STRUMENTI E TECNICHE PER LA VALIDAZIONE PSICOLOGICA DI UN PRESUNTO CASO DI ABUSO SESSUALE (1^parte)
Premessa
La lettura dei segnali non sempre chiari che il bambino manda è un passo fondamentale nel riconoscimento dell’abuso e impone un’attenzione particolare. A volte i bambini rivelano e quindi possiamo disporre di un segnale forte, ma più frequentemente questo non accade e abbiamo solo una serie di sintomi o di comportamenti “sospetti” che sembrano, ad una prima sommaria osservazione, aspecifici o ascrivibili ad altre cause.
Lavorando come psicologa in una Casa Famiglia che ospita minori affidati dai Servizi Sociali dei Comuni o dal Tribunale per i Minorenni, anch’io ho rilevato, in uno degli ospiti, una serie di segnali e comportamenti “sospetti” non accompagnati però da una dichiarazione relativa al presunto abuso.
Per il p roject work finale del “Corso in tecniche di diagnosi e cura del bambino maltrattato e della famiglia” , ho scelto di affrontare il tema della validazione psicologica anche per riflettere maggiormente su questo caso ed avere un quadro più chiaro della problematica.
Definizione di abuso
Gli abusi sono sempre l’espressione di una sofferenza intrapsichica e interpersonale che non coinvolge solo l’abusato, ma anche l’abusante e tutta la famiglia. Il fenomeno è complesso ed ha sempre aspetti che riguardano livelli individuali, familiari, sociali e culturali.
Si parla di abuso o maltrattamento fisico , quando i genitori o le persone legalmente responsabili del bambino eseguono o permettono che si eseguano lesioni fisiche, o mettono i bambini in condizioni di rischiare lesioni fisiche .
Quello fisico è sicuramente il maltrattamento più manifesto. Nel maltrattamento psicologico che costituisce invece la forma più nascosta e proprio per questo anche più devastante di maltrattamento, il bambino è svalutato, denigrato, umiliato e sottoposto a sevizie psicologiche.
In particolare, secondo la definizione di Kempe [1] l’ abuso sessuale del bambino è il coinvolgimento di soggetti “immaturi” e dipendenti in attività sessuali, con assenza di completa consapevolezza e possibilità di scelta, in violazione dei tabù familiari o delle differenze generazionali, agito da familiari, conoscenti, estranei.
Descrizione del caso clinico
A. viene inserito nella casa famiglia, dove collaboro come psicologa, e fin dai primi giorni emerge nel ragazzo un quadro molto complesso di problematiche ed una serie di segnali e comportamenti poco chiari.
A. è un ragazzino di 11 anni ed è ultimogenito di tre figli avuti dalla madre con tre uomini diversi. A. vive con la madre ed il secondogenito, che a sua volta mostra diversi problemi comportamentali; mentre con suo padre ed il primo figlio della madre, non ha quasi nessun rapporto. La madre ha chiesto ai Servizi Sociali di inserire il figlio in una casa famiglia, perché lei stessa ha problemi psicologici e non riusciva a gestire le problematiche del ragazzo, che spesso scappava di casa anche di notte. In particolare, la signora assume psicofarmaci e dorme diverse ore della giornata, durante le quali i figli non sono sorvegliati.
Per quanto riguarda la sua famiglia, il ragazzo appare molto riservato ed a volte timoroso di rivelare informazioni circa i suoi familiari. Rispetto alla figura del padre, sembra che il ragazzo parla molto raramente di lui, anche se sa chi è e dove abita; mentre per quanto riguarda i rapporti con il fratello, racconta che litigavano spesso. Riguardo alla relazione con la madre, anche se è stato osservato con lei un rapporto invischiato, il ragazzo ha affermato che preferisce stare in casa famiglia e che non avverte molto la sua mancanza. In uno degli incontri individuali con la sottoscritta, inoltre, A. inizia il colloquio riferendomi che la notte precedente non ha avuto episodi di enuresi e commenta questo episodio dicendo: “Voglio guarire, così mia madre è più felice”. Quando gli chiedo come mai a casa non riusciva a conseguire gli stessi progressi che invece sta avendo ora, afferma che la madre non lo curava perché non sta bene. In un altro colloquio, A. dice che è contento quando va a casa ed afferma inoltre che la madre è guarita perché la vede più allegra; ritiene invece che la madre prima era malata a causa dei problemi di enuresi del figlio. Mentre stiamo parlando della madre, il ragazzo inizia ad agitarsi, a ridere senza una ragione apparente e vuole andare in bagno. A questo punto inizia a ridere senza motivo in maniera irrefrenabile, perché afferma che gli viene in mente qualcosa che lo fa ridere ma non vuole rivelare cosa. Esprime anche la convinzione che nessuno si fida degli altri ed anche lui non ha fiducia delle altre persone, ma solo della madre.
Valutazione clinica
Nella valutazione psicologica della vittima di abuso sessuale, il primo importante passo è considerare l’ipotesi di abuso sessuale come una possibile ragione del disagio che viene manifestato, come punto di incontro di una serie di fattori personali, familiari, contestuali. Questa prima operazione non è così immediata e scontata, poiché spesso anche fra gli operatori scattano comprensibili quanto fuorvianti resistenze.
Il successivo passo è connettere tutti gli elementi emersi e procedere a una loro attenta valutazione che si svolgerà a vari livelli e coinvolgerà varie professionalità. Il percorso della valutazione si articola infatti in varie fasi, che prevedono l’interconnessione e la collaborazione di varie agenzie (servizi sociali, sanitari, magistratura minorile, ordinaria) e l’apporto di varie professionalità (medici, psicologi, assistenti sociali, magistrati), ognuna delle quali possiede precise funzioni e responsabilità, indispensabili per una corretta definizione del problema.
All’interno di questo percorso lo psicologo ha un suo ben definito obiettivo, quello cioè di stabilire la compatibilità del quadro diagnostico che emerge con un’ipotesi di abuso sessuale e quello di valutare i danni psicologici che l’abuso ha provocato, attraverso l’analisi dei vissuti traumatici della vittima. La valutazione psicologica dovrà portare quindi a formulare una diagnosi attraverso le modalità e le procedure proprie della professione di psicologo (Carini, Pedrocco Biancardi, Soavi, 2001) [2] .
Il processo da attuare per arrivare ad emettere una diagnosi, deve tener conto di alcune aree da indagare, che forniscono un quadro completo ed articolato entro cui collocare l’evento dell’abuso .
Una delle aree d’indagine è quella del terreno familiare in cui si è sviluppata l'esperienza traumatica. Esistono delle precondizioni relazionali necessarie al sorgere di un abuso, che riguardano sia fattori interni alla personalità dell'abusante, sia l'assetto dei rapporti di ruolo e potere nel nucleo, che fattori relativi alla vittima e alla sua vulnerabilità.
Un’altra area da studiare è la globale strutturazione psicologica della vittima. A tal fine verranno considerati non solo dati relativi al momento presente, ma tutti quelli che possono delineare il percorso evolutivo del bambino, la connessione di questo con fatti salienti della storia familiare, la completa raccolta dei possibili indicatori di una situazione traumatica… In particolare, vi sono degli indicatori di tipo fisico e psicologico che possono essere molto importanti per individuare e riconoscere casi di abuso sessuale a minori.
Un altro aspetto da considerare è costituito dalle rivelazioni del bambino riguardo al presunto abuso. Nella “Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all’infanzia” del CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia), per il minore la rivelazione dell’abuso sessuale è la conseguenza della presa di contatto con la propria esperienza traumatica. Per quanto si tratti di un passaggio positivo, esso comporta il rischio di una temporanea riacutizzazione della sofferenza e quanto più il bambino è stato danneggiato dall’abuso, tanto più può essere compromessa la sua capacità di ricordare e raccontare. La rivelazione, inoltre, è un processo e passa per fasi che possono non risultare lineari e logiche: questa va sempre raccolta e approfondita, anche se si presenta frammentaria, confusa, bizzarra, e va accompagnata, mettendo in atto congrui interventi di protezione e sostegno.
Essendo l’abuso sessuale un fenomeno fortemente improntato dall’ingiunzione (esplicita o allusa) del segreto e del silenzio, e dall’attivazione di sentimenti che inibiscono la narrazione (quali colpa, vergogna, tradimento...), la raccolta delle rivelazioni dovrà accompagnarsi a una grande attenzione nell’evitare elementi di “suggestione negativa” (squalifiche, ripetizione di domande, confronto con dubbi e perplessità dell’adulto, ricatto morale). Sarà necessario porre grande cura anche nell’evitare elementi di “suggestione positiva” nel dialogo, sovrapponendo idee, ipotesi e sentimenti dell’adulto alla narrazione del bambino, anticipando situazioni o particolari che possano condizionare il minore e alterare l’acquisizione dei dati.
L'ultima area è rappresentata dai vissuti più strettamente correlabili con l’esperienza traumatica e si tratta dell'aspetto più specifico e spesso più corposo del percorso diagnostico. Messo in atto attraverso i metodi d'indagine tradizionali delle diagnosi psicologiche (disegni, test proiettivi, osservazione di gioco) deve portare a raccogliere e ad analizzare elementi del mondo interno, in modo da capire se nel soggetto che si sta osservando, e che si suppone vittima di abuso, esistano gli esiti dannosi del trauma. Tale analisi può essere particolarmente confortata quando emergano dal materiale proiettivo anche contenuti molto specifici e trasparentemente collegabili, sia pure senza che venga abbandonato lo schermo dell'immaginario, agli eventi reali come riferiti (Carini, Pedrocco Biancardi, Soavi, 2001).
Nella valutazione psicologica di A. che vado ad illustrare, ho sottolineato innanzitutto tutti gli indicatori di tipo fisico e psicologico, che fanno sospettare un abuso sessuale, che ho individuato e riconosciuto. Ho somministrato, inoltre, una batteria di test grafici ed i risultati sono stati affiancati e confrontati con i dati raccolti attraverso altri strumenti diagnostici (colloqui individuali, osservazioni individuali e di gruppo) utilizzati abitualmente nella mia pratica professionale per avere una visione più completa possibile dei soggetti.
Ho scelto questi test perché, accanto ad una certa facilità di somministrazione in una casa famiglia e ad una attendibile standardizzazione, essi si mostrano particolarmente sensibili agli aspetti inconsci della personalità, che sono quelli che ci interessa maggiormente esplorare. Infatti, rispetto a questionari già strutturati, solo tali prove consentono e stimolano risposte emotivamente significative con un livello minimo di consapevolezza del soggetto, che tende così a proiettare nelle risposte, verbali o grafiche, i propri bisogni, sentimenti, aspettative ed angosce.
Per quanto riguarda gli indicatori e segni fisici presenti nell’anamnesi, al momento dell’ingresso in comunità, il ragazzo manifestava fenomeni di enuresi diurna, ma soprattutto notturna, ed adoperava il pannolino durante la notte. La sua incapacità di gestire l’urina era vissuta come un limite e per questo motivo mostrava una grande volontà di superare l’ostacolo, tanto da possedere un’agenda personale dove annotava le notti in cui non bagnava il letto ed ometteva le altre. All’inizio il ragazzo soffriva anche di fenomeni di encopresi; a volte tornava da scuola con le mutandine sporche di feci ed anche durante l’orario pomeridiano, pur riuscendo a defecare nel bagno, preferiva non pulire il sedere e tenerlo sporco. Si era anche notato che A. sembrava provasse piacere nell’ostentare le feci e l’urina (nelle mutandine e nelle lenzuola), fino al punto che accettava senza alcuna opposizione la scelta da parte dell’èquipe educativa di fargli lavare le proprie mutandine sporche a mano per cercare di sensibilizzarlo. Quello che per lui doveva essere un fastidio, sembrava invece rappresentare un momento di piacere. A questo proposito, sembra importante sottolineare un episodio accaduto nei primi mesi di permanenza nella Struttura. Durante una visita dall’urologo per i problemi del controllo sfinterico, nel momento in cui si è prospettato di procedere con una “peretta” per aiutarlo a sbloccare l’intestino, il ragazzo ha avuto una forte crisi di pianto, ha manifestato idee suicidarie e non ha voluto in alcun modo che gli venisse effettuata questa operazione.
Inizialmente mostrava dei comportamenti disfunzionali nelle modalità di assunzione del cibo: ad esempio teneva in bocca un alimento solido senza ingerirlo per un tempo prolungato e poi lo sputava nel piatto; non adoperava le posate e spesso portava il cibo alla bocca con le mani; non utilizzava il tovagliolo per pulirsi la bocca ma la propria maglietta. A., inoltre, beveva grandi quantità di acqua, sia dalle bottiglie che dal lavello, ed ostentava fenomeni di pirosi sia a tavola che in qualsiasi altra occasione.
Per quanto riguarda l’igiene e la cura della propria persona, all’inizio mostrava delle gravi carenze. Il ragazzo, infatti, è stato accompagnato nella Struttura in evidente stato di abbandono: ad esempio, aveva gli indumenti sporchi e logori, i capelli e le unghie sporchi e lunghi, gli occhiali lesionati e tenuti fermi dal nastro adesivo adoperato per gli imballaggi. Il ragazzo, inoltre, affermava di non sapersi lavare, poiché non lo faceva mai quando era a casa, ed aveva timore dell’acqua.
Per quanto riguarda i segni psicologici, quando A. è stato inserito nella Struttura, dal punto di vista socio-relazionale appariva riservato, timido, impacciato, insicuro. Incontrava delle difficoltà a relazionarsi con gli altri ospiti ed anche di fronte alle attenzioni degli adulti si mostrava freddo ed impassibile.
In un primo momento, inoltre, A. aveva degli atteggiamenti sessuali anomali: pronunciava parolacce, volgarità, faceva discorsi e gesti che richiamavano continuamente il sesso e la donna vista solo come oggetto di desiderio. Mostrava anche episodi di esibizionismo e condotte perverse: ad esempio, quando usciva dalla doccia camminava nudo soprattutto nei pressi delle camere delle ragazze, oppure chiamava ripetutamente l’operatrice per ogni schiocco pretesto e si faceva trovare senza lo slip. In diverse occasioni era stato sorpreso in atteggiamenti sessuali sia con coetanei che con un bambino più piccolo di lui ospiti della stessa Struttura;utilizza, inoltre, la masturbazione come “valvola di sfogo” per uno stress psichico che non riesce ad esprimere verbalmente.