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Disturbo specifico del calcolo
Introduzione Lerner (1981) definisce la matematica come “…un linguaggio universale che rende gli individui in grado di operare, registrare e comunicare idee inerenti gli elementi e le loro relazioni di quantità…”. Poter stabilire relazioni di quantità tra gli elementi della realtà offre una considerevole possibilità adattiva e ci sono ragioni per ritenere che queste abilità siano filogeneticamente antiche e già presenti in specie subumane (Dehaene, 2000; Pasini, 1992) sia pure in forme rudimentali e non certamente come linguaggi formalizzati. Anche nella prospettiva ontogenetica vi sono evidenze che l’abilità di orientare l’attenzione alla dimensione della quantità e alle relazioni tra quantità diverse, in forme primitive dell’ordine di grandezze non superiori al 3, siano presenti già nel neonato (Antell e Keating, 1983; Dehaene, 2000). Tutto ciò porta a ritenere che esista una sorta di specializzazione funzionale nel sistema cognitivo per la “conoscenza quantitativa/numerica” che si fonda su una predisposizione innata e su strutture cerebrali specializzate, probabilmente localizzate nelle aree parietali (Fig.1). Ciò ovviamente non significa negare il ruolo dell’ambiente e dei processi di istruzione che consentono l’apprendimento della matematica come insieme formalizzato di principi, ma semplicemente che l’apprendimento di queste abilità è reso possibile dall’esistenza all’interno del sistema cognitivo di strutture specializzate, presenti fin dalle primissime fasi dello sviluppo, che orientano l’attenzione verso le caratteristiche rilevanti della stimolazione ambientale, cioè “la quantità di una certa cosa” (Gelman, 1990). Il linguaggio matematico, un po’ come la lingua scritta, è un sistema di rappresentazione simbolica che deve essere appreso e che infatti costituisce l’oggetto di un’istruzione formale a partire dalla scuola elementare; tuttavia i processi cognitivi di base (codifica linguistica e visuospaziale) che consentono il formarsi di queste rappresentazioni e la possibilità di operare su di esse, potrebbero essere geneticamente predeterminati, e in quanto tali soggetti a possibili disfunzioni. Gia in età pre-scolare (Gelman e Gallistel, 1978) i bambini possiedono una serie di abilità aritmetiche come: risolvere semplici problemi quantitativi contare enumerare insiemi di oggetti formulare giudizi di quantità Queste sono abilità naturali che nei termini piagetiani presuppongono la presenza di operazioni logiche di corrispondenza biunivoca, equivalenza, seriazione. Discalculia evolutiva La discalculia evolutiva è un disturbo strutturale dell’abilità matematica che ha origine in un disordine congenito di quelle parti del cervello che costituiscono il diretto substrato anatomofisiologico della maturazione delle abilità matematiche adeguate per l’età, senza una simultanea compromissione delle funzioni mentali generali (Kosc, 1974). I disturbi delle abilità matematiche occorrono raramente in forma pura nell’età evolutiva, mentre caratteristicamente si associano ad altri disturbi evolutivi specifici (ad esempio, della lettura, dell’organizzazione motoria, dell’attenzione). Essi costituiscono, comunque, a pieno titolo, un’entità nosografica autonoma, il cui statuto clinico è riconosciuto anche dai principali sistemi internazionali di classificazione diagnostica (DSM-IV dell’Associazione Americana di Psichiatria e, ICD-10 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). L’ICD-10, per esempio, prevede uno specifico codice diagnostico (F81.2) per i “Disturbi specifici delle abilità aritmetiche” che sono inclusi nella categoria più generale dei “Disturbi Evolutivi Specifici delle Abilità Scolastiche”, assieme ai disturbi della lettura e della scrittura. Il manuale diagnostico dell’OMS sottolinea che “…questi disturbi implicano una compromissione specifica delle abilità aritmetiche che non è spiegabile solamente in base a un ritardo mentale globale o a un’istruzione scolastica grossolanamente inadeguata. Il deficit riguarda la padronanza delle capacità di calcolo fondamentali, come addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione (piuttosto che delle capacità di calcolo matematico più astratto coinvolte nell’algebra, nella trigonometria o nella geometria).” (ICD-10, 1995) Oltre alla fondamentale incapacità nel calcolo, “…le difficoltà aritmetiche che possono verificarsi sono varie, ma tra esse sono incluse: un’incapacità a comprendere i concetti alla base di particolari operazioni aritmetiche; una mancanza di comprensione dei termini o dei segni matematici; il mancato riconoscimento dei simboli numerici; la difficoltà ad attuare le manipolazioni aritmetiche standard; la difficoltà nel comprendere quali numeri sono pertinenti al problema aritmetico che si sta considerando; la difficoltà ad allineare correttamente i numeri o ad inserire decimali o simboli durante i calcoli; la difettosa organizzazione spaziale dei calcoli aritmetici; l’incapacità ad apprendere in modo soddisfacente le tabelle della moltiplicazione. L’ampia varietà di difficoltà che può caratterizzare il quadro clinico della Discalculia Evolutiva, non significa che esse siano sempre tutte necessariamente presenti; infatti esiste sia una variabilità inter-individuale (tra soggetti diversi) che intra-individuale (in uno stesso soggetto nel corso dello sviluppo) nell’espressività del disturbo, in cui l’aspetto comune va probabilmente ricercato nei processi di base su cui poggia l’acquisizione delle abilità matematiche in generale. Questa eterogeneità dei profili clinici e di sviluppo non sempre riconducibili ad una eziologia univoca, apre questioni diagnostiche di non semplice soluzione. Recentemente la Neuropsicologia Cognitiva con l’assunzione di un’architettura modulare delle funzioni mentali, ha offerto una chiave di lettura nuova di questi disturbi, capace di riconciliare le diverse manifestazioni cliniche del disturbo all’interno di un modello coerente e onnicomprensivo, che prevede una frazionabilità interna delle componenti della funzione aritmetica. Temple (1994; 1997) ha evidenziato alcune questioni rilevanti a questo proposito: E’ possibile spiegare la Discalculia Evolutiva in relazione ai modelli normali di acquisizione e funzionamento dell’abilità matematica ? Ci sono evidenze di una indipendenza di queste funzioni dal funzionamento intellettivo generale? Esistono limitazioni della plasticità funzionale di queste aree che consente un ripristino della funzione? Esiste un percorso evolutivo unico di sviluppo di questa funzione, o vi sono più vie? Fino ai recenti sviluppi nell’ambito della Neuropsicologia Cognitiva, l’unica teoria psicologica che ha tentato di spiegare lo sviluppo del concetto di numero e di altri concetti matematici era quella piagetiana. Nella concezione di Piaget (Piaget e Szeminska, 1941) la matematica non può essere concepita come un dominio conoscitivo indipendente e autonomo. Esso è parte integrante dello sviluppo intellettivo generale e la struttura delle conoscenze nell’ambito logicomatematico seguono la stessa sequenza invariante di stadi che caratterizza complessivamente lo sviluppo cognitivo; lo stesso vale per le operazioni logiche che il bambino è in grado di applicare; operazioni che secondo Piaget, in parte precedono il periodo dell’istruzione formale (classificazione, seriazione, corrispondenza bi-univoca, ecc.). Tuttavia, questa concezione è stata recentemente criticata sotto vari aspetti, ma in particolare nell’ambito clinico, l’analisi neuropsicologia ha fornito evidenze di una dissociabilità delle funzioni cognitive (organizzazione modulare) e dei relativi corsi evolutivi, e questo fatto ha comportato anche una sostanziale modifica nell’approccio clinico-diagnostico alla valutazione di questi disturbi. Stime Epidemiologiche Non esitono molti studi di popolazione sulla Discalculia Evolutiva, ma i dati riportati da diversi studiosi oscillano tra il 3% e il 6%, in relazione alle diverse età del campione e ai diversi criteri diagnostici adottati, e non sembrano esservi differenze significative tra maschi e femmine. Precedenti storici I precursori delle moderne teorie neuropsicologiche possono essere individuati nelle “mappe frenologiche” del secolo scorso, che includevano aree specifiche per il calcolo (comprensione di numeri e quantità) e le dimensioni (giudizi di proporzione e spazio). Le prime idee delle abilità matematiche come funzioni cognitive complesse che costituiscono un sistema funzionale e che quindi non sono localizzabili in senso stretto in una singola area cerebrale, ma sono più probabilmente distribuite su più aree, si devono a Luria (1973), il quale ha ipotizzato un diverso ruolo delle aree associative parietali dei due emisferi, e in particolare: area parietale inferiore SN (struttura categoriale dei numeri e sintassi) area parietale DX (abilità visuo-spaziali come precursori dell’apprendimento dei concetti matematici). Questa prima distinzione tra il ruolo giocato dai due emisferi continua ancora ad avere una sua validità e il diverso locus funzionale interessato potrebbe essere alla base delle diverse associazioni con cui spesso la discalculia evolutiva occorre. Un’ipotesi clinica plausibile a questo proposito, è che nei casi di interessamento delle aree parietali SN più probabilmente vi sia un’associazione a disturbi specifici di lettura, mentre nei casi di interessamento delle aree parietali DX, la discalculia dovrebbe più verosimilmente essere associata a disturbi dell’organizzazione motoria. La relazione tra disturbi specifici delle abilità aritmetiche e aree parietali destre è stata recentemente ripresa da Rourke e Finlayson (1978) che include questi disturbi all’interno di una categoria più generale per la quale ha coniato il termine di “sindrome non verbale” e che presenta numerose analogie con la sindrome di Gerstmann, una sindrome neurologica acquisita che alcuni autori hanno ipotizzato esistere anche per l’età evolutiva (Benson e Geschwind, 1970; Kinsbourne e Warrington, 1963). Essa comprende quattro sintomi principali, tutte in relazione a un danno delle aree parietali: discalculia disgrafia disorientamento dx/sn agnosia tattile Inoltre, fino ai più recenti studi di neuroimmagini (Butterworth, 1999; Dehaene, 2000) non era chiaro quale particolare relazione potesse legare quattro sintomi apparentemente appartenenti a domini cognitivi così diversi. Infatti, questa particolare associazione potrebbe derivare dalla semplice contiguità di aree cerebrali specializzate per funzioni diverse, come già notato da Hinselwood (1917), più che da una fondamentale associazione cognitiva. Già prima dell’avvento della moderna Neuropsicologia Cognitivista, i clinici che avevano affrontato lo studio della Discalculia avevano evidenziato una eterogeneità di sintomi non sempre facilmente riconducibili all’interno di un modello eziologico unitario e avevano così iniziato a tentare una sotto-tipizzazione di questo disturbo dell’abilità matematica. Un primo tentativo di classificazione delle Discalculie Acquisite di deve a Hecaen e al. (1961) che avevano individuato almeno tre distinti sottotipi: Alessia e agrafia di cifre e numeri (errori nel recupero di numeri) Discalculia spaziale (errori nella collocazione spaziale) Anaritmetia (errori nell’algoritmo delle operazioni) In seguito Kosc (1979) ha classificato le Discalculie in sei sottogruppi: discalculia verbale (identificazione dei termini matematici) discalculia pratto-gnosica (manipolazione di oggetti) discalculia lessicale (lettura dei numeri) discalculia grafica (scrittura dei numeri) discalculia ideo-gnosica (comprensione dei termini di un problema) discalculia operativa (esecuzione degli algoritmi) Ognuno di questi diversi sottotipi può occorrere isolatamente o in associazione ad altri. Badian (1983) ha raggruppato le difficoltà che incontrano i bambini con discalculia all’interno di tre diversi profili funzionali: bambini che confondono le operazioni bambini che non apprendono e ricordano le “tabelline” bambini che hanno difficoltà con l’incolonnamento dei numeri Questi primi tentativi di classificazione forniscono una mappatura estensiva della possibile espressività del disturbo, tuttavia essi rimangono ad un livello descrittivo. Fino alla prima formulazione di modelli dell’architettura funzionale dei processi cognitivi sottostanti all’elaborazione del numero e del calcolo (McCloskey e al., 1985) non è stato possibile delineare una cornice interpretativa unitaria capace di cogliere le interrelazioni tra i diversi sintomi, all’interno della quale comprendere il significato funzionale di ogni particolare pattern di deficit osservato. Il modello elaborato da McCloskey e al.(1985) distingue tra 3 diversi sottosistemi funzionali: sistema di comprensione e produzione del numero (scomposto nei diversi codici in cui le entità numeriche sono rappresentabili: verbale, arabico, ecc.) sistema semantico di rappresentazioni interne astratte sistema del calcolo ( a sua volta scomposto in recupero di fatti aritmetici e procedure di calcolo ) I fatti aritmetici sono conoscenze apprese e immagazzinate stabilmente nella memoria a lungo termine, che possono essere utilizzate in modo immediato e spontaneo. Ad esempio: 2+3=5; 12- 4=8; 5x8=40; 100:2=50. Le procedure di calcolo sono essenzialmente gli algoritmi operatori utilizzati per produrre risultati aritmetici. Si osservi che con l’esperienza e l’apprendimento alcune procedure di calcolo, usate più comunemente, si trasformano in fatti aritmetici. Vediamo un esempio d’uso del modello di McCloskey in cui viene rappresentata la soluzione di un semplice problema di calcolo aritmetico: “8x3” oppure “otto per tre” che dir si voglia. 1. Il problema viene presentato a) in forma di cifre arabe e simboli matematici: 8 x 3; b) in forma scritta o parlata: otto per tre. 2. Il problema viene compreso correttamente utilizzando il relativo meccanismo di comprensione (decodifica delle cifre o delle parole) e viene convertito in un codice semantico astratto. 3. La rappresentazione astratta viene utilizzata per accedere al meccanismo di calcolo: fatti aritmetici o procedure/algoritmi. 4. Il meccanismo di calcolo utilizzato restituisce una rappresentazione semantica astratta. 5. La rappresentazione è inviata ad uno dei due meccanismi di produzione e sarà espressa: a) in forma di cifre arabe e simboli matematici: 24; b) in forma scritta o parlata: ventiquattro. Da questo modello deriva coerentemente una tassonomia dei disturbi delle abilità matematiche che rispecchia questa particolare organizzazione della funzione. Si possono così avere: disturbi nella processazione del numero (lettura e scrittura dei numeri) disturbi nel recupero di fatti numerici (tabelline e operazioni entro il 20) disturbi nella conoscenza procedurale (applicazione degli algoritmi delle operazioni) La Valutazione Diagnostica La valutazione clinica delle disabilità matematiche pone una serie di problemi in relazione alla eterogeneità di caratteristiche con cui questi disturbi possono manifestarsi nei diversi individui e nelle diverse fasi dello sviluppo. Questo implica che è necessario disporre di modelli teorici di riferimento capaci di guidare l’indagine clinica in modo razionale e mirato. Nonostante la prevalenza piuttosto elevata, la discalculia evolutiva resta un disturbo relativamente poco conosciuto ed esplorato e, di conseguenza, ancora poco diagnosticato. Un limite di questi modelli è che essi derivano dagli studi dell’adulto e non riescono di per sé a cogliere gli aspetti evolutivi che portano a sviluppare un’architettura funzionale matura dei “processi matematici”. E’ quindi necessario integrarli con le conoscenze derivanti dalla Psicologia Evolutiva, che si è occupata di spiegare come i bambini arrivano a sviluppare le abilità matematiche. Negli ultimi trentanni molte ricerche, che hanno ripreso la tradizione piagetiana (Gelman e Gallistel, 1978), si sono indirizzate allo studio di come il bambino arriva a conquistare la nozione di numero, e quali particolari difficoltà può incontrare nell’impadronirsi del sistema di notazione metrico-decimale. Tipicamente, i bambini iniziano a contare (apprendono la sequenza di etichette verbali che denotano le quantità) prima di essere in grado di stabilire una corrispondenza biunivoca tra il conteggio e l’enumerazione degli oggetti che contano. Il passo successivo è la conquista della “cardinalità”, cioè che l’ultimo numero dell’insieme comprende anche tutti i precedenti. Queste abilità si automatizzano lentamente e vengono applicate con piccole quantità (solitamente entro la decina), fino all’inizio della scuola elementare; qui il bambino è posto di fronte all’apprendimento formale delle caratteristiche peculiari e del funzionamento del sistema di notazione numerica a base decimale, vale a dire, agli aspetti lessicali e sintattici del nostro sistema numerico. I numeri fino al nove sono infatti etichette verbali arbitrarie, ma sopra il nove il sistema è organizzato secondo il principio stabile del valore posizionale delle cifre. Ciò rende il sistema dei numeri (un po’ come l’alfabeto) un sistema produttivo, ma perché ciò avvenga è necessario “appropriarsi” delle regole di combinazione (sintassi), che per alcuni alunni può essere fonte di relativa difficoltà. I disturbi aritmetici sono stati meno studiati di quelli della lettura e le conoscenze sugli antecedenti, sul decorso, sui correlati e sull’esito sono, allo stato attuale, piuttosto limitate. Tradizionalmente la valutazione in età pre-scolare si avvale delle classiche prove piagetiane di equivalenza, conservazione del numero, seriazione, ecc., ma non è chiaro se la carenza di tali abilità sia un precursore della Discalculia Evolutiva o, come è più probabile, di un ritardo intellettivo generale. Un indicatore diagnostico più predittivo potrebbe essere costituito da un deficit delle abilità visuo-spaziali (o sindrome “non-verbale”), ma mancano solidi dati empirici a sostegno di questa ipotesi, che resta piuttosto speculativa. Le difficoltà matematiche possono modificarsi nel corso dello sviluppo, in relazione al variare dei compiti di apprendimento che il bambino deve affrontare; così , già in età pre-scolare questi bambini possono presentare difficoltà di conteggio ed enumerazione; in seguito può essere difficile la transizione dal conteggio concreto (con le dita) al calcolo mentale e al recupero di fatti aritmetici; quest’ultimo disturbo, in particolare, può essere persistente; molti bambini discalculici non arrivano mai a una piena padronanza delle tabelline e alcuni autori (Shalev e al.,1988) lo considerano come la causa più comune di errore nel calcolo; più infrequentemente, ma non raramente, si osserva una mancata conoscenza e padronanza degli algoritmi di calcolo; e infine alcuni bambini faticano a conquistare la sintassi e la semantica del numero. Negli ultimi anni sono state pubblicate Batterie di test adatti a valutare queste diverse competenze (Lucangeli e al., 1998; Rossi e Malaguti, 1996). Alcuni bambini evidenziano specifiche difficoltà anche nella soluzione di problemi aritmetici, ma questa particolare disabilità nel problem solving non è una caratteristica specifica della discalculia; essa infatti caratterizza anche più profondamente altre patologie come ad esempio il ritardo mentale e richiede una capacità cognitiva più generale, oltre alla conoscenza del sistema dei numeri e del calcolo. E’ abbastanza comune trovare che i bambini discalculici comprendano la struttura concettuale del problema aritmetico, ma commettano qualche errore nella rappresentazione dei numeri o negli algoritmi di calcolo, mentre alcuni bambini con ritardo mentale possono leggere e scrivere bene i numeri ed eseguire correttamente le operazioni, una volta che hanno appreso l’algoritmo, ma hanno significative difficoltà nella comprensione della struttura logica del problema. In ogni caso anche il problem solving aritmetico costituisce oggetto della valutazione. Una prova che viene comunemente utilizzata è il subtest “Aritmetica” della scala WISC-R. Una prova più strutturata per la valutazione del problem solving aritmetico è il test SPM (Lucangeli e al., 1998) che consente di analizzare separatamente il contributo di alcune delle principali componenti cognitive che entrano in gioco nella soluzione di un problema: la comprensione la rappresentazione la categorizzazione la pianificazione lo svolgimento l’autovalutazione e fornisce in questo modo una mappa dettagliata delle abilità del bambino. Normalmente, una volta stabilita la diagnosi, è necessario condurre una serie di approfondimenti mirati a individuare con maggiore dettaglio le caratteristiche individuali del disturbo, attraverso un’analisi più sistematica e accurata del funzionamento delle diverse componenti che costituiscono il sistema dei numeri e del calcolo. Questo tipo di indagine è particolarmente importante, perché è proprio da essa che possono derivare le informazioni rilevanti alla formulazione di un progetto di rieducazione, che tenga conto degli specifici meccanismi deficitari, come dei processi che il bambino è in grado di controllare. La Rieducazione Qualunque sia il modello teorico al quale ci si vuole ispirare, la rieducazione deve tenere conto della variabilità inter- ed intra-individuale con cui la discalculia evolutiva può manifestarsi. Ciò richiede la progettazione di percorsi rieducativi per i diversi bambini e per le diverse fasi di sviluppo, in rapporto all’espressività del disturbo. Il modello di McCloskey e al.(1985) consente di rispondere in modo adeguato a questi vincoli, prospettando diversi possibili locus funzionali che possono essere alla base della discalculia evolutiva e suggerendo le prove adatte ad evidenziarli. Esso presuppone, infatti, che ognuno dei processi di elaborazione coinvolti svolga un ruolo specifico, relativamente autonomo, per cui ognuno potrebbe essere oggetto di una specifica rieducazione. Seguendo lo schema concettuale offerto dal modello di McCloskey e al.(1985), ad un primo livello, è fondamentale accertarsi che sia stata acquisita la conoscenza e la padronanza del sistema dei numeri e del suo funzionamento; in altre parole è necessario che il bambino comprenda gli aspetti sintattici e semantici del numero come espressione della quantità e controlli le operazioni di “transcodifica” che consentono di trasformare le sue diverse rappresentazioni con codici di formato diverso (verbale, arabico, ecc.). In un secondo tempo è necessario valutare sia l’efficienza dei processi del calcolo mentale rapido (operazioni di addizione e sottrazione entro il 20) e del recupero di fatti numerici, sia del calcolo scritto e della corretta sequenza esecutiva che ne è alla base (vale a dire l’algoritmo). In linea generale, il problema fondamentale della discalculia evolutiva, come di altri disturbi specifici dell’apprendimento, riguarda dapprima l’acquisizione e quindi l’automatizzazione delle conoscenze e dei processi basilari, inerenti al sistema dei numeri e del calcolo. Nella pratica, l’indicazione che emerge suggerisce di agire su un doppio binario: a) la presentazione del concetto sotto vari formati, anche di gioco o che si aggancino all’esperienza concreta, quotidiana, del bambino e, successivamente, b) la ripetizione dell’esercizio per consolidare la conoscenza appresa. Proprio in riferimento alla necessità di integrare questi due requisiti istruzionali, l’uso del computer acquista un ruolo strategico, sia come presentatore “amichevole” e “interattivo” dei concetti da apprendere (seguendo in questo la filosofia della pedagogia attiva, “ imparo meglio se faccio ”!), sia come presentatore “instancabile” di situazioni problemiche ed esercizi, con l’indubbio vantaggio di fornire un feedback immediato ma nongiudicante, della prestazione del bambino. Partendo dal modello di architettura funzionale elaborato da McCloskey e al.(1985) come cornice concettuale di riferimento, abbiamo sviluppato un “pacchetto” di software dedicati al recupero dei disturbi matematici. Ognuno di questi programmi ha come obiettivo la rieducazione di specifici processi previsti dal modello. Ogni unità di esercitazione si compone di due elementi distinti: uno indirizzato a rendere esplicite le operazioni cognitive sottese all’apprendimento di una particolare conoscenza matematica (ad esempio, il valore posizionale delle cifre come regola sintattica nella “costruzione” dei numeri); l’altro ha invece lo scopo di esercitare, fino ad una sufficiente automatizzazione, l’esecuzione di questi processi, che inizialmente potrebbero essere svolti solo in modo lento e controllato (Shiffrin e Schneider, 1977).