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Il Burnout - bruciare dentro

Il termine burnout, letteralmente “esaurito” è comparso negli anni ’30 per descrivere l’incapacità, la perdita di prestazioni di un atleta dopo un periodo di grandi successi.


Il concetto di burn-out (alla lettera essere bruciati, esauriti, scoppiati) è stato introdotto per indicare una serie di fenomeni di affaticamento, logoramento e improduttività lavorativa risocntrati nei lavoratori inseriti in attività professionali a carattere sociale. Questa sindrome è stata osservata per la prima volta negli Stati Uniti in persone che svolgevano diverse professioni d’aiuto: infermieri, medici, insegnanti, assistenti sociali, poliziotti, operatori di ospedali psichiatrici, operatori per l’infanzia.


In ambito medico il concetto di burnout è stato formalizzato dalla psicologa statunitense Christina Maslach nel 1977.


Il burnout è un processo multifattoriale determinato da condizioni di stress lavorativo caratterizzate da uno squilibrio tra richieste/esigenze lavorative e risorse personali. La sindrome, non ancora del tutto conosciuta, compresa e formalizzata, costituisce un disturbo caratteristico che presenta aspetti tipici dei disturbi depressivi associati a fenomeni dissociativi. Il soggetto colpito da burn-out manifesta sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia), sintomi somatici (tachicardia, cefalee, nausea, ecc.), sintomi psicologici (depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti). Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool o di farmaci.
Gli effetti negativi del burnout non coinvolgono solo il singolo lavoratore ma anche l’utenza, a cui viene offerto un servizio inadeguato ed un trattamento meno umano.


Secondo Maslach, il burnout è un insieme di manifestazioni che possono essere raggruppate in tre aspetti:


  • Esaurimento emotivo
  • Depersonalizzazione
  • Ridotta realizzazione personale

Il nucleo della sindrome è un sovraccarico emotivo seguito da un esaurimento cronico o comunque di lunga durata. La persona viene molto coinvolta dal suo lavoro, al quale si dedica totalmente sacrificando altri aspetti della sua vita. Trascorso in questo modo un lungo periodo, l’operatore si accorge che i risultati ottenuti non sono proporzionati all’impegno profuso e sono scarsamente gratificanti.


Si passa così da un superinvestimento iniziale a un graduale disimpegno, ma le risorse consumate non vengono rigenerate da altre fonti di gratificazione e subentra un senso di esaurimento- Poiché l’attività lavorativa è di relazione con gli altri, si rende conto che l’unico modo per attenuare il disagio emozionale è di sottrarsi al coinvolgimento con le altre persone con le quali interagisce. Inizia così una serie di risposte di allontanamento dagli altri e di rifiuto delle loro richieste.


L’operatore può assumere atteggiamenti aggressivi o autolesivi e spesso mette in atto comportamenti di fuga (quali allontanamenti ingiustificati, pause prolungate, frequenti assenze per malattia). Il distacco crescente alimenta un atteggiamento di freddezza e indifferenza, dove i sentimenti vengono gestiti con cinica indifferenza. Il graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione ha determinato il passaggio dall’empatia alla apatia.


Questa posizione disumanizzante costituisce il secondo nucleo della sindrome del burnout: la spersonalizzazione. Il pensiero dominante dell’operatore è di non essere più in grado di aiutare i suoi assistiti, con profonda sensazione di inutilità e di non rispondenza del servizio in cui lavora ai reali bisogni dell’utenza.


La caduta del senso di autostima e di autoefficacia, sensi di colpa, vissuti di frustrazione e fallimento, il rifiuto per il tipo di persona che si è diventati costituiscono il terzo nucleo della sindrome, la convinzione di ridotta realizzazione personale.


La sindrome si sviluppa attraversando sei momenti di transizione:


  • Entusiasmo idealistico
  • Stagnazione
  • Frustrazione / Riduzione dell’impegno
  • Reazione emotiva
  • Declino
  • Appiattimento
  • Reazioni psicosomatiche

La prima fase è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale, motivazioni consapevoli (migliorare il mondo e se stessi, sicurezza di impiego, svolgere un lavoro meno manuale e di maggior prestigio) ed inconsce (desiderio di approfondire la conoscenza di sé e di esercitare una forma di potere o di controllo sugli altri, senso di onnipotenza)


Nella seconda fase l'operatore continua a lavorare ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. I risultati del forte impegno iniziale sono inconsistenti.


Si passa così da un superinvestimento iniziale a un graduale disimpegno dove il sentimento di profonda delusione avanza determinando nell'operatore una chiusura verso l'ambiente di lavoro ed i colleghi. Questa fase è caratterizzata da una serie di comportamenti tipici:


  • Accresciuto impegno verso gli obiettivi
  • Iperattività
  • Sensazione di non avere abbastanza tempo
  • Negazione dei propri bisogni personali
  • Contatti sociali limitati all’ambiente lavorativo
  • Debolezza costante e stanchezza continua
  • Sonno disturbato o insonnia

Nella fase della frustrazione il pensiero dominante dell'operatore è di non essere più in grado di aiutare nessuno, con profonda sensazione di inutilità e di non rispondenza del servizio ai reali bisogni dell'utenza. Il vissuto dell'operatore è un vissuto di perdita, di svuotamento, di crisi di emozioni creative e di valori considerati fondamentali fino a quel momento.


La frustrazione si manifesta con:


  • Diminuzione progressiva dei sentimenti positivi verso i propri assistiti
  • Rifiuto dei contatti con i propri assistiti e loro colpevolizzazione per eventuali problemi
  • Problemi di coppia e familiari con disimpegno e conflitti frequenti
  • Atteggiamento negativo e pessimista verso il lavoro
  • Fantasie di fuga, difficoltà a sopportare e completare l’orario di lavoro, assenteismo
  • Sensazione di essere sfruttato e imbrogliato dai propri colleghi
  • Interesse solo per gli aspetti materiali e di guadagno del proprio lavoro
  • atteggiamenti aggressivi (verso se stesso o verso gli altri)

Le reazioni emotive si manifestano poi con umore depresso o irascibile, senso di vuoto e anestesia emotiva, ideazione depressiva su temi di fallimento ed inutilità, rabbia e aggressività verso gli altri e l’istituzione, disturbi d’ansia


A seguito dei cambiamenti emotivi si rileva il declino delle seguenti capacità cognitive:


  • Riduzione delle capacità di attenzione, concentrazione e memoria
  • Difficoltà organizzative e di pianificazione
  • Comparsa di lievi stati confusionali
  • Irrigidimento del pensiero su schemi dicotomici (tipo bianco/nero, giusto/sbagliato, buono/cattivo)
  • Riduzione della capacità d’iniziativa
  • Fastidio e resistenza ai cambiamenti

L’individuo inizia ad appiattirsi, e diviene sempre più annoiato, disinteressato, perde interessi ed hobbies precedenti, allenta i suoi legami affettivi, tende a chiudersi in se stesso e ad isolarsi.


L’ultimo stadio della sindrome prevede la comparsa di disturbi psicosomatici di varia entità, fra cui l’indebolimento della risposta immunitaria, l’incapacità di rilassarsi, problemi sessuali, alimentari, disturbi digerenti, respiratori, cardiaci e abuso di droghe (sigarette, alcool, psicofarmaci).


Occorre provare ad ascoltarsi, a guardarsi dentro, a recuperare dentro di sé la propria motivazione e la propria capacità di alimentare desideri. Di fronte alle macerie dei propri ideali è quasi “normale” sentire il peso del fallimento delle proprie prospettive di autorealizzazione.


Il burn-out non è affatto un problema personale che riguarda solo chi ne è affetto, ma è una “malattia” contagiosa che si propaga in maniera altalenante dall'utenza all'équipe, da un membro dell'équipe all'altro e dall'équipe agli utenti e riguarda quindi l'intera organizzazione dei servizi, degli utenti della comunità oltre che il singolo individuo.


Per la sindrome da Burnout non si conoscono terapie efficaci, e in molti casi il decorso tende ad essere cronico, con l’unica soluzione efficace di cambiare ambiente di lavoro e professione.


Assume quindi importanza fondamentale la prevenzione della sindrome. La prospettiva teorica, condivisa ormai nella letteratura piu' recente, considera il burnout non solo come un sintomo di una sofferenza individuale collegata all'attivita' di lavoro, o come un possibile indicatore di inadeguatezze organizzative, ma anche come un problema di natura sociale, prodotto di dinamiche socio-politiche-economiche


Interventi:


  • aspetti organizzativi del lavoro
  • strategie diverse di "coping", che possono essere messe in atto da parte sia del singolo individuo (ad esempio, spostare i propri interessi dal lavoro al contesto extralavorativo; imparare a dire di no a certe richieste; prendersi delle pause o delle vacanze), sia del gruppo di lavoro (valorizzare i rinforzi e i sostegni sul piano affettivo; enfatizzare la cooperazione e lo scambio sistematico di informazioni e commenti).
  • Ai fini della prevenzione è inoltre importante una corretta informazione sui rischi del proprio lavoro e un’adeguata formazione per lo svolgimento in sicurezza delle proprie mansioni professionali (con supervisione)
  • Sul luogo di lavoro è importante che vi siano momenti di confronto e di sfogo con i propri colleghi e incontri regolari di supervisione, mentre nella propria vita privata si deve fare attenzione ad avere adeguati momenti di relax, una buona vita di relazione, interessi e valvole di sfogo.
  • Puo' essere utile utilizzare modalita' di coping centrate sulle " tecniche di distanziamento ": il riferimento e' al concetto di " detached concern ", interessamento distaccato, relativo ad un modo di essere nella relazione con l'utente, in equilibrio tra il coinvolgimento eccessivo e il distacco, cercando di ridurre l'intensita' dell'arousal emozionale sperimentato e di mantenere nei confronti dell'altro un interessamento umanamente ricco.
  • Il risultato di questa vita equilibrata è un atteggiamento di interesse distaccato, mescolanza di compassione, obiettività, empatia e distanza psicologica, che permette di svolgere le professioni socio-assistenziali in modo psicologicamente sicuro per se stessi e di certa utilità per i propri assistiti.
  • Sviluppo dell’equipe
  • Ridurre le richieste imposte agli operatori da loro stessi attraverso l'incoraggiamento ad adottare obiettivi più realistici.
  • Incoraggiare gli operatori ad adottare nuovi obiettivi che possano fornire alternative di gratificazione.
  • Aiutare gli operatori a sviluppare ed utilizzare meccanismi di controllo e di feed-back sensibili a vantaggi a breve termine.
  • Fornire frequenti possibilità di training per incrementare l'efficienza del ruolo.
  • Insegnare allo staff a difendersi mediante strategie quali lo studio del tempo e le tecniche di strutturazione del tempo.
  • Fornire periodici “controlli del burn-out” a tutto lo staff. Fornire consulenza centrata sul lavoro o incontri per lo staff che sta sperimentando elevati livelli di stress nel proprio lavoro.
  • Limitare il numero di pazienti di cui lo staff è responsabile in un determinato periodo.
  • Incoraggiare lo sviluppo di gruppi di sostegno e/o sistemi di scambio di risorse.