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Storia dei costumi sessuali nell'antica Roma

I costumi sessuali nell’antica civiltà di Roma erano caratterizzati da due atteggiamenti, quasi sempre antitetici. Il primo si riferisce alla “romanità” tradizionale fatta di compostezza e rigore con un grande culto per la famiglia e la fedeltà coniugale. L’altro aspetto, invece, riguarda la sfrenata libertà sessuale che implica l’infedeltà ed anche la prostituzione a tutti i livelli sociali, nonché l’omosessualità. Quest’ultima però in forme assai diverse da quelle esistenti nella Grecia classica.

I baccanali, riti orgiastici in onore di Dioniso o Bacco, in una certa epoca furono aperti anche agli uomini e si diceva che avvenissero sempre più frequentemente pratiche sessuali incredibilmente sfrenate. Al punto che, nel 186 a. C., il console Albino, con l'assenso del Senato, arrestò e processò ben 7mila baccanti. Molte furono condannate a morte, altre imprigionate.

Certamente la fedeltà coniugale era esaltata. Si ricorderà l’episodio di Lucrezia che, moglie di Tarquinio Collatino, fu violentata dal figlio di Tarquinio il Superbo (ultimo re di Roma). Ebbene, lei non sopravvisse all’oltraggio e si uccise. I romani si adirarono a tal punto per questo spregio alla fedeltà coniugale che rivoltandosi contro il re lo cacciarono e contribuirono così all’instaurazione della Repubblica.

Altri aspetti dei costumi sessuali di Roma vengono meglio spiegati dalla notevole diffusione della schiavitù. Infatti la popolazione era suddivisa tra uomini liberi e schiavi. Il padrone, avendo poteri assoluti verso i suoi schiavi, richiedeva spesso prestazioni sessuali. Altro elemento caratteristico di Roma riguardava la distinzione tra persona “attiva” e “passiva” da un punto di vista sessuale. Il vero uomo che era libero, cioè il vir, doveva avere un ruolo attivo e se fosse stato scoperto in un ruolo passivo sarebbe stato coperto di infamia; sarebbe stato cioè impudicus. Viceversa lo schiavo poteva anche rivestire un ruolo sessualmente passivo senza che questo fosse considerato anormale. Gli stessi rapporti sessuali passivi in una coppia venivano considerati contro natura ed infamanti, ad esempio l’omosessualità passiva maschile, e quella femminile soprattutto per le donne che avevano un ruolo attivo. Secondo Seneca, persino l’uomo che in un rapporto eterosessuale accoglieva la donna a cavalcioni su di lui veniva considerato passivo e pertanto degno di disprezzo.

La pratica della prostituzione riguardava anche le classi sociali più elevate. Giovenale racconta le dissolutezze di Messalina moglie dell’Imperatore Claudio che si recava mascherandosi nei postriboli più luridi per accoppiarsi con uomini i tutti i tipi e razze. Il poeta racconta anche di altre matrone che in mancanza di anticoncezionali ricorrevano ad un rimedio estremo: castrare i loro amanti!

A Roma l’incesto era severamente punito ma erano vietati anche i rapporti sessuali tra fratelli e sorelle, cugini, zii e nipoti, suoceri e nuore o generi. Esisteva poi un particolare tipo di omosessualità che era diffusa soprattutto tra i legionari e che consisteva nell’affermare da parte del vincitore la sua supremazia mediante la sodomizzazione del vinto che veniva così umiliato e degradato al livello di femmina. Questi atteggiamenti rivelano una società dai tratti crudamente maschilisti.

Infine viene descritta un tipo di omosessualità letteraria in cui si vagheggiavano queste pratiche perché la tradizione letteraria spingeva ad adeguarsi ai grandi modelli greci. Nelle classi elevate vigeva anche una moda per cui un giovane poteva avere un compagno che poi lasciava definitivamente allorquando avesse contratto un regolare matrimonio.