VERBASCO (Tasso Barbasso Scrophulariacee)
VERBASCO ( Tasso Barbasso Scrophulariacee)
Si tratta di una pianta particolare: nel primo anno di vita, si nota una rosetta di foglie grandi: nel secondo anno, nasce dalla rosetta un fusto, semplice, diritto, coperto di foglie alterne e disposte a spirale. I fiori sono gialli, raggruppati in fasci, formanti una lunga spiga terminale, semplice o ramosa. Durano un solo giorno, ma vengono sempre sostituiti da elementi nuovi. Il frutto è una capsula, con numerosi piccolissimi semi dalle proprietà tossiche, rugosi e neri all'interno. Il Verbasco fiorisce da maggio a tutta l'estate e cresce bene nelle zone temperate-fredde, nei terreni abbandonati, soleggiati, incolti, tra le rocce e lungo i sentieri.
Le foglie ed i fiori vengono raccolti in estate, in giornate asciutte ed essiccati al sole: i fiori assumono un sapore dolciastro, simile al miele. Entrambi, se esposti all’umidità, imbruniscono perdendo le loro caratteristiche.
I fitoterapeuti del passato hanno tramandato che “l'erba Verbasco pestata e sotto forma di impacco, in poche ore calma, con molta efficacia, il dolore della gotta, così da permettere anche la deambulazione. Trattasi di metodo di grande efficacia”
Il Verbasco è detto anche “Tasso Barbasso”: questo nome è quello usato da Plinio e probabilmente deriva dal latino “barbascum”, che significa “barbato”, con riferimento alla diffusa pelosità di queste piante. E' conosciuto anche come “candela regia”, perché i gambi decorativi erano utilizzati, nell'antica Roma, come candele durante i funerali e le cerimonie, o “Lumino delle streghe”, perché nel Medioevo era associato alle pratiche magiche e la sua peluria era adoperata come stoppino per candele; è una pianta arbustiva biennale, rustica, vellutata, che raggiunge i 50 - 200 centimetri d'altezza, con radice a fittone e fusto lanuginoso in tutte le sue parti.
Il Verbasco ricorda anche il mitico Ulisse: si racconta che ne portò una piccola quantità con sé, al fine di proteggersi dagli inganni della maga Circe.
I nostri Cimbri, invece, usavano la polvere delle foglie essiccate come tabacco da fiuto e le foglie fresche come stoppini per i ceri. Oppure, facevano bollire, in un po’ di olio, una manciata di fiori di Verbasco, raccolti di mattina: il composto, spremuto e conservato in un recipiente chiuso, veniva usato come impacco in caso di geloni.
Usavano anche i fiori freschi contusi nel caso di punture di insetti o per la preparazione di composti schiarenti dei capelli. I Cimbri lo chiamavano “humalprant”, che significa “incendio del celo”, perché una antica credenza germanica raccontava: “il fulmine cade sulla casa di colui che strappa un Verbasco”.
I fiori hanno proprietà sedative, (si impiegano contro le bronchiti anche asmatiche e nella cura del catarro cronico), espettoranti, antispasmodiche, emollienti, antinfiammatorie. Poiché la peluria che ricopre la pianta risulta essere irritante per le mucose della bocca, è bene che i preparati vengano filtrati con cura attraverso garza a trama fine.
Le foglie sono cicatrizzanti e trovano largo impiego sotto forma di cataplasma o impacco lenitivo in presenza di ascessi alle gambe e nella cura delle emorroidi.
Stranamente, di tutte le parti del Verbasco impiegate per preparati da utilizzare nelle varie affezioni, in medicina popolare è stata dimenticata la radice, tranne che in Sicilia: lì è rimasto vivo, tramandato oralmente e, a tutt'oggi seguito, un inusuale metodo di applicazione…terapeutica (?!) della radice nella cura delle emorroidi. Naturalmente, non ha trovato diffusione in fitoterapia! Si tratta di raccogliere la radice fresca, senza pulirla e tagliarne quattro rondelle; metterle in un sacchetto di cotone chiuso e riporlo in una tasca qualsiasi dell’abito che si indossa. La restante parte di radice si conserverà in frigorifero, riposta in un sacchetto di plastica, che la preservi dall’umidità. Ogni settimana verrà ripetuta l'operazione, cambiando i pezzetti di radice, fino a completa scomparsa delle emorroidi. Certo, è difficile credere che un tale metodo possa riuscire efficace: qualcuno ha provato e qualcuno sostiene di essere guarito.