Il cane da guardiania2
Capitolo II
"Il cane guardiano alle origini" a cura del dottor Francesco Andriulli
Se tralasciamo l’ipotesi, tutt’altro che remota, che i cani in tempi passati siano serviti
anche come riserva alimentare per l’uomo, la guardia è stata, molto probabilmente, la
prima mansione per cui sono stati impiegati.
L’addomesticamento del cane (Canis Lupus Familiaris) viene fatto risalire al mesolitico,
intorno al 15000 a.C. come evento avvenuto indipendentemente in diverse località della
Terra.
Si tratterebbe del primo animale addomesticato dall’uomo.
La classica storiella che è nota a tutti, anche a chi non si interessa di cani, è sempre la
stessa. Popolazioni di cacciatori-raccoglitori entrano in possesso in modo casuale di
cuccioli di lupo (Canis Lupus) o addirittura, se li procurano saccheggiando le tane. Li
allevano, selezionano e addestrano affinché questi possano rivelarsi dei validi ausiliari
nella caccia.
Il celebre zoologo austriaco Konrad Lorenz ipotizzò che gli uomini del mesolitico
avessero potuto, in zone diverse della Terra, chi messo le mani sui lupi, chi sugli sciacalli.
Il risultato finale sarebbe stato in ogni caso la creazione del cane primitivo. [1]
Cani - lupo e cani - sciacallo, potrebbero poi essersi incontrati, a seguito delle migrazioni
umane, e incrociatisi tra loro, iniziando a generare ibridi dalle forme e dimensioni
variabili, caratteristica per cui il cane è ben noto. In ogni caso, Lorenz stesso ammetterà,
tempo dopo, che la sua teoria era sbagliata.[2]
Una delle più recenti e plausibili teorie sull’addomesticamento del cane la forniscono
Raymond e Lorna Coppinger, sulla base dei loro studi svolti sui canidi selvatici e
domestici, in ambito etologico, evolutivo, genetico e anatomico.
Secondo i Coppinger il cane non discenderebbe direttamente dal lupo, bensì, sarebbe il
suo antenato a esserne discendente.
L’antenato del cane sarebbe un canide di taglia medio - piccola, pesante intorno ai 15 kg,
muso allungato e sottile, dentatura e mascelle meno sviluppate rispetto ai selvatici,
orecchie pendenti o semierette, colore del manto pezzato.
Il cane primitivo sarebbe una forma altamente specializzata di lupo, nonché di maggior
successo evolutivo, che, spontaneamente, si adattò a vivere nei dintorni degli
insediamenti umani, sfruttandone le discariche come nuova nicchia ecologica. Esemplari
meno abili nella caccia, ma che mostravano distanze di fuga minori e quindi riuscivano ad
alimentarsi in prossimità dell’uomo.[3]
Stando sempre a questa teoria, l’uomo, per molti secoli, avrebbe contribuito
all’evoluzione di quest’animale solamente in modo indiretto, limitandosi semplicemente a
creare e mantenere vitale la nicchia in cui questi canidi si erano spontaneamente trasferiti
e adattati.
Quest’adattamento, avrebbe generato i mutamenti che avrebbero distinto il cane dal lupo,
alcuni, sarebbero stati funzionali alla sopravvivenza nel nuovo habitat, altri,
probabilmente correlati ai primi o frutto accidentale dei rapidi cambiamenti a cui il cane
sarebbe andato incontro. I Coppinger credevano in una trasformazione avvenuta nel giro
di poche generazioni.
Per i due biologi, sarebbero stati i cuccioli di questi animali, che a un certo punto, furono
adottati dall’uomo e allevati come domestici e non direttamente il lupo, più difficile da
domare e da gestire nella fase adulta.
Questi cani sopravvivono tutt’oggi, diffusi in tutte le pari del mondo, sono i cosiddetti
“Cani Pariah”, i cani da villaggio. Nel mondo occidentale sono spesso chiamati
“randagi” e sono tutti quei cani che vagano per i paesi o le campagne, per il quale è
impossibile decifrarne la razza, anzi, una mente fantasiosa, potrebbe trovarci tratti comuni
a molte razze.
Girano per gli insediamenti umani, si nutrono nelle discariche o tra l’immondizia; nel
mondo “civile” le autorità comunali cercano di limitarne il numero catturandoli,
sterilizzandoli e confinandoli nei canili, in altre parti del mondo, invece, sono tollerati
come animali spazzini, in modo simile a quanto accade per i piccioni nelle città.
Questi cani non sarebbero i risultati indecifrabili di qualche incrocio tra razze diverse, ma
una vera e propria specie di canide, a diffusione globale, e pertanto, caratterizzata da
numerose varianti ma con caratteristiche di base comuni in ogni parte del mondo.
Da questa specie, discenderebbero tutti i cani e quelli custodi sarebbero la loro prima
trasformazione.[4]
Tenere bene a mente quest’ultima teoria, di cui ho fornito uno striminzito riassunto, è
importante, poiché è l’ipotesi che ho deciso di sostenere in questo elaborato, dal momento
che potrebbe, a mio avviso, facilmente adattarsi alla storia evolutiva delle razze
guardiane e spiegare quello che sta accadendo oggi.
I cani custodi potrebbero essersi creati in modo “autonomo” così come, autonomamente,
il lupo si trasformò in cane Pariah.
L’occhio attento di chi osserva questi cani al lavoro coglierà certamente delle peculiarità
morfologiche e caratteriali, ben note già da tempi antichi.
Verrebbe naturale pensare che sia stata l’abilità dei pastori a forgiare questo animale, e
non è escluso che qualcuno di loro sapesse davvero cosa stava facendo, ma la maggior
parte di quegli stessi uomini, a un certo punto, e senza apparenti motivi, poiché chi
mantiene una muta di cani con il proprio gregge, ne ha effettivo bisogno, ha lasciato
decadere le razze e accortisi del peggioramento attitudinale dei propri soggetti, sono corsi
ai ripari, a volte nei modi disastrosi come esemplificati nel primo capitolo. Ciò denota una
scarsa conoscenza dell’animale che da secoli protegge le greggi.
La cosa potrebbe essere spiegata in due modi: Il sapere e l’abilità nel selezionare i cani
custodi dei pastori del passato sono andati persi. Forse, a seguito dell’allentarsi della
pressione dei predatori, non fu più necessario trasmettere quelle conoscenze alle nuove
generazioni (Ciò impone di considerare, però, che tra i pastori di un tempo fosse nota,
almeno in linea generale, come funzionasse la trasmissione genica.); oppure, proprio
come gli uomini del mesolitico, i pastori ebbero solo il merito di aver creato e mantenuto
una certa nicchia ecologica, l’ambiente pastorale, a cui il cane si adattò (In questo caso, le
preferenze di ognuno, morfologiche, caratteriali e comportamentali, ricercate nei propri
cani, hanno favorito la sopravivenza dei soggetti che rispondevano a quelle
caratteristiche, assicurando a quest’ultimi maggiori possibilità di riprodursi e trasmettere
il proprio patrimonio genetico.)[5]
, le condizioni di vita severe a cui erano sottoposti i
cani, completava l’opera, garantendo che solo i più sani e adattati, tra quelli preferiti,
potessero effettivamente riprodursi.
Il fenotipo è il risultato dell’interazione tra genotipo e ambiente, e una volta mutato
quest’ultimo, è cominciata la decadenza delle popolazioni di cani guardiani.
All’inizio, il cane Pariah avrà cominciato a vigilare e proteggere, da possibili concorrenti,
la sua nicchia, e questa coincideva con i dintorni degli insediamenti umani.
Un inconsapevole servizio utile anche agli abitanti dei villaggi, poiché i competitor di
questi canidi, potevano, spesso, corrispondere a predatori potenzialmente pericolosi per
gli uomini.
La comparsa del cane da guardia degli armenti è ovviamente posteriore alla
domesticazione degli erbivori, avvenuta nel neolitico, e alla trasformazione degli uomini,
da cacciatori-raccoglitori a pastori nomadi.[6]
Il Coppinger osservava che l’aspetto dei cani custodi si discosta da quello del cane Pariah
col variare dell’altitudine della zona d’allevamento.
L’aspetto dei cani guardiani africani ricorda in tutto e per tutto quello dei cani da
villaggio originari. Ai pastori africani non servono cani di grossa mole, il loro
mantenimento, in quelle zone aspre, sarebbe troppo oneroso, oltre che non giustificato,
dal momento che, i predatori contro cui questi animali proteggono le mandrie sono quasi
tutti di gran lunga al di sopra delle capacità combattive di qualsiasi canide, a prescindere
dalla sua taglia e dalla numerosità della muta. Cani di taglia contenuta, vivaci e vigili,
sono sufficienti ad avvisare gli uomini della presenza del predatore.
La morfologia e le dimensioni mutano, col variare del clima e all’aumentare della
disponibilità di risorse alimentari, spostandosi verso nord, fino ad assumere le
caratteristiche forme dei cani custodi di armenti euroasiatici, di taglia maggiore e dai
corpi più robusti.
A questo punto dell’elaborato, occorre focalizzare la discussione su quei cani che la
cinofilia moderna indica come “cani da montagna”.
In seguito parlerò anche dei molossi a pelo corto, i cosiddetti “cani da presa” o “cani
dogo” limitandomi alle razze che storicamente hanno avuto funzioni analoghe ai cani da
montagna.
Queste due tipologie di cani, secondo il mio parere, sono le più indicate, per le nostre
zone, nell’ausilio alla vigilanza dell’azienda agricola, in quanto, oltre a possedere
fisionomie atte a costituire già un valido deterrente visivo, sono anche in grado di opporsi
fisicamente a un’eventuale intrusione.
Si tratta di animali che, rimanendo nei limiti di una morfologia funzionale, possono
raggiungere anche gli 80 - 85 cm al garrese in altezza, peso dai 40 kg e oltre.
Molte linee da lavoro, sono rappresentate da esemplari mediamente più leggeri rispetto ai
soggetti da mostra. Esistono soggetti più grandi e pesanti, anche in ambito lavorativo, ma
bisogna prestare attenzione che siano davvero discendenti da linee funzionali e non frutto
di contaminazioni con linee da esposizione.