Il training autogeno nella pratica clinica
I benefici delle tecniche di rilassamento sono conosciuti e apprezzati su larga scala da tutti: quando lo stress quotidiano rapisce il corpo e la mente, solo il rilassamento è il palliativo capace di ristabilire equilibrio e benessere. Tra le tecniche di rilassamento più comunemente utilizzate nella pratica clinica, il training autogeno occupa una posizione privilegiata per i benefici ben visibili fin dalla prima applicazione: esso, infatti, consente di raggiungere autonomamente e in breve tempo uno stato di calma e di rilassamento psicofisico, simile a quello dell’ipnosi. Non si tratta di una tecnica “magica” alla quale accostarsi con sospetto e pregiudizio, ma piuttosto di una forma di intervento psicoterapico efficace nel trattamento di diversi tipi di disturbi, come ad esempio, ansia, balbuzie, tic, enuresi, cefalee, disturbi sessuali, fobie, disturbi di somatizzazione, disturbi ossessivi, abuso di sosanze, disturbi da stress, traumi, disturbi del sonno, ecc.
La tecnica, messa a punto da Schultz negli anni ‘20 a partire dalle sue esperienze di autoipnosi (Hoffmann, 1977), è stata successivamente presa in prestito da diverse discipline, alcune delle quali, impropriamente, ne hanno fatto un uso spropositato, dimenticando di avere tra le mani una vera e propria tecnica di psicoterapia.
Il training autogeno è una forma di psicoterapia, dunque non può essere utilizzata da chiunque e soprattutto con chiunque . Sono solo i medici, gli psicologi o gli psicoterapeuti a poterla utilizzare, dopo essersi adeguatamente formati, dato che essi sono gli unici in grado di valutare se il soggetto possa ricevere benefici dall’applicazione della stessa. Il training autogeno, infatti, è controindicato per alcuni soggetti affetti da sindromi dissociative (come il sonnambulismo, le amnesie), da alcune psicosi, da disturbi gastrici, cardiaci, ecc.
La pratica costante della tecnica migliora le prestazioni cognitive, l’ insight ovvero l’intuizione e, naturalmente, l’introspezione: consente, quindi, di raggiungere un equilibrio emotivo che permette al paziente di ottenere buoni livelli di autocontrollo, favorendo l’autoinduzione della calma e la gestione dello stress.
Per quanto concerne il setting, va ricordato che è necessario eseguire gli esercizi in un ambiente non rumoroso, poco illuminato e con temperatura ottimale, dove non siano presenti odori eccessivamente forti che possano disturbare il paziente. Questi viene fatto adagiare su una poltrona o su un lettino, in una posizione rilassata (le posizioni sono tre, come indicato nella figura) con gli occhi chiusi. Molto importante nel training autogeno è l’abbigliamento che non deve essere scomodo, si invita dunque il paziente a non indossare cinture, stivali rigidi, cravatte e giubbini che possano limitare i movimenti. Alla fine dell’applicazione, infatti, vengono eseguiti degli “esercizi della ripresa” che consentono al paziente di riprendere il tono muscolare.
Proprio perché tra i benefici che tale tecnica offre si annovera il miglioramento delle prestazioni, il training autogeno è stato ampiamente utilizzato nella preparazione atletica, nel coaching aziendale e persino nel parto: l’atteggiamento psicologico di fronte ad una performance gioca un ruolo fondamentale nell’esito della stessa; accumuli di tensione, infatti, favoriscono gli insuccessi e non consentono di padroneggiare la propria emotività, le proprie risorse per conseguire l’obiettivo prefissato.
Oggi giorno tutti avrebbero bisogno di praticare questa tecnica terapeutica non solo per ritrovare il benessere e l’equilibrio che la vita frenetica ci fa perdere ma, soprattutto, per ritrovare se stessi.