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Le origini del pma

Il cane bianco da pecora, oggi pastore maremmano-abruzzese, è intimamente legato alla storia millenaria della nostra terra e delle sue genti. La pittura, la letteratura, l'arte del nostro paese recano preziose testimonianze del mondo pastorale e del suo bianco guardiano. Le greggi dell'ltalia centro-meridonale, infatti, da sempre hanno avuto come impavido difensore il grande cane bianco, il "canis pastoralis" già descritto duemila anni fa da Varrone e Columella. Se si osserva un gregge di pecore al pascolo si distinguono tra gli ovini i bianchi cani guardiani , spesso sdraiati in posizione dominante per controllare meglio il territorio circostante. Il compito fondamentale di questa razza, la sua stessa ragione di vita è la difesa del bestiame dai predatori ed in particolare dal lupo, che da sempre rappresenta un pericolo per le greggi nei pascoli montani. La pittura, la letteratura, l'arte del nostro paese recano preziose testimonianze del mondo pastorale e del suo bianco guardiano. Una citazione tra le tante possibili: gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nel palazzo Pubblico di Siena con le allegorie del buono e del cattivo governo raffigurano, già nei primi decenni del trecento, il nostro cane al seguito delle pecore. E chi non ricorda i versi di Gabriele D'Annunzio che, in "Alcyone", immortala il rito antico della transumanza?... "Settembre ,andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d' Abruzzo i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all'Adriatico selvaggio che verde è come il pascolo dei monti -......Rinnovato hanno verga d'avellano. E vanno pel tratturo antico al piano quasi per un erbal fiume silente su le vestigia de gli antichi padri...." Ed il Carducci, cantando il Clitumno, fiume divinizzato dagli Umbri antichi, evoca con nostalgia pagana scene di un mondo pastorale in cui ninfe e naiadi animavano la natura incontaminata. "Ancora dal monte, che di foschi ondeggia frassini al vento mormoranti e lunge per l'aure odora fresco di silvestri salvie e di timi, scendon nel vespero umido, o Clitumno, a te le greggi" E in terra di Maremma scrive Curzio Malaparte: "Molte e strane sono le voci della maremma, ma la voce più familiare, la più nobile e antica è la voce dei cani di maremma, dei cani pastori dal lungo pelo bianco e dalle orecchie attente e insieme pigre. Il loro latrato pieno di signorile indolenza copre ogni altra voce, si sposa al mormorio delle erbe selvatiche,al rombo della risacca, al fischio della tramontana,al nitrito dei puledri..E non v'è certo nessun incontro più caro al cuore di quello dei bianchi cani maremmani che all'improvviso appaiono sul ciglio dei poggi o sul limitare delle selve di tamerici, fra le dune marine, il lungo pelame arruffato dal libeccio, l'occhio fulvo dove muore il delicato bagliore del giorno.
Sono cani pastori, cioè custodi del gregge, ma più che di greggi sono custodi anch'essi delle tradizioni di questa terra.Sono i fedeli custodi del paesaggio, dei prati,degli ulivi, dei cipressi, dei lecci dal nero fogliame, i custodi di questa magra terra dove appare l'impronta delicata e forte dell' Apollo etrusco dalle lunghe trecce di donna sparse sugli omeri atletici..." L'origine del cane è molto antica e la sua presenza è accertata, fin dall'epoca romana, in tutti i territori della penisola nei quali veniva praticata la pastorizia. L'Abruzzo, in particolare, per le caratteristiche del suo territorio, ha avuto fin dal III sec. a.c. un ruolo centrale nell'allevamento ovino e tale centralità è proseguita nel Medioevo e nei secoli successivi fino ai nostri giorni tanto che questa Regione può essere considerata il cuore della pastorizia transumante del nostro paese.
Grazie alla tradizione pastorale di questa terra il cane ha mantenuto intatte, fino ad oggi, le sue caratteristiche funzionali e morfologiche. Il cane bianco difensore del gregge dai tempi più antichi è chiamato in Abruzzo "cane da pecora". negli anni cinquanta l'Ente Nazionale della Cinofilia Italiana gli attribuì il nome di "cane da pastore maremmano abruzzese", che è appunto l'attuale denominazione con cui viene registrato nel libro genealogico della razza. Con l'appellativo maremmano si è voluto probabilmente sia evidenziare che il cane era diffuso anche in maremma e comunque in un aerale molto più vasto dell'Appennino abruzzese sia offrire un riconoscimento ai cinofili toscani che per primi si interessarono a livello amatoriale della razza, diffondendone la conoscenza fuori dei confini italiani e realizzando i primi allevamenti cinofili.

Il cane da pecora deve essere dotato di un grande attaccamento al gregge, che non viene mai lasciato incustodito, di un'assoluta assenza di istinto predatorio verso le pecore e di un forte senso di protezione verso gli ovini, unito ad un grande coraggio che lo porta persino ad affrontare il lupo. Nella lotta contro questo temibile predatore, il vantaggio competitivo del P.M.A., stà nell'azione di gruppo: due, tre cani da pecora, infatti, sono in grado di opporsi con efficacia agli assalti del lupo. Il cane resta spesso solo al pascolo con gli ovini e pertanto deve fare affidamento soltanto su se stesso, sulla sua spiccata capacità di iniziativa e sul suo straordinario equilibrio caratteriale che gli permette di valutare se e quando attaccare di fronte ad un pericolo, senza aggredire mai in modo sconsiderato limitandosi anzi, a meno di casi eccezionali, ad un'azione meramente dissuasiva. Poiché deve difendere il gregge sempre e comunque, il P.M.A. deve essere diffidente verso tutto ciò che può rappresentare un pericolo per le pecore e dovendo vivere all'aperto sia con i rigori invernali che con la calura estiva la sua costituzione deve essere molto robusta e resistente. Si comprende e si apprezza la vera natura della razza soltanto quando si osserva il cane al lavoro con il gregge nei grandi pascoli montani, con il lungo mantello bianco increspato dal vento, lo sguardo fiero, l'incedere lento e l'atteggiamento apparentemente distaccato, le orecchie spesso mozzate ed il vreccale, tipico collare di ferro irto di punte, che lo protegge dal morso del lupo. i cani lavorano sempre in branco e sono generalmente imparentati tra loro. Nel branco vige una ferrea gerarchia, vi sono cani di tutte le età, dai cuccioli alle femmine, dai cani giovani al maschio adulto dominante che con il passare degli anni viene spodestato da un cane più giovane e più forte. Nel mondo pastorale la presenza del cane è legata ,esclusivamente, alla lavorazione del latte poichè la base alimentare del cane è il siero che rimane dopo la preparazione del formaggio e della ricotta.11 suo costo di mantenimento risulta così praticamente nullo e questo spiega la presenza di numerosi soggetti in un singolo gregge. La dieta liquida è a volte integrata con del pane secco ed arricchita periodicamente con le placente delle pecore al momento del parto.Nella tradizionale azienda ovina dell'Italia centrale l'inserimento al lavoro del giovane cane è automatico e favorito dall'esempio dei cani adulti.La selezione per il lavoro che il pastore opera è molto rigorosa e se il cane non ha le necessarie doti del buon cane da gregge è rapidamente eliminato. Il contatto del cane con l'uomo, soprattutto nei primi mesi di età, deve essere molto limitato per non correre il rischio che il cane, da adulto, preferisca la compagnia umana a quella delle pecore ed abbandoni il gregge per tornarsene a casa. In greggi non abituate alla presenza dei cani bianchi è necessario che questi siano inseriti in modo graduale (se si tratta di cuccioli questi si possono far crescere con gli agnelli che impareranno così a conoscerli e non temerli).Se l'inserimento riguarda cani più grandi o adulti, che già hanno lavorato con le pecore, è opportuno usare molta accortezza abituando gradualmente gli ovini alla presenza del cane dapprima legato o chiuso in un piccolo recinto dove gli ovini pascolano oppure in prossimità dello stazzo . Soltanto quando le pecore si saranno abituate alla presenza dei cani accettandola, senza manifestazioni di timore, si potranno tenere i cani liberi con il gregge.
C.P.M.A.