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L’approccio psicologico al paziente emicranico: il ruolo della psicoterapia
La cefalea ha un impatto notevole sulla vita di chi ne è affetto, provocando insicurezza, timore e ansia dell’attacco durante situazioni sociali, alterazioni delle relazioni interpersonali, della vita lavorativa, della vita sessuale, dei rapporti familiari, ecc. Questi ultimi, in particolar modo, risultano gravemente invalidati poiché si innesca un meccanismo di condizionamento e di “contagio” dell’ansia generata dall’insorgenza improvvisa del mal di testa, spesso temuto come sintomo di una grave patologia organica. Oltre a compromettere la qualità di vita, la cefalea molte volte non viene riconosciuta nè compresa dalle persone che circondano i pazienti. Viene minimizzata, talvolta, dagli stessi medici finendo per essere trattata in maniera inedeguata e generando, così, un’ulteriore fonte di sofferenza che può trasformarsi nel tempo in un vero e proprio disturbo psicologico. Anche se il medico, attualmente, ha a disposizione diversi farmaci utili alla prevenzione e al trattamento degli attacchi, alcuni pazienti, a distanza di anni, possono non rispondere più in modo adeguato alle terapie farmacologiche e ciò comporta, come inevitabile conseguenza, una comorbidità con psicopatologie quali disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, ecc. Proprio per i motivi sopra elencati, la psicoterapia rappresenta un efficace strumento che serve a trattare il dolore acuto e/o cronico, a migliorare le risposte di coping alle situazioni stressanti e ad eliminare, laddove sia possibile, la componente psicologica scatenante o aggravante la cefalea. E’ opinione comune, infatti, che la cefalea sia una sindrome multifattoriale, scatenata da variabili biologiche, psicologiche, sociali, comportamentali e cliniche; in quest’ottica il lavoro del medico e del neurologo non può prescindere da quello dello psicoterapeuta. A questi, infatti, spetta il compito di raccogliere informazioni circa la personalità, la predisposizione allo stress, gli stili di adattamento , i vissuti emozionali, le abitudini comportamentali, la percezione del dolore: in altre parole, l’impatto della cefalea sulla qualità di vita del paziente. In particolar modo, il dolore diventa il punto di partenza dell’indagine psicologica: esso va indagato non solo come un’esperienza sensoriale, ma, soprattutto, come vissuto emozionale e cognitivo. Ognuno vive il dolore in modo del tutto soggettivo, alcuni possono avere una soglia di sopportazione bassa, altri riescono a gestire il dolore soltanto in determinate circostanze. Compito della psicoterapia è quello di fornire al paziente gli strumenti per controllarlo e, talvolta, anche prevenirlo, partendo dal presupposto che, spesso, variabili come i pensieri negativi o anticipatori, l’ansia, i ricordi di esperienze passate, l’attenzione selettiva possano amplificare la percezione del dolore ed autoindurre la cefalea. La psicoterapia, in tal senso, diventa una psicoeducazione del paziente volta a utilizzare al meglio le proprie risorse per rafforzare le sue modalità di c oping , il più delle volte deficitarie, per fronteggiare il mal di testa, per prevenirlo o, addirittura, per ottenere una remissione completa degli attacchi cefalalgici. Grazie ad essa, il paziente apprende quali sono gli stimoli facilitanti l’insorgenza della crisi, impara a convivere con il dolore cronico, impara a conoscersi meglio e a modificare i suoi pensieri, i suoi vissuti emozionali, i suoi comportamenti. La psicoterapia, quindi, “cura” il paziente o, quanto meno, favorisce una migliore convivenza con la propria malattia.