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Depositi iva, costi doppi per tutele duplicate


Sui depositi Iva - depositi fiscali per la custodia di beni nazionali e comunitari non destinati alla vendita al minuto nei locali dei depositi stessi e non soggetti all’Iva - si concentra la circolare n. 34 del 22 dicembre 2011, redatta da Assonime. Il documento evidenzia la necessità di una revisione, alla luce dei recenti interventi normativi e giurisprudenziali, dell’intera discpilina che oggi porta molti operatori a lasciare l'Italia per altri Stati Ue con regimi di deposito Iva meno farraginosi e, dunque, meno costosi.

Un esempio di eccesso di burocrazia è rappresentato dal disposto del decreto sviluppo – Dl 70/2011 – che prevede una fideiussione per le operazioni di immissione in libera pratica (pagando solo i dazi senza l'Iva) di beni non comunitari destinati a essere introdotti in un deposito Iva. Fideiussione che, oltre ad essere onerosa sia dal punto di vista degli adempimenti che da quello economico, si aggiunge ad altre garanzie già insite nella disciplina. Di fatto, il gestore del deposito Iva è responsabile in solido, se manca la buona fede, con il soggetto passivo del parziale o non versamento dell’imposta relativa all'estrazione.

Tra le questioni sollevate da Assonime nella circolare, una è sulla pronuncia della Cassazione - sentenza 12262 del 2010 - in merito al caso dei beni immessi in libera pratica non immagazzinati nel deposito: si considerano importati, rendendosi conseguentemente dovuta l'Iva all'importazione. Secondo Assonime, al contrario di quanto stabilito, varrebbe il meccanismo del reverse charge all'atto dell'estrazione dei beni dal deposito: l'Iva all'importazione non può essere ritenuta un tributo diverso dall'Iva interna.


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