma di avere un amico\a del cuore, di imparare a leggere e scrivere, o a nuotare.



  • La seconda spinge alla disgregazione , cioè una spinta a interrompere i flussi, a rompere le consuetudini e le connessioni, insomma a rendersi autonomi. Anche questa è presente sin dalla nascita:
  • Autonomia – non appena il sistema muscolo-scheletrico del bambino lo permette, cioè intorno ai 6-9 mesi di vita, il bambino comincia a tenere la testa dritta in modo autonomo, allontanandola dalla persona che lo tiene in braccio; poi comincia a tenere dritta la schiena assecondando ulteriormente questa spinta alla differenziazione, e così via. Questo dimostra come non sempre ‘allontanarsi dai cari’ sia un male: allontanandosi dal genitore, il bambino riesce a vederlo tutto intero, a riconoscersi diverso da lui\lei e quindi a cominciare una relazione io-tu, non più simbiotica ed indifferenziata. Così c’è più soddisfazione per tutti!
  • Aggressività – i capricci sono spesso segno di aggressività, di rabbia, di disappunto, tutte emozioni utili nella vita per reagire, per progredire, per dissentire e per agire invece che subire. Quando viene mal gestita, soprattutto in una società come la nostra che mal tollera qualunque manifestazione di non conformità, può diventare distruttiva e pericolosa, sia per chi la pone in atto che per chi la subisce. In ogni caso si può considerarla come la forza necessaria per non conformarsi alla massa ma individuare la propria originalità o diversità;
  • Esplorazione dell’ambiente – anche questa è un’esigenza che compare precocemente nell’esistenza: da quando i bambini cominciano a gattonare sono in grado di infilarsi in qualunque anfratto o angolo perduto della casa. E questo è gioioso in sé, soprattutto quando è disponibile il costante riferimento incoraggiante dei genitori. Infatti, il bambino può esplorare il mondo che lo circonda con serenità quando il senso di attaccamento ai genitori è saldo e sicuro, cioè quando sente che i genitori sono accessibili e rispondono alle sue esigenze (fisiche ed emotive) in modo appropriato;
  • Autoaffermazione – chiunque abbia conosciuto un bambino di circa 2 anni, ha potuto notare la frequenza con cui pronuncia la parola “No”, segnalando così una volontà difforme da quella degli altri. I bambini cominciano a capire cos’è che vogliono, cosa gli piace e cosa no, e cominciano a scegliere di raggiungere autonomamente ciò che desiderano. Man mano che i bambini crescono, crescono anche i loro “No” e contemporaneamente l’insofferenza degli adulti a questa continua protesta che richiede costantemente di essere fronteggiata!
  • Quando tutto va bene nella crescita, l’equilibrio tra queste ‘spinte’ permetterà alle persone di essere adulti autonomi, autodeterminati, assertivi ed in grado di intrattenere relazioni personali sincere e autentiche, cioè di trarre soddisfazione e gioia dalla propria vita.


    Ma questi sono il punto di partenza e di arrivo di uno sviluppo sano della persona. In mezzo c’è tutta una vita di tentativi tesi a trovare un equilibrio possibile tra queste due esigenze opposte. La parte più dura della battaglia, come è intuibile, si svolge proprio negli anni dell’adolescenza.


    QUALE EQUILIBRIO?


    Per tutta la vita questo equilibrio viene ridefinito in base ai diversi gradi di maturità dell’individuo che cresce, quindi in relazione all’età e all’ambiente (cioè il contesto sia fisico che affettivo-relazionale che circonda la persona).


    In Gestalt si dice che i rapporti tra un individuo ed il suo ambiente si svolgono secondo un processo, costituito da fasi successive, chiamato “Ciclo di Contatto” .



    CICLO DI CONTATTO





    Il Ciclo di Contatto, teorizzato da Perls, Hefferline e Goodman nel libro “Terapia della Gestalt - Teoria e Pratica della terapia della Gestalt” (1951), può essere considerato come una sequenza stabile di fasi che permettono, nel loro insieme, di relazionarsi nel modo migliore alla realtà esterna: dal sorgere di un bisogno alla sua soddisfazione attraverso la capacità di trovare il modo migliore per farlo nelle condizioni ambientali presenti al momento (‘qui e ora’).


    Il modo migliore vuol dire, nel caso di un adolescente, il miglior compromesso possibile tra l’esigenza di crescere, differenziarsi ed individuarsi, e la necessità di ‘appartenere’, di sentirsi parte della propria famiglia o del proprio gruppo di pari. È vero che tutti gli adulti sono passati dall’adolescenza, ma questo non ne fa un compito semplice!


    Per legge fisica, quando un corpo è sottoposto a due forze di uguale intensità e di direzione opposta, rimane fermo. Così è per un ragazzino\a sottoposto a forze aggregative e disgregative uguali e contrarie: rimane immobile! (molti di voi magari ricorderanno ‘l’asino di buridano’ che, per non saper da quale cumulo di fieno mangiare, morì di fame). E difatti in adolescenza il tempo rimane immobile, non si muove, ed il ragazzo vive un costante presente privo di prospettiva e profondità. Tutti voi che leggete avrete sicuramente notato la difficoltà di un adolescente a definirsi in un futuro ipotetico; ad immaginare di avere, un giorno, amici differenti da quelli odierni; o la difficoltà ad immaginare che l’impegno di oggi, magari a scuola, porterà frutti lavorativi in un futuro ancora troppo lontano per essere immaginato.


    L’unica soluzione allora, per uscire da questo empasse e trovare una via d’uscita, è quella di imparare a leggere le istruzioni di sé stessi: imparare a prestare attenzione alle proprie emozioni, le quali segnalano bisogni esistenziali (cioè tipici dell’esistenza e fondamentali per essa) che chiedono di essere soddisfatti in maniera piena attraverso la mobilitazione e l’azione nell’ambiente di vita, così da permettere l’emergere di nuovi bisogni di volta in volta più maturi, cioè la crescita.


    Ed è proprio questo il compito fondamentale della scuola della vita, quello per cui i vostri ragazzi hanno bisogno che li aiutiate! Perché le emozioni che noi (non sempre) percepiamo –sensazione- ci informano su ciò che accade intorno a noi e su quale sia il nostro bisogno rispetto a questa realtà presente –formazione della figura- ; a questo punto, stando così le cose, possiamo immaginare cosa fare: se soddisfare il nostro bisogno ora e in che modo, oppure rimandarlo o ignorarlo –mobilizzazione- ; agire ciò che abbiamo deciso essere la scelta migliore tra quelle possibili –azione- ed accogliere la pienezza e la soddisfazione di un’esperienza piena e consapevole -contatto- ; infine godersi fino in fondo la propria esperienza così da liberare il campo per l’emergere di nuove sensazioni e nuovi bisogni –ritiro dal contatto. Perché questo è il ciclo di ogni nostra esperienza e perché vivere le cose pienamente e consapevolmente, permette di trovare un equilibrio possibile, di sentirsi soddisfatti di sé stessi e di conquistare un senso di autonomia sempre maggiore.


    Inoltre, ragionare in termini di ciclo di contatto, permette di non coinvolgere la prospettiva temporale, di non dover decidere per il futuro ma di concentrarsi sul qui e ora, che è la prospettiva prevalente di un adolescente. Se sarete in grado di aiutare i vostri ragazzi a fare questo, avrete già fatto molto per la loro felicità futura. Credetemi!


    Dott.ssa Valentina Sbrescia