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QUALE COMUNICAZIONE COL MALATO DI ALZHEIMER?

Per comunicazione dobbiamo intendere parole, gesti, emozioni tra colui che emette il messaggio e colui che lo riceve, infatti, si crea un flusso continuo e circolare di comunicazione, caratterizzato da voce, gesti, sensazioni tattili, dalla lingua e dall’ambiente e le situazioni. Se definiamo come “comportamento” qualsiasi cosa sia percepibile di una persona da parte di un altro individuo, possiamo affermare che ogni comportamento comunica qualcosa ed è impossibile non comunicare.

Il linguaggio è la capacità di usare, con lo scopo di comunicare verbalmente un certo numero di parole condivise da più persone e di organizzarle in maniera appropriata in modo da renderle messaggi. La malattia di Alzheimer colpisce proprio la comunicazione verbale, in modo sequenziale e progressivo. L’afasia, tipica espressione della malattia, consiste appunto nella perdita progressiva della capacità di utilizzo del linguaggio, prima nell’espressione e successivamente nella comprensione.

Tra i più precoci problemi di espressione che il malato può presentare c’è la difficoltà a trovare le parole corrispondenti al pensiero, problema strettamente legato agli effetti della malattia sulla memoria a breve termine: difficoltà a ricordare i nomi, sostituzioni di una parola con un’altra dal suono simile o dal significato simile, utilizzo di perifrasi (anello/è una cosa che gira intorno, cravatta/serve per vestire elegante), utilizzo di parole passepartout (roba, cosa), neologismi (parole inventate). Inoltre si possono riscontrare errori di pronuncia, perdita del filo del discorso, mancanza di logica e incoerenza delle frasi, risposte in eco, comparsa di espressioni scurrili e perdita progressiva della capacità di scrittura.

I problemi legati alla comprensione del linguaggio di solito si presentano più tardivamente e consistono nella difficoltà a tradurre le parole in pensiero. Ciò determina l’impossibilità a seguire discorsi dal ritmo veloce, sostenuti da più persone, con rumori di fondo confondenti. Il malato di fronte a tali gravi difficoltà inizialmente reagisce negandole e cercando di mascherare ai propri cari tali problemi. Le emozioni legate alla sempre maggior consapevolezza di tali difficoltà comprendono ansia, depressione, rabbia, senso di frustrazione e possono portare alla chiusura nel silenzio. I familiari reagiscono a tali mancanze cercando di venire incontro al loro caro, con un atteggiamento che spesso rischia di aumentare il senso di disagio e di incapacità del malato: suggeriscono le parole, completano le frasi interrotte, ripetono le domande, propongono le risposte. Tali tecniche risultano spesso infruttuose e controproducenti, e possono favorire da parte del malato la decisione di rinunciare definitivamente a parlare.

La malattia di Alzheimer sembra colpire solo tardivamente le capacità di comunicazione non verbale: i malati capiscono non tanto ciò che viene detto ma come viene espresso. Inoltre, il comportamento “disturbante” è spesso l’unica forma di comunicazione che il malato riesce a proporre per esprimere un suo disagio o un suo bisogno. Brusche e repentine mutazioni del comportamento possono comunicare che nell’ambiente c’è qualcosa di disturbante, che il malato avverte un dolore fisico, che ha bisogno di mangiare o di bere, che ha bisogno di andare in bagno, che non capisce o lo disturba ciò che gli viene chiesto di fare.

Le difficoltà di comprensione e di espressione non sempre procedono di pari passo: spesso il malato pur non riuscendo ad esprimersi, comprende ciò che gli viene comunicato

Risulta quindi di fondamentale importanza creare un ambiente che faciliti la comunicazione, utilizzare più canali di comunicazione contemporaneamente (parole + mimica e gestualità + immagini visive), rimanere sereni, calmi, disponibili, non spazientirsi dinanzi a risposte errate o incongrue, ignorare il linguaggio scurrile: ricordare che probabilmente è una reazione

automatica a qualcosa che lo ha innervosito, rispondere alle domande, anche se ripetitive: per il malato è sempre la prima volta!

Inoltre, per quel che riguarda la comunicazione verbale è di fondamentale importanza non sottovalutare piccoli accorgimenti come presentarsi, chiamare per nome, trattare le persone come adulti, utilizzare un tono della voce dolce e pacato, formulare frasi brevi, precise, composte da parole semplici e chiare, parlare lentamente e dare tempo per rispondere, evitare di contraddirlo e informare su ciò che si sta facendo.

Ma l’approccio comunicativo più efficace è quello inerente la comunicazione non verbale attraverso l’espressione del volto distesa, serena e sorridente, la vicinanza fisica, la gestualità rassicurante, mantenere un contatto visivo, assumere una posizione frontale di dialogo, recuperare l’attenzione toccando la mano, accarezzando, chiamando per nome e, se necessario, abbracciare o prendere sottobraccio il malato.

Tale metodo di comunicazione efficace col malato di Alzheimer è chiamato Conversazionalismo, il cui obiettivo è il passaggio da una comunicazione inefficace ad una conversazione felice, orientata ad infondere protezione, sicurezza e serenità nel malato. Questo metodo prevede due funzioni del linguaggio: una funzione comunicativa (scambio di significato), che nella malattia di Alzheimer decade precocemente, e una funzione conversazionale (scambio di parole), che invece viene conservata. La perdita della competenza comunicativa determina frustrazione e rabbia, tali da indurre l’abbandono dell’utilizzo della parola, con la diretta conseguenza della perdita indotta anche della competenza conversazionale. L’isolamento che ne deriva provoca una disabilità funzionale e un deterioramento che possono essere reversibili. Per evitare tale processo, il cambiamento nell’atteggiamento verbale del curante dovrebbe essere finalizzato a tener vivo l’utilizzo della parola da parte del malato di Alzheimer.

In sintesi, alcune linee guida per una felice conversazione sono:

- Ascoltare

- Evitare di porre domande, utilizzare solo frasi dichiarative

- Evitare di interrompere

- Evitare di completare parole o frasi

- Evitare di correggere

- Rispondere in eco

- Restituire frammenti autobiografici

- Accompagnare il malato nel suo “mondo possibile”, senza contraddirlo.





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