L'approccio psico-corporeo al problema degli attacchi di panico
L’approccio psicocorporeo al problema degli attacchi di panico
Psicologo, psicologia Cecina (LI)
ANSIA, PANICO E DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO
Il DAP, cioè il Disturbo da Attacchi di Panico è entrato solo recentemente nell’elenco delle sindromi psicologiche riconosciute in ambito scientifico.
Gli attacchi di panico sono definiti nel DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) come periodi delimitati a insorgenza improvvisa, di intensa apprensione, paura, o terrore , spesso associati con sentimenti di morte imminente. Durante questi attacchi vi sono sintomi come respiro corto o sensazioni di soffocamento; palpitazioni, batticuore, o tachicardia; dispnea; paura di impazzire o di perdere il controllo. Gli attacchi di panico possono essere imprevisti (e isolati), e allora l'insorgenza dell'attacco non risulta associata con un fattore ambientale di scatenamento, ma si manifesta piuttosto inaspettatamente; correlati alla situazione , e allora l'attacco di panico quasi invariabilmente si manifesta immediatamente dopo l'esposizione al o in previsione del fattore situazionale di scatenamento; sensibili alla situazione , e allora l'attacco di panico si manifesta più probabilmente dopo l'esposizione a un fattore situazionale di scatenamento, ma non risulta ad esso invariabilmente associato.
Il DSM IV, all’interno dei Disturbi d’ansia, distingue tra Disturbi di Panico con Agorafobia e Disturbi di Panico senza Agorafobia . (A.P.A., 1994)
Il Disturbo di Panico senza Agorafobia è diagnosticato in presenza di Attacchi di Panico inaspettati ricorrenti, seguiti da uno o più dei seguenti sintomi:
a) preoccupazione persistente di avere altri attacchi
b) preoccupazione a proposito delle implicazioni dell'attacco o delle sue conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, "impazzire")
c) significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.
Il disturbo da panico può essere associato ad altri disturbi, come ad esempio: depressione, ansia sociale, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo da somatizzazione, disturbo da ansia generalizzata, disturbo post traumatico da stress. Possono naturalmente essere presenti alcuni tratti di personalità più frequenti di altri o anche veri disturbi di personalità come quello Evitante, Dipendente, Borderline.
Nel periodo precedente al primo attacco di panico i pazienti hanno frequentemente sperimentato un livello di stress elevato, ma accompagnato da un atteggiamento di minimizzazione rispetto ai problemi contingenti . I soggetti spesso riferiscono problemi familiari, di lavoro, cambiamenti importanti nella qualità della vita o nella generale organizzazione familiare, frustrazioni o relazioni particolarmente impegnative, o altre situazioni "normalmente" caratterizzate da stress.
I pazienti con attacchi di panico minimizzano questi antecedenti sulla base di una probabile assunzione personale attinente alla propria insensibilità o immunizzazione a tali situazioni. Quella che è una caratteristica antecedente al primo attacco si ribalterà poi per divenire una attenzione allarmata su ogni sensazione somatica.
In generale si potrebbe parlare di una conoscenza insufficiente delle segnalazioni dell’organismo in stato di stress, nelle quali il soggetto pur presentando livelli di attivazione, ansia, tensione, iperventilazione elevati, non riorganizza il proprio comportamento in base ad essi, ma tenta di distrarsi, minimizza il dato e sopravvaluta le proprie capacità di fronteggiare fisicamente la situazione. In tali circostanze si manifesta il primo episodio di panico. Questo evento ha due aspetti rilevanti: un primo aspetto attinente alla circostanza traumatica di sperimentare uno stato acuto di ansia costruito dal soggetto come completamente diverso dalle "normali" esperienze finora sperimentate (aspetto traumatico); il secondo aspetto è relativo alla acquisizione di una nuova dimensione di conoscenza (avere gli attacchi di panico, i sintomi specifici, i sentimenti di urgenza).
Questi due elementi costituiscono gli ingredienti della sindrome psicologica del disturbo. Una volta sperimentato il primo episodio, il soggetto attiverà una particolare attenzione ai segni precoci e premonitori di un successivo attacco; in sostanza, il soggetto sarà nuovamente in stato di ansia dovuta ad una ipervigilanza, e in questo stato attiverà l’atteggiamento ansioso con i noti correlati fisiologici (tensione prolungata, iperventilazione, amplificazione delle sensazioni somatiche). Tra il secondo e i successivi attacchi di panico si sviluppa la sindrome completa caratterizzata da elevata anticipazione dell’ansia, ricerca attentiva dei sintomi, iperventilazione, distorsioni cognitive (in particolare la catastrofizzazione e la selezione attentiva). La natura della sindrome del disturbo da attacchi di panico è caratterizzata da un preciso circolo vizioso: l’anticipazione dell’ansia genera ansia - lo stato di ansia conduce alle sensazioni di panico imminente - i sintomi vengono interpretati in chiave catastrofica ed estrema - il soggetto ha un attacco di panico. In pratica ogni stimolo interno o esterno che è giudicato minaccioso produce lo stato d'ansia e i relativi sintomi somatici associati che se sono interpretati in maniera catastrofica producono un ulteriore aumento del livello di ansia intrappolando l'individuo in un circolo vizioso culminante nell'attacco di panico.
L’INTEGRAZIONE MENTE-CORPO-EMOZIONI
Occorre tener presente, nel DAP come in tutte le forme psicopatologiche, che i sintomi assolvono anche ad una funzione comunicativa. Il DAP, come abbiamo detto, è un disagio relazionale, “di” relazione e “in” relazione, ciò significa che alcune manifestazioni sintomatiche si legano ad eventi sociali agorafobia, fobia sociale, paura della solitudine o della frequentazione di luoghi solitari) e sul fatto che le stesse manifestazioni sono così eclatanti, e i portatori le usano in maniera tale, che sembrano proprio profilarsi come richieste d’aiuto.
Il DAP può essere letto come disturbo di integrazione tra percezione sensoriale, cinestesica e vegetativa con la vita emotiva e con la capacità di vivere ed esprimere le emozioni . A questo proposito è utile ricordare che esiste una complessa circolarità tra sensazioni corporee, emozioni e pensieri. In condizioni di benessere esiste una profonda integrazione tra ciò che percepisco nel mio corpo con ciò che sento a livello emotivo e con ciò che penso. Anche il mio comportamento sarà integrato con questi altri livelli e risulterà vitale e autentico. Se, ad esempio, accade un evento improvviso che provoca una reazione di paura, avremo un pattern fisiologico specifico (occhi spalancati, blocco del respiro in fase inspiratoria, spalle che si alzano e si ritraggono, ecc.). A queste reazioni è accompagnata l’emozione chiara del sentire paura. A livello cognitivo occorre prendere una decisione rispetto alla scelta attacco-fuga.
Nel DAP assistiamo ad una “ separazione” degli organi, delle funzioni e delle emozioni . Le sensazioni di disintegrazione si accompagnano ad impressioni di impotenza e paura di non poter governare le proprie parti corporee, organi e sistemi (muscolare, respiratorio, cardiaco).
Sintetizzando possiamo dire che le persone sofferenti di DAP, pur desiderando e cercando persone e situazioni in cui potersi abbandonare (rilassare e amare), vivono i momenti di regressione come pericolosi; hanno difficoltà a “lasciarsi andare” e hanno disimparato a riconoscere le proprie emozioni e sensazioni (scotomizzazione: processo difensivo per cui il soggetto rifiuta di percepire determinati aspetti della sua situazione ambientale o di se stesso, specie quelli spiacevoli o dolorosi).
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La figura mostra come la coscienza dei processi del corpo è il livello più profondo e più ampio di coscienza. |
L’INTERVENTO PSICO-CORPOREO NEI DAP
L’intervento psico-corporeo nei DAP mira ad integrare corpo e mente, favorendo la disamina psicologica dei vissuti emotivi e sensoriali, per mezzo della verbalizzazione, e infine restituire al paziente la possibilità di vivere in maniera piena e piacevole.
Dato che nel DAP siamo in presenza di sensazioni di disintegrazione che si accompagnano ad impressioni di impotenza e paura di non poter governare le proprie parti corporee, organi e sistemi (muscolare, respiratorio, cardiaco), cerchiamo di favorire innanzitutto una conoscenza più approfondita del sé corporeo, restituendo al paziente le sensazioni piacevoli e positive del corpo.
E’ possibile fare ciò lavorando congiuntamente su respirazione, postura, esercizi espressivi, radicamento. Il percorso terapeutico non è mai prestabilito a priori, piuttosto si adatta alla singola persona e prende in considerazione le sue caratteristiche specifiche, la sua storia personale e la sua struttura caratteriale.
Nell’osservare una persona fortemente in ansia o in stato di panico, capita di restare colpiti da alcune cose in particolare: per esempio dalla difficoltà respiratoria, dal soffocamento, dalla tachicardia, “perdita” degli occhi, “perdita” delle gambe, sudorazione più o meno profusa, ecc.
La perdita degli organi, ovviamente, è da intendersi come sensazione soggettiva di non essere più padroni dei propri organi. È come se all'improvviso questi si rivelassero posseduti di vita autonoma e fossero separati dall'Io. L'impressione del soggetto è quella di vivere una spoliazione: non ha più il controllo delle parti che lo compongono.
Con una persona che va in apnea quando è in ansia, decidiamo di occuparci della funzione respiratoria. Una volta indagata nei suoi aspetti somatici e psichici (a livello toracico, addominale e diaframmatico) procediamo alla sua rieducazione. Allo stesso modo ci orientiamo per l'organo della vista (gli occhi). Prima indaghiamo tutti i movimenti e poi stimoliamo l'utilizzo di tutte le funzioni, fino ad arrivare ad una performance complessiva. Dopo di ciò si può procedere con esercizi che “legano” il movimento degli occhi a quello respiratorio.
Il respiro è l’elemento fondamentale della nostra vita. Oltre ad essere il primo e ultimo atto della vita, sovrintende ai singoli movimenti, alla loro successiva integrazione e all'integrazione delle funzioni di tutto l’organismo. Il “congelamento” del carattere nel nostro corpo avviene tramite la forma che il nostro respiro assume (si provi a pensare al trattenimento del respiro quando si ha paura) e dato che il carattere si lega al controllo, e il problema del controllo nel DAP è uno dei problemi principali in questo disturbo, la funzione respiratoria è anche la prima ad essere compromessa. Potremo avere una costrizione alla gola, un blocco toracico o diaframmatico con sensazione di “pressioni” sullo sterno; si possono avvertire dolori intercostali o sensazioni di “buchi” all’altezza dello stomaco; le spalle si possono “chiudere” in avanti per impedire alle costole di ampliarsi. I muscoli dorsali si possono contrarre e quelli del collo irrigidirsi. Il bacino si può bloccare arrivando anche a compromettere una corretta deambulazione. Insomma, riassumendo, possiamo dire che si respira con tutto il corpo e che siamo anche il modo in cui respiriamo. Per questo, se proponiamo una rieducazione funzionale, di qualunque parte del nostro organismo, dobbiamo farlo contemporaneamente a quella respiratoria.
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La respirazione è un elemento essenziale per l’equilibrio energetico dell’organismo ed è assolutamente collegata ai nostri vissuti emotivi (si pensi alla respirazione nella paura, nella rabbia, ecc). Una respirazione superficiale impedisce di sentire il proprio corpo, e svolge inconsciamente una funzione di difesa per l’organismo. Allo stesso tempo, quando si inizia a lavorare per approfondire la respirazione, emergono i vissuti e le emozioni che erano tenute a freno. E’ facile che si verifichi il pianto, e in questo caso la persona viene invitata a lasciarsi andare ad esso per piangere profondamente nell’addome. Questo sblocco ha una funzione benefica per la profondità e la qualità della respirazione. |
Abbiamo detto che negli attacchi di panico anche le gambe vengono meno e si perde la capacità di tenere una tensione isometrica tale da governare tutte le funzioni. Gli arti inferiori hanno infatti una funzione importantissima: ci sostengono contro l’attrazione gravitazionale (stress), Ci permettono di spostarci nello spazio; con esse camminiamo ma anche calciamo, corriamo, sentiamo la terra, sosteniamo il corpo e, con i piedi, siamo anche capaci di tatto.
Gli studi condotti sino ad oggi sul corpo e sul suo funzionamento, ci permettono di sapere che ogni movimento, piccolo che sia, è già un movimento complessivo e che, nella sua esecuzione, coinvolge l'intero organismo. Perciò i riflessi comportamentali che impediscono il movimento fluido e coerente, vanno cercati ed indagati anche in altre parti del corpo che possono essere vicine o lontane dall'organo implicato.
È come se i nostri ricordi fossero conservati in scrigni muscolari le cui chiavi sono celate in alcuni dettagli dei movimenti complessivi.
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L’esercizio del bend-over ha la funzione di migliorare il proprio grounding , cioè il radicamento a terra e nella realtà del corpo. Questa posizione, se eseguita correttamente e congiunta alla respirazione addominale, provoca delle vibrazioni involontarie nelle gambe. La qualità e l’intensità delle vibrazioni è strettamente connessa alla capacità di “arrendersi al corpo”, cioè avere fiducia in se stessi e reggere l’eccitazione. Il bend-over non è semplicemente un esercizio, ma rappresenta la possibilità di “scendere” nel corpo e scoprire molti aspetti del proprio carattere e del proprio modo di gestire le sensazioni e le emozioni. |
Abbiamo detto che chi soffre di DAP sta combattendo una dura lotta contro le emozioni, che tendono a relegarsi in qualche parte buia e inaccessibile della personalità. Più cresce la sfiducia, più queste emozioni diventano pericolose. Se le emozioni non sono riconosciute, o vengono negate, aumenta la loro carica energetica, il loro valore, e sono soggette al rischio d’esplodere. È l’esplosione l'evento che maggiormente spaventa coloro che soffrono di DAP. Dentro loro stessi vivono già l'esito di questa reazione esagerata e incontrollata e per questo sono costantemente impegnati a tenersi insieme, fino ad esaurirsi e implodere. Alla fine, piuttosto che esplodere, si sceglie la destrutturazione che almeno salva le relazioni e non compromette la dipendenza.
Ecco perché nell’intervento psicologico di tipo psico-corporeo è importante che la persona venga in contatto con le proprie paure inconscie, che si traducono in tensioni muscolari profonde e spesso inconsapevoli. La paura più comune e universale è la paura di cadere, che denota una difficoltà a reggersi sulle proprie gambe, cioè a sentirsi un adulto responsabile. La paura di cadere è associata strettamente alla paura di perdere il controllo, di impazzire e perdere se stessi, e abbiamo visto come tale tematica sia importante nei DAP. Il paziente, lavorando su grounding e respirazione, cominica a contattare questi nuclei di paura inconscia anche grazie ad alcune esperienze psico-corporee, opportunamente discusse con il terapeuta e integrate a livello emotivo e caratteriale grazie al colloquio.
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La paura di cadere è una tematica fondamentale anche nei disturbi di panico. In questo esercizio di caduta, la persona, partendo dal bend-over, sposta tutto il peso su una gamba, flettendo il ginocchio fino ad una ventina di centimetri dal suolo. In questa posizione di stress per la gamba, si cerca di resistere, ma è impossibile rimanere per troppo tempo. Dopo un po’ occorre cadere, e ciò aiuta a sentire cosa rappresenta per noi la perdita del controllo. Inoltre la persona ha la possibilità di sentire che la caduta, che prima era considerata terrificante, può anche essere piacevole, costituendo una resa al corpo, indispensabile per provare piacere. |
Per quanto riguarda gli occhi , la sensazione che si verifica negli attacchi di panico è che “Io” non sono più presente negli occhi che, in tal modo, non sono più capaci di soffermarsi sugli oggetti esterni e svolgere la funzione del vedere e del guardare. Gli occhi hanno importanti funzioni espressive, tanto da essere considerati “lo specchio dell’anima”. In effetti negli occhi e nella qualità dello sguardo si manifestano tutti i processi corporei ed emotivi.
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La figura mostra le due vie seguite dal flusso di energia verso gli occhi. Una corre lungo la parte frontale del corpo, dal cuore attraverso la gola e il viso, fino agli occhi. Il sentimento associato a questo flusso è il desiderio di contatto, che dà vita ad uno sguardo dolce, supplichevole. La seconda corre lungo la schiena e sale, passando per la sommità del capo, fino alla fronte e agli occhi. Questo flusso dà allo sguardo una componente aggressiva. Nello sguardo normale le due componenti sono entrambe presenti e bilanciate, dato che per un buon contatto oculare sono necessarie entrambe. |
Nell’emozione della paura gli occhi svolgono un ruolo molto importante da un punto di vista espressivo ed adattivo. Mentre nell’emozione passeggera il pattern mimico-facciale è di breve durata, quando un’emozione diviene inconscia diviene uno sfondo silenzioso non più consapevole alla coscienza, ma che comunque si traduce a livello corporeo in tensioni croniche che impediscono il libero fluire dell’energia e delle sensazioni.
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La figura illustra il ritrarsi dell’energia dagli occhi, causato dalla paura . La componente aggressiva viene ritratta lungo il suo circuito, le sopracciglia si sollevano e gli occhi si spalancano. Quando viene ritirata la componente tenera, la mascella cade e la bocca si spalanca. Se la paura si cronicizza nel corpo, l’energia viene incatenata nell’anello di tensione attorno alla base del capo. Parte dello sforzo è costituita dalla necessità di irrigidire la mascella per superare la sensazione di spavento (“non mi lascerò spaventare!”) |
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Il “coperchio” di tensione alla base della testa esprime il bisogno di mantenere il controllo delle proprie emozioni e sentimenti. E’ l’equivalente somatico del comandamento psicologico “non perdere la testa”, cioè “non lasciarti mai sfuggire il controllo dei tuoi sentimenti” . Se mettiamo un coperchio alla nostra aggressività, si crea una pressione contro di esso, che può dare origine ad una cefalea. Il coperchio della testa è collegato al blocco del bacino, che impedisce il flusso delle sensazioni sessuali. L’energia si ritrae e si comprime e possiamo parlare di un effetto “pentola a pressione”. L’attacco di panico può essere considerato l’esplosione della pentola a pressione, una rottura improvvisa del contenimento delle sensazioni e delle emozioni. |
Se una persona chiude gli occhi probabilmente ha fiducia in chi la sostiene; ma restare con gli occhi aperti e morbidi, non allarmati, vuole dire che ha fiducia in sé stesso, nella propria capacità di relazionarsi e nella propria autonomia. Ha coraggio e guarda le cose in faccia. Questa è la funzione finale da perseguire, però solo dopo essere passati per l'acquisizione della capacità di abbandonarsi, regredire e dipendere senza timori. Ottenuto l'abbandono si cercano i modi, diversi per ognuno, per raggiungere una respirazione completa che coinvolga tutte le parti: addome, diaframma, petto, spalle, bacino e gambe. Quando la persona è giunta a sentire il respiro fluido, che “quasi come un’onda lo attraversa tutto”, si può proporre di aprire gli occhi conservando il modo di respirare acquisito e contattando la realtà circostante (appoggiare gli occhi sugli oggetti e/o sulle persone). Il passaggio successivo è l’aggiunta e l’integrazione della deambulazione.
Come abbiamo avuto modo di vedere in questa disamina delle tematiche psico-corporee legate ai DAP, durante il lavoro occorre tener conto dell’unità funzionale corpo-mente: Sappiamo che lavorando “semplicemente” sulla respirazione, è tutto il corpo ad essere profondamente coinvolto. Non solo, ma anche le emozioni possono essere contattate agevolmente a partire da un esercizio corporeo, così come è facile per la persona divenire consapevole di quelli che sono i blocchi muscolari strutturati nella corazza caratteriale. In altri termini mente e corpo costituiscono due facce della stessa medaglia e agire sull’uno in maniera consapevole significa anche agire sull’altro.