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PAZIENTE ONCOLOGICO: COME LA FAMIGLIA RIVESTE UN RUOLO ATTIVO

É difficile essere familiare di una persona che vive con il cancro, è vero, ma lo è ancora di più saper discriminare i modi e le strategie da adottare per aiutare a sostenere un nostro caro in questa battaglia.



I familiari di coloro che hanno una malattia oncologica vivono spesso nell'ambivalenza delle loro azioni e pensieri: “farò bene a non preoccuparmi?” oppure “oh, Dio dammi la forza per andare avanti”, “non riesco a sostenere questa situazione”, “come stai? Hai dormito?, Hai mangiato? Sei stato dal medico??” ecco questi sono solo alcuni degli esempi che la persona che ha un tumore si sente dire o chiedere in modo costante. Ma esiste un modo per non essere troppo invadenti e preoccupati oppure per stare alla giusta distanza? In effetti no, non è più corretto preoccuparsi tanto o per niente, ma il modo più funzionale per rapportarsi ad una persona che sta attraversando questa situazione è sicuramente dato dalla flessibilità e morbidezza sia nei comportamenti che negli atteggiamenti. Che vuol dire concretamente? Saper oscillare dall'essere vicino quando la persona si sentirà bisognosa di affetto e sostegno e lontano quando la persona sentirà di avere quelle risorse che le permettono di combattere in prima fila quest'evento. E questo com'è possibile farlo? Spostando l'attenzione e il focus da sé all'altro che vive l'evento malattia: cominciando ad ascoltare le sue sensazioni, i suoi bisogni attuali, i suoi obiettivi. Con il tempo poi, decorso della malattia permettendo, l'abilità del familiare potrà talmente raffinarsi che magari comincerà a comportarsi “come se” la malattia non ci fosse o non fosse mai esistita. Qualcuno potrebbe pensare che sia impossibile o addirittura controproducente per colui che vive questa sfida, ma in realtà è l'unico modo per far sentire alla persona che sta male che non la vediamo così, malata, ma la consideriamo sempre come prima, parte fondamentale della famiglia e non compatita. A volte il dolore o la rabbia di un familiare rispetto alla sorte, destino, Dio, che ha toccato il proprio figlio, compagno, genitore, è così forte che l'unica via d'uscita è isolarsi, vittimizzarsi, rinunciare a vivere e delegare agli altri le mansioni quotidiane: questo copione depressivo non solo non aiuta la persona malata di cancro ma la fa sentire in colpa, dispiaciuta per fai vivere all'altro questa condizione e quindi la sua battaglia diventerà duplice, da una parte il suo male, dall'altro la preoccupazione anche per i familiari. Questo amplificherà il suo dolore e non porterà ad attivare tutte quelle risorse che invece servono per far fronte agli urti della vita, ad essere resilienti. La resilienza, richiama la capacità dei metalli di essere duttili e flessibili, ed è quella tendenza delle persone a saper far fronte agli eventi critici, un po' come un grande albero che viene sbatacchiato dalle folate di vento, ma che non si spezza, e a saperli assorbire. Quindi mobilitare le risorse positive della persona malata come ad esempio coltivando se stessa, i suoi interessi, le sue passioni, insieme a un contesto familiare che non le ricorda ogni giorno di essere condannato a morte, ma addirittura di stare affrontando una delle tante sfide importanti della vita che lo possono non solo indebolire, ma addirittura rafforzare, può essere una via per favorire un'accettazione e una nuova visione dell'essere malato di cancro oggi grazie ad una famiglia attiva e partecipe in questa lotta.