Clinica della mente bipolare. Gli sviluppi recenti del pensiero di Diego Napolitani. Cap. 1
Nel 2004 Diego Napolitani propone un nuovo sviluppo del suo modello gruppoanalitico [1] .
Si propone di rivedere il concetto di “Sé individuale” inteso come “nucleo identitario forte” proprio della cultura psicoanalitica occidentale e, rifacendosi agli apporti della cultura orientale e alle più recenti intuizioni delle neuroscienze, postula l’esistenza, nella struttura mentale, di una componente non-Sé, primariamente femminile e relativamente autonoma, che andrebbe ad affiancare la componente maschile della “ratio” e a coniugarsi con essa.
“Maschile” e “femminile” sono, in questo contesto, termini usati in senso metaforico, come indicatori di differenze in grado di incontrarsi e congiungersi sul piano dell’et-et. Non si tratta, quindi, di un “maschile” e di un “femminile” inerenti al genere, ma piuttosto di due modalità di coniugare le possibilità del conoscere, di due componenti dei processi di conoscenza che informano la visione del mondo di ciascuno.
Nell’uso di questi concetti Napolitani si riallaccia alla neurofenomenologia di Varela e al suo postulare, accanto a un’ontologia “maschile” costituita come il fondamento dell’oggettività (quella che permea la razionalità filosofica e teologica, il pensiero scientifico, le gerarchie sociali e i dettati morali), un’ontologia “di genere femminile”, “più prossima a una sapienza preverbale, incarnata nella sua generatività materna, e quindi più prossima alla dimensione empatica della conoscenza, generalmente connotata come irrazionale” [2] . Si tratta di ciò che per Varela costituisce il fondamento dell’esperienza fenomenologica, la sua base “preriflessiva, affettiva, non concettuale, prenoetica. E’ difficile esprimerla a parole, precisamente perché precede le parole (…). E’ così ancorata a terra che non si è ancora risolta negli elementi di ragione che noi siamo portati a pensare siano le più alte espressioni della mente” [3] .
Altro riferimento di Napolitani è Winnicott con la sua concezione del “femminile” e del “maschile” – nella loro accezione “pura” – come modi diversi in cui si declina l’esistenza umana nella sua costitutiva ambiguità. Al fondamento femminile dell’identità individuale – che consiste nello stato di non-differenziazione primaria, nell’identità tra soggetto e oggetto che si realizza nell’esperienza di fusione del bambino con la madre - Winnicott assegna la capacità di ”essere”, che precede l’”essere insieme con” che appartiene al fondamento identitario “maschile”. Quest’ultimo entra in gioco al momento della differenziazione tra Me e non-Me, è parte del processo di separazione ed è collegato all’oggetto e alla dimensione pulsionale delle relazioni oggettuali. L’elemento “maschile” ricerca la gratificazione e sperimenta la frustrazione, mentre l’esperienza “femminile” di essere sperimenta la mutilazione [4] .
Coniugando questi riferimenti teorici con il concetto neurofisiologico di lateralizzazione delle funzioni cerebrali (in base al quale l’emisfero sinistro sarebbe specializzato per le funzioni razionali–maschili, quello destro per le funzioni intuitive-femminili) [5] , Napolitani propone il costrutto di “bipolarità della mente relazionale”.
Riprende il concetto di "atto concepitivo" di cui già aveva parlato in "Individualità e gruppalità" [6] e individua ora nella coniugazione tra "ratio" maschile (concettualizzata come "essere-nel-mondo", discontinuità, razionalità, parola, codici) e intuito femminile ("essere-il-mondo", continuità, intuitività, silenzio, empatia) la possibilità di concepire figli-idee, "concezioni", di trasformare ciò che Bion chiama "idee fetali" in conoscenza, nuovi concetti, visione del mondo.
Livia Botta
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[1] La nuova elaborazione si trova in D. Napolitani (2004), La bipolarità della mente relazionale. Il “maschile” e il “femminile” nei processi cognitivi. Prima parte, in Rivista Italiana di Gruppoanalisi , vol. XVIII, n. 1, pp. 7-23 e Seconda parte , in Rivista Italiana di Gruppoanalisi , vol. XVIII, n. 2, pp. 7-39, nonché in alcuni capitoli del volume D. Napolitani (2006), Luoghi di formazione. Complessità, formazione, l’Altro , Guerini e Associati, Milano.
[2] D. Napolitani (2002), Gli scritti di e su Francisco Varela: un’occasione , in Rivista Italiana di Gruppoanalisi , vol. XVI, n.3, p. 101.
[3] F. Varela , Quattro pilastri per il futuro della scienza cognitiva , in Rivista Italiana di Gruppoanalisi , vol. XVI, n.3/2002, p. 54.
[4] Vedi D. Winnicott (1971), tr. it. La creatività e le sue origini , in Gioco e realtà , Armando, Roma 1974, pp. 119-150.
[5] La letteratura sulla lateralizzazione emisferica riconosce nell’emisfero destro la sede di processi rapidi, paralleli, olistici. In esso vengono elaborate le rappresentazioni riferite a sensazioni, immagini, significati non verbali polisemantici delle parole, le percezioni visuospaziali, la comprensione di metafore, paradossi e contenuti umoristici. L’emisfero sinistro è sede di processi più lenti, lineari, attivi sequenzialmente, tempo-dipendenti. In esso vengono elaborati i significati delle parole e la definizione delle sequenze temporali di una storia. L’emisfero destro “percepisce il mondo per ciò che è”, il sinistro lo riduce in unità di informazione definite mentalmente e costruite socialmente. L’emisfero destro ha un ruolo dominante nella comprensione degli aspetti prosodici del linguaggio materno, il sinistro è coinvolto in attività motorie assertive di approccio ed esplorazione dell’ambiente. L’emisfero destro è motivato a un’attenzione rivolta all’interno, il sinistro a un’attenzione rivolta all’esterno. A sinistra sono le rappresentazioni degli oggetti del mondo mediate dalla memoria semantica, che possono essere manipolate e comunicate ad altri come pacchetti di informazione distinti, mentre a destra sta il mondo interno della mente, la capacità di “leggere” gli stati mentali propri e altrui (vedi D.J. Siegel, 1999, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale , Cortina, Milano 2001, pp. 174-78).
[6] Vedi D. Napolitani (1987), Individualità e gruppalità , Boringhieri, Torino, p. 170 e sgg.