Estinzione prestiti
Dossier “estinzione anticipata prestiti”
Dal Consumers’ magazine Movimento Consumatori dicembre 2019
di Paolo Fiorio, responsabile Osservatorio Credito e Risparmio MC
Tutti i cittadini che hanno stipulato un finanziamento e si sono avvalsi della facoltà di estinguerlo prima della scadenza, hanno diritto alla riduzione non soltanto dei costi connessi alla durata del contratto (costi “recurring”, quali, ad esempio, gli interessi e i costi assicurativi), ma anche al rimborso o allo storno di tutti gli altri costi, direttamente collegati all’erogazione del finanziamento (costi “up front”, tra cui, ad esempio, spese di istruttoria e commissioni per intermediari e ogni altra spesa sostenuta al momento della conclusione del finanziamento).
L’estinzione anticipata del finanziamento è un vero e proprio diritto del consumatore, diretto a consentire in ogni momento, anche ricorrendo ad altre più vantaggiose offerte presenti sul mercato, una riduzione del proprio indebitamento e dei costi connessi all’erogazione del prestito.
Si tratta quindi di una facoltà centrale, pensata per consentire una corretta gestione del credito e, quindi, anche per scoraggiare pericolose situazioni di sovra indebitamento.
Per i prestiti con cessione del quinto dello stipendio o della pensione il rimborso anticipato, unito alla concessione di nuovo finanziamento, ha però spesso generato ingenti commissioni di intermediazione, a fronte della concessione di una modesta liquidità supplementare.
Numerose controversie
Dall’apertura del mercato della cessione del quinto ai lavoratori del settore privato si è registrata una significativa espansione di questi prestiti in uno scenario però caratterizzato da costi elevatissimi (il tasso soglia per l’usura è oggi pari al 18,2%), dovuti anche alle commissioni dirette a remunerare fitte e composite reti di intermediari.
Questo contesto ha generato estinzioni ricorrenti e moltissimi contenziosi che hanno richiesto l’intervento dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF).
Negli ultimi anni l’ABF è stato infatti chiamato a risolvere decine di migliaia di controversie in merito alla riduzione dei costi spettante al consumatore in caso di estinzione anticipata.
L’oggetto del contendere riguardava in particolare i costi assicurativi e alcune commissioni pattuite con elevati “margini di opacità”.
L’ABF in numerose decisioni ha sempre operato una netta distinzione tra i costi “recurring”, che il consumatore è tenuto a corrispondere in ragione della durata del prestito (quali ad esempio gli interessi e i costi assicurativi) e quelli “up front” che non dipendono invece dalla durata del prestito (come le spese di istruttoria e le commissioni di intermediazione).
Solo i primi potevano essere restituiti, mentre gli altri costi, di regola anticipati al momento della conclusione del contratto, rimanevano a carico del consumatore.
La “sentenza Lexitor”
Di recente, la Corte di giustizia, con sentenza dello scorso 11 settembre 2019 (nota anche come “sentenza Lexitor”), ha riconosciuto che la direttiva che regola la materia attribuisce al consumatore il diritto alla riduzione del costo totale del credito che include tutti i costi senza alcuna distinzione tra costi “recurring” e “up front”.
La riduzione del costo totale del credito senza distinzione tra costi inclusi o esclusi dalla riduzione, secondo la Corte di giustizia, è diretta a proteggere il consumatore che, trovandosi in una situazione di asimmetria informativa, non avrebbe un’adeguata tutela, in quanto la distinzione tra costi legati alla durata del prestito e costi da questa indipendenti sarebbe in ogni caso rimessa alla sola decisione dell’intermediario con maggiori difficoltà nell’individuazione dei costi che possono essere oggetto di riduzione.
La sentenza della Corte di giustizia impone un’immediata inversione di rotta che riguarda non solo le estinzioni anticipate future, per le quali non sarà ammessa alcuna distinzione tra le voci di costo, ma anche tutte quelle effettuate a partire dal maggio 2010, data di entrata in vigore della direttiva, per le quali il consumatore può chiedere la restituzione della quota dei costi up front non goduti a seguito del rimborso anticipato .
Spetta infatti alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 19 del trattato Ue garantire l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione presso tutti gli Stati membri.
I Paesi ed ogni autorità pubblica statale, compresi gli organi giurisdizionali, devono garantire il conseguimento dei risultati previsti dalle direttive, così come interpretate dalla Corte di giustizia. Le sentenze della Corte hanno poi efficacia vincolante per tutti i rapporti giuridici sorti prima della sentenza stessa, purché non prescritti.
Il parere di Bankitalia in attesa della decisione ABF
In questo senso si è recentemente orientata la Banca d’Italia che, con la propria comunicazione dello scorso 4 dicembre 2019, ha precisato che gli intermediari devono riconoscere il diritto del consumatore ad una riduzione di tutti i costi, escluse le sole imposte.
È attesa a breve una decisione del Collegio di Coordinamento ABF chiamato ad esprimersi sull’applicabilità dei principi affermati con la sentenza della Corte di giustizia.
Il riconoscimento del diritto ad una riduzione del costo totale del finanziamento, senza più distinzioni tra costi recurring, inclusi, e up front, esclusi, è un passaggio fondamentale per la tutela dei consumatori, e in particolare per i titolari di un prestito con cessione del quinto dello stipendio o della pensione che da anni sostengono costi elevatissimi e ingiustificati.
I costi eccessivi della cessione del quinto
Questi prestiti presentano infatti rischi del tutto limitati. La cessione dello stipendio, rendendo indisponibile una parte del reddito, elimina ogni rischio di inadempimento volontario (il debitore non può decidere di non pagare la rata, ad esempio per affrontare impreviste spese mediche).
L’assicurazione copre l’intermediario dal rischio di perdita di lavoro, disoccupazione, fallimento del datore di lavoro. Nonostante queste significative garanzie, il costo di tali prestiti è fin superiore a quelli non garantiti e, come si è accennato, oggi può superare il 18%, senza cadere in usura.
In un mercato concorrenziale e sufficiente, il costo complessivo dei prestiti garantiti dalla cessione del quinto dello stipendio dovrebbe essere non solo inferiore ai prestiti personali non garantiti, ma dovrebbe assestarsi su livelli prossimi a quelli dei mutui ipotecari, con l’aggiunta del costo della copertura assicurativa.
L’attuale livello dei costi dei prestiti con cessione del quinto può dipendere da molti fattori, ma vede certamente in primo piano le reti di intermediazione e le relative commissioni che rendono le offerte meno trasparenti e il mercato non adeguatamente concorrenziale.
Ripensare la disciplina per costi equi e mercato concorrenziale
La sentenza Lexitor può chiaramente disincentivare l’applicazione di queste commissioni o quanto meno ridurne la centralità, con l’effetto di accorciare la filiera del credito ai consumatori, rendere il mercato più trasparente e concorrenziale, con l’effetto di contenere i costi dei prestiti con cessione del quinto dello stipendio che hanno da tempo oltrepassato ogni livello di ragionevolezza a danno delle fasce più deboli della popolazione che spesso non hanno altra alternativa per accedere al credito.
Questa è forse l’occasione per un più generale ripensamento della disciplina della cessione del quinto, per fare sì che questo strumento di accesso ai prestiti sia offerto in un mercato concorrenziale e trasparente nel quale siano assicurati, anche con specifiche disposizioni inderogabili, presidi a garanzia di costi equi e sostenibili.
Fonte: Consumers’ magazine Movimento Consumatori dicembre 2019
di Paolo Fiorio, responsabile Osservatorio Credito e Risparmio MC