Sei in: Articoli: Disturbi alimentari e autostima:

disturbi alimentari e rabbia

DISTURBI ALIMENTARI


E RABBIA





La rabbia è una emozione tipica, considerata fondamentale da tutte le teorie psicologiche poiché per essa è possibile identificare una specifica origine funzionale, degli antecedenti caratteristici, delle manifestazioni espressive, delle modificazioni fisiologiche costanti, delle prevedibili tendenze all'azione. Quindi, insieme alla gioia e al dolore, la rabbia è una tra le emozioni più precoci e primitive.



Essendo l'emozione la cui manifestazione viene maggiormente inibita dalla cultura e dalle società attuali, molto interessanti risultano gli studi evolutivi, in grado di analizzare le pure espressioni della rabbia, prima cioè che vengano apprese quelle regole che ne controllano l'esibizione. Inoltre, la rabbia fa parte della triade dell'ostilità insieme al disgusto e al disprezzo, e ne rappresenta il fulcro e l'emozione di base. Tali sentimenti si presentano spesso in combinazione e pur avendo origini, vissuti e conseguenze diverse risulta difficile identificare l'emozione che predomina sulle altre.


La rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica.


Pur rappresentandone i denominatori comuni, la costrizione e la frustrazione non costituiscono in sé le condizioni sufficienti e neppure necessarie perché si origini la rabbia Altri fattori sembrano infatti implicati affinché essa si origini, come ad esempio la responsabilità e la consapevolezza che si attribuisce alla persona che induce frustrazione o costrizione.


Ancor più delle circostanze concrete del danno, quello che più pesa nell'attivare una emozione di rabbia sembra essere la volontà che si attribuisce all'altro di ferire e l'eventuale possibilità di evitare l'evento o situazione frustrante.


Insomma ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno, soprattutto quando viene percepita l'intenzionalità di ostacolare l'appagamento.




L'emozione della rabbia può essere quindi definita come la reazione che consegue ad una precisa sequenza di eventi


1) stato di bisogno


2) oggetto (vivente o non vivente) che si oppone alla realizzazione di tale bisogno


3) attribuzione a tale oggetto dell'intenzionalità di opporsi


4) assenza di paura verso l'oggetto frustrante


5) forte intenzione di attaccare, aggredire l'oggetto frustrante


6) azione di aggressione che si realizza mediante l'attacco



Questo è quello che avviene in natura, anche se l'evoluzione sembra aver plasmato forti segnali che inducono la paura e di conseguenza la fuga, impedendo cosi l'aggressione dell'avversario. Nella specie umana, di solito, si assiste non solo ad una inibizione della tendenza all'azione di aggressione e attacco ma addirittura al mascheramento dei segnali della rabbia verso l'oggetto frustrante, questo anche perché la cultura e le regole sociali a volte impediscono di dirigere la manifestazione e l'azione direttamente verso l'agente che scatena la rabbia.







Tre possono quindi essere i fondamentali destinatari finali della nostra rabbia:



-oggetto che provoca la frustrazione


-un oggetto diverso rispetto a quello che provoca la frustrazione (spostamento dall'obiettivo originale)


-la rabbia può infine essere diretta verso se stessi, trasformandosi in autolesionismo ed auto aggressione.



Per quanto siano estremamente forti le pressioni contro la manifestazione della rabbia, essa possiede una tipica espressione facciale, ben riconoscibile in tutte le culture studiate. L'aggrottare violento della fronte e delle sopracciglia e lo scoprire e digrignare i denti, rappresentano le modificazioni sintomatiche del viso che meglio esprimono l'emozione della rabbia. Tutta la muscolatura del corpo può estendersi fino all'immobilità.


Le sensazioni soggettive più frequenti possono essere: la paura di perdere il controllo, l'irrigidimento della muscolatura, l'irrequietezza ed il calore. La voce si fa più intensa, il tono sibilante, stridulo e minaccioso. L'organismo si prepara all'azione, all'attacco e all'aggressione.



Le variazioni psicofisiologiche sono quelle tipiche di una forte attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico, ossia: accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa e dell'irrorazione dei vasi sanguigni periferici, aumento della tensione muscolare e della sudorazione. Gli studi sugli effetti dell'inibizione delle manifestazioni aggressive sembrano indicare che chi non esprime in alcun modo i propri sentimenti di rabbia tende a viverli per un tempo più lungo.



Le modificazioni psicofisiologiche che si manifestano attraverso la potente impulsività e la forte propensione all'agire con modalità aggressive sono funzionali alla rimozione dell'oggetto frustrante. La rabbia è sicuramente uno stato emotivo che aumenta nell'organismo il propellente energetico utilizzabile per passare alle vie di fatto, siano queste azioni oppure solo espressioni verbali. La rimozione dell'ostacolo che si oppone alla realizzazione del bisogno può avvenire sia attraverso l'induzione della paura e la conseguente fuga sia mediante un violento attacco.


Nell’uomo, i motivi alla base di un attacco di rabbia riguardano maggiormente la frustrazione di attività che sono connesse con l'immagine e la realizzazione di sé. Lo scopo in questo caso sembra più rivolto a modificare un comportamento che non si ritiene adeguato. L'arrabbiarsi, motivando chiaramente le motivazioni dello scontento, sembra infatti essere una procedura per ottenere un utile cambiamento.



Bene, passiamo ora ad analizzare le connessioni fra rabbia e disturbi alimentari:


La rabbia che si nasconde dietro ai disturbi alimentari è una rabbia che non fu espressa quando l’ambiente affettivo era “rifiutante”, “opprimente” e causa di ansie abbandoniche; una rabbia che copre ancora forti sentimenti di angoscia e di paura, ma che le ammalate si rifiutano di vivere, di esternare. Perciò i rapporti con i genitori e con gli oggetti d’affetto in genere sono intrisi di aggressività, di rabbia che si trasforma in sadismo. Ciò che ne consegue è un regime di terrore. L’ammalata pretende accondiscendenza incondizionata da parte di chi gli sta accanto .


E’, ancora, una rabbia che deriva dal non riuscire a controllare il proprio mondo interno, comprendere le proprie sensazioni, i propri reali bisogni, ma anche le proprie relazioni con gli oggetti d’affetto. L’anoressia in questo senso è anche un atto consapevole e attivo di controllo sul proprio corpo per tenere a bada cure invadenti.



Il rifiuto di mangiare può costituire un’attiva esternazione dell’ira e allo stesso tempo consente di sentirsi tranquilli e a proprio agio nel proprio corpo emaciato


E’ una rabbia che deriva dal senso di colpa: colpa perchè non ci si sente in grado di controllare i propri impulsi quando sopraggiunge la compulsione a mangiare; colpa perchè ci si sente responsabile per le preoccupazioni e le tensioni che il disturbo provoca all'interno della famiglia; colpa nel sentirsi incapace ad affrontare la vita; nel sentirsi una persona inadeguata e inutile e di non saper vedere nulla di positivo nel futuro, non sentendosi all'altezza delle situazioni. Rabbia perchè gli altri non comprendono e sanno solo giudicare; rabbia perchè in famiglia non c'è armonia; rabbia perchè gli altri sono egoisti; rabbia perchè non fanno nulla per capire le prprie esigenze e bisogni.


La rabbia è riferita agli altri e a tutte le carenze che il soggetto rileva nell'atteggiamento e nei comportamenti degli altri nei propri confronti.


Esse rappresentano il frutto di una delusione totale delle aspettative nei confronti della vita, delusione che investe contemporaneamente sè e gli altri. La ragione di ciò può essere individuata nel ciclo "Delusione - Aspettativa - Delusione" che è da intendersi come vero e proprio circolo vizioso dal quale è impossibile uscire; infatti la delusione, che il soggetto percepisce rispetto a sè e agli altri, non modificherà il mantenimento di determinate aspettative che continueranno ad essere deluse.


A questo punto viene da chiedersi che cosa c'entra il cibo in tutto questo.


E' noto come il cibo sia un elemento fondamentale di trasmissione di affetto a partire dalle relazioni primarie.


Il bambino, durante la poppata, vive il benessere dell'alimentarsi come indissolubilmente legato al calore materno, al senso di protezione, accudimento e amore che derivano dal contatto con la madre.


Successivamente, per la persona, il cibo manterrà la caratteristica di piacere e gratificazione.


Nei disturbi alimentari il ciclo "delusione-aspettativa-delusione" è responsabile di una massiccia perdita di riferimenti rispetto a sè e agli altri, e può far scivolare il soggetto in un mondo nel quale i significati prevalenti sono solo quelli dell'inadeguatezza personale (colpa) e della delusione dagli altri (rabbia).


In questo senso, le crisi bulimiche hanno una precisa funzione di compensazione alla delusione che invalida le aspettative di affetto, considerazione e comprensione da parte degli altri. Uno dei pensieri ricorrenti è proprio quello del "...tanto poi mangio!...". Esso anticipa l'unica possibilità che il soggetto vede utilizzabile per difendersi da quelli che sono i gravi motivi di insoddisfazione e delusione, che lo conducono alla sofferenza.


Per contro, la restrizione ed il rigido controllo alimentare dell’anoressica, che nei casi più gravi giunge sino al digiuno, ha una funzione prevalente di compensazione alla percezione negativa di sè.


Infatti, la restrizione che il soggetto effettua sul proprio bisogno e piacere di alimentarsi diventa uno strumento per sentirsi forti, capaci, adeguati.


In questi casi, sono frequenti affermazioni del tipo "... quando lo stomaco mi fa male e sento i morsi della fame, di colpo svanisce l'angoscia, mi sento a posto con me stessa, una che vale!...".


L'apparente paradosso di queste situazioni, in realtà, coincide con la disperata e inconsapevole ricerca di un ruolo personale, altrimenti non individuabile, perchè in balia di un mondo emotivo caotico e incontrollabile, privo di riferimenti e di prospettiva.


Il rapporto con il cibo è, quindi, un veicolo di espressione e, nello stesso tempo, di controllo di quelle che sono le difficoltà e le problematiche del proprio rapporto con la vita.


Associato a questo vi è la diversa connotazione della rabbia nella donna, ossia le determinanti psicosociali che orientano l’esprimersi di questa emozione nel genere femminile. La donna non si trova nelle condizioni socio-culturali di poter manifestare liberamente la sua rabbia. Ha l’obbligo di piacere. Deve essere non solo bella ma anche buona. Il suo comportamento non deve essere sgradevole o fastidioso, non può denunciare l’esistenza di disagi e conflitti. Il compito del “gentil sesso” è quello di abbellire il mondo, non di cambiarlo. La rabbia femminile è ammessa solamente quando sostiene e difende deboli o bambini. In queste occasioni infatti l’emozione perde le sue connotazioni egoistiche, tanto antiestetiche e poco femminili. La madre che tira fuori gli artigli per difendere la prole è una fiera e nobile tigre, la donna che alza la voce per difendere i suoi diritti è una gallina starnazzante. Attualmente la donna si trova di fronte ad aspettative complesse che la vogliono bella, tenera e materna da un lato e attiva, e competente dall’altro, con la necessità di rispondere contemporaneamente al modello tradizionale e a quello attuale emancipato. In questo contesto le proprie autentiche emozioni non hanno spazio e sfociano spesso in manifestazioni sintomatiche come ad esempio i disturbi alimentari.





DOTT.SSA ROMANO MORENA


PSICOLOGA-PSICOTERAPEUTA


SPEC. IN PSICOTERAPIA ANALITICA