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Il disturbo ossessivo-compulsivo (doc)

Il DOC può prendere molte forme diverse, ma più comunemente è caratterizzato dalla presenza di pensieri intrusivi ossessionanti – che di solito hanno una natura spiacevole o bizzarra – e/o azioni ripetitive che una persona si sente costretta a compiere ma di cui riconosce l’inutilità o l’eccessività. Le persone affette da DOC cercano di porre un freno a tali pensieri o di resistere dall’eseguire determinate azioni, ma non vi riescono. Questo perché la loro esecuzione porta ad una diminuzione del livello di ansia e di paura del soggetto il quale spesso pensa di riuscire in tal modo anche a scongiurare un pericolo.
Avere il DOC non significa che si sta impazzendo. Non si tratta di una malattia mentale, ma di un disturbo d’ansia caratterizzato da una esagerazione di normali pensieri e azioni che si manifestano in quasi tutti.

Ossessioni o pensieri ossessivi o ruminazioni.

Ci sono tre forme comuni di ossessione. Possono essere dei semplici pensieri, espressi in parole, come “Potrei ammalarmi di cancro”. Potrebbero anche assumere la forma di immagini mentali, per esempio l’immagine di qualcosa di terribile che sta accadendo. Oppure consistono di impulsi temuti, come un bisogno acuto di far male a qualcuno. Le persone spesso hanno paura che un giorno metteranno in atto tali bisogni. Di fatto, una lunga esperienza con il DOC ci ha dimostrato che questi impulsi non vengono mai agiti.

Le aree di interesse più comuni delle ossessioni sono la sporcizia e le malattie, la violenza, altri tipi di mali che capitano alle persone, il sesso e la religione. Siccome i pensieri sono spiacevoli o spaventevoli, fanno sentire molto a disagio o in ansia la persona affetta da DOC. Più spesso il disagio attivato dalle ossessioni conduce il paziente a fare qualcosa per cercare di sentirsi meglio. Esistono comunque anche persone che hanno ossessioni senza rituali evidenti.


Compulsioni o rituali.

Questi termini vengono usati per indicare le azioni che le persone affette da DOC si sentono costrette a compiere. I rituali si dividono in due tipi:

Azioni che un osservatore è in grado di vedere. Ad esempio, qualcuno che si lava continuamente le mani oppure controlla più volte se ha chiuso il gas. Queste due azioni costituiscono i più comuni tipi di rituali ossessivi, benché ce ne siano molti altri. Spesso, anche la famiglia della persona con DOC viene coinvolta nell’attività rituale.

Azioni mentali. Ad esempio, i “buoni pensieri”, le preghiere dette un certo numero di volte, contare un certo numero di volte da 0 a 10 per aver fatto un pensiero blasfemo, ecc. Ovviamente nessun altro può venire a conoscenza di tali azioni a meno che non sia la persona stessa a parlarne.

Un altro modo in cui molte persone con il DOC cercano di ridurre il loro disagio è chiedere agli altri, ai familiari o al medico, delle rassicurazioni sulle loro paure. A volte possono anche impiegare del tempo per rassicurare se stesse.


Spesso le preoccupazioni vengono “scatenate” da certe situazioni o persone (ad esempio aver toccato qualcuno considerato “infetto”). Le persona con DOC allora cerca di evitare tali situazioni nel tentativo di ridurre le sue paure. Questo può essere uno dei sintomi più invalidanti del DOC. La vita diventa sempre più limitata dalle situazioni, dalle persone o dagli oggetti che devono essere evitati.

Trattamento
L’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento del DOC è ormai scientificamente comprovata. Può essere scelta come trattamento d’elezione o, spesso e con ottimi risultati, può essere combinata con il trattamento farmacologico. Lo scopo è di trovare modi per imparare che le paure sono infondate e possono essere affrontate senza rituali. Si tratta di un lavoro congiunto tra paziente e terapeuta: al paziente viene richiesta la registrazione della sua vita quotidiana e l’esecuzione di compiti. Comunque, il trattamento che ha garantito i migliori risultati per il DOC è l’Esposizione con prevenzione della risposta. Fondamentalmente, il soggetto impara ad esporsi agli oggetti o alle situazioni temute, e a prevenire la sua solita risposta di neutralizzazione (rituali, evitamenti, ecc.). Ad esempio, ad una persona che teme contagi potrebbe venir richiesto di toccare persone da lei considerate “pericolose” (esposizione) e di non lavarsi dopo (prevenzione della risposta). In questo modo il soggetto impara ad abituarsi a fare le cose che lo preoccupano senza che le conseguenze temute si manifestino. Di solito l’esposizione si svolge con una modalità graduale, iniziando con i compiti più facili e procedendo con quelli più difficili. I cambiamenti, infatti, devono avvenire gradualmente, e sempre secondo il ritmo del paziente. Per alcune persone che compiono pochi rituali o nessuno, in cui il problema principale sono gli stessi pensieri temuti, potrebbero anche essere necessari trattamenti diversi che implicano l’apprendimento sia del controllo dei pensieri, sia di modi per preoccuparsi meno di essi, in modo che diventi più facile estinguerli.