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Violenza primaria e anoressia nervosa
VIOLENZA PRIMARIA E ANORESSIA NERVOSAQuesto lavoro nasce da una riflessione sul concetto della “violenza primaria” di Piera Aulagnier
Al momento della nascita il bambino entra in un mondo di relazioni e di significati precostituito che viene presentato a lui dalla madre e, successivamente, dal padre. Il tratto fondamentale è che il cucciolo umano deve subire gli effetti del confronto con un discorso, una realtà e un’esperienza che lo hanno preceduto. Al bambino viene offerto uno spazio psichico, interpersonale e culturale che lo ha pre-investito e che gli assegna un nome, un ruolo e un posto all’interno di relazioni già esistenti (funzione di anticipazione genitoriale).
Questa situazione che inserisce il bambino all’interno di una relazione di significati già presenti viene chiamata dalla Aulagnier “violenza primaria”. Questa violenza certamente abusiva che il bambino deve subire è però necessaria e costitutiva: il bambino assume un primo ruolo e una prima identità come tale all’interno di una determinata cultura e rende possibile alla madre di interpretare il figlio e di soddisfare i suoi bisogni attraverso le espressioni corporali indicatrici di un eventuale piacere o disagio.
Questa violenza è inevitabile, ma deve essere limitata nel tempo: una madre, consapevole dei cambiamenti psico-fisici del figlio, a un certo punto deve avere la capacità di rinunciare al ruolo che ha avuto fino a quel momento (ovvero il ruolo di donartrice di significati pre-costituiti) e dovrebbe invece far sì che sia il bambino stesso a costruirsi e ad avere un proprio spazio psichico.
A volte, in alcuni genitori vi è l’impossibilità di riconoscere che all’interno della loro relazione con il figlio sia avvenuto un cambiamento e perpetuano così una “violenza” che non è più necessaria, ma diviene nefasta e mutilante per il bambino stesso, poichè questo rimane sospeso e fisso nell’immagine che lo specchio materno-paterno gli rende (si dice al figlio chi è e come deve essere anticipandogli qualsiasi risposta). Si mutila nel bambino la possibilità di pensare e di assegnare un senso ai propri vissuti, un senso anche diverso e/o contrario a quelle “verità” immutabili e inappellabili portate dal genitore.
Il concetto della violenza primaria che viene perpetuata (“violenza secondaria” secondo la Aulagnier) si inserisce bene all’interno delle dinamiche delle famiglie con una paziente anoressica.
La letteratura sottolinea infatti come in queste famiglie, se a livello apparente vi è una capacità di comunicare e di qualificare le proprie comunicazioni in modo coerente sia sul livello verbale che non verbale, nella realtà la modalità di relazione prevalente è il rifiuto dei messaggi altrui: viene sconfessata la definizione che il soggetto ha di sé stesso e dell’altro nella relazione. Come scrivono Rovera e Munno “Sarebbe comunque sempre presente una grave disorganizzazione della dinamica familiare, spesso mascherata da un aspetto esteriore di quasi normalità”
All’interno di questa non autentica relazione genitoriale la bambina sviluppa un concetto di Sé come impotente e inefficace La madre, ad esempio, sembra occuparsi della figlia in funzione dei propri bisogni anziché di quelli della bambina la quale esperisce il proprio corpo come un prolungamento di quello materno e pertanto appartenente a esso; l’unica modalità che ha la figlia per “impossessarsi” davvero del proprio corpo (di se stessa) sarebbe sottoporlo a una ferrea disciplina.
Questo insufficiente incoraggiamento e la proibizione della indipendenza porta all’estremo tentativo da parte della figlia di essere unica e speciale perché capace di fare cose straordinarie; questo voler essere una bambina perfetta, come modo per rassicurarsi che la madre non l’abbandonerà, fa sì che si sviluppi un falso Sé e di conseguenza una ribellione totale (il rifiuto di accettare il cibo per la sua valenza simbolica; per affermare il suo vero Sé.