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Ritroviamo le radici dello shiatsu
Uno studioso di medicina cinese, nel sottolineare la sostanziale differenza e l'originale capacità preventiva dell'approccio tradizionale orientale, scriveva: "Mentre si può paragonare un medico occidentale forse al massimo con un arbitro di gara o di misura, il medico cinese si vede nel ruolo di allenatore che deve scoprire gli errori e correggerli con duro lavoro assieme ai suoi protetti".
Nello shiatsu, secondo me è tutto diverso; l'operatore, il praticante shiatsu, tori insomma, svolge il ruolo del compagno di squadra; non sta al bordo del campo, gestore estraneo di cambiamenti altrui, ma si butta nel gioco, partecipa con uke al processo evolutivo, vive da dentro lo scambio, la comunicazione, il risveglio vitale che lo accomuna a uke.
Abbiamo per anni, complice la giovane età della nostra disciplina, scimmiottato medici ordinari e alternativi, paramedici e fisioterapisti, mutuando il loro linguaggio e imitando i loro comportamenti. Forse è tempo che rivolgiamo l'attenzione "dentro" la nostra esperienza alla ricerca degli elementi originali che sono scaturiti dalla pratica shiatsu e ne hanno generato la "diversa" efficacia, quell'enorme capacità di coinvolgimento che l'hanno fatta diventare un "fenomeno sociale".
Forse è tempo di riconoscere e fermarsi a riflettere sugli elementi costitutivi dell'esperienza shiatsu e di enucleare alcuni fatti, riconoscibili e riconosciuti da tutti i praticanti, che costituiscano i germi di un modello e di un linguaggio originati dalla e nella pratica shiatsu, sui quali edificare una nuova cultura, non intesa come edificio teorico astratto di massimi sistemi, ma come punto di vista originale legato al modo concreto di procedere nelle esperienze.
Io ci provo. Mi sembra che i principi base caratteristici costituenti il nucleo dell'esperienza shiatsu siano:
· "Lo shiatsu si fa in due": nasce dall'incontro di collaborazione su un piano paritario tra due soggettività, uke e tori.
· Nello shiatsu la tecnica di contatto-comunicazione è una sola: la pressione.
· "Lo shiatsu è una disciplina in cui la persona, anzi le due persone entrano nella loro globalità": nello shiatsu non esiste separazione o distinzione tra fisico e mentale, tra teoria e pratica, etc.
· L'affermazione "lo shiatsu si fa in due" può sembrare banale, invece si rivela un sovvertimento radicale di tutti i nostri comportamenti e modi di intendere il rapporto con noi stessi e gli altri. Nel trattamento-incontro shiatsu tori entra con tutta la sua completezza, unità, autonomia e uke entra con tutta la sua completezza, unità, autonomia; se lo shiatsu funziona, tori e uke diventano, mantenendo la loro individualità, una nuova entità che costruisce un proprio nuovo assetto di completezza. In questo sia tori che uke portano attivamente la propria parte con quanto di armonico e disarmonico possiedono; incredibilmente, se l'approccio è corretto, ne nasce un risveglio vitale, un potenziamento delle facoltà, una esaltazione delle qualità migliori sia in uke che in tori che genera benessere in tutti e due. E' come il risveglio culturale e biologico che nasce dall'incontro di due popoli, di due tradizioni, quando queste interagiscono sinergicamente. Si può obiettare che il più delle volte due popoli e due culture non si incontrano ma si scontrano cercando di prevalere; e infatti, non è l'incontro generico che crea gli effetti sopracitati, ma "l'incontro-shiatsu" con le sue caratteristiche peculiari. Nello shiatsu la tipologia di contatto (pressione statica), la tecnica adeguata (pressioni rispettose e attente alle risposte di uke) e l'addestramento di tori (il praticante shiatsu lavora per anni per essere adeguato all'incontro), sono tali da garantire che l'incontro sia costruttivo e realizzi il miglior risveglio delle energie dei due "partecipanti al fenomeno".
· Nello shiatsu non c'è una parte attiva e una passiva, una che sa e l'altra che ignora, una che decide e l'altra che si affida. Al di là dell'apparente movimento di tori e abbandono di uke, se allo stimolo di tori non corrisponde la risposta di uke, non c'è incontro, non c'è cambiamento, non c'è shiatsu. E' solo dall'incontro tra lo stimolo e la risposta vitale che nascono il rapporto shiatsu e il benessere di ambedue i soggetti. Quanto a sapere o essere ignari: è la saggezza naturale "interna" di uke che sa di cosa ha bisogno e che orienta gli effetti e i risultati. L'atteggiamento passivo del "paziente" e la posizione di potere del "terapeuta", in cui una parte ignora cosa gli stia succedendo e si affida a colui che sa ed è in grado di intervenire, è un atteggiamento estraneo allo shiatsu. Ambroise Paré illustre clinico soleva ripetere: "io e uke ci siamo incontrati attraverso le pressioni e la nostra vitalità si è risvegliata"
· Mi ha sempre stupito come un trattamento uguale, un kata eseguito nella stessa identica maniera anche da uno studente alle prime (meglio alle seconde) armi che non è ancora in grado di differenziare le pressioni secondo il bisogno, abbia effetti estremamente diversi su persone diverse; rilassa lo stressato e risveglia l'ipotonico, toglie il mal di schiena a tizio e il mal di testa a caio; faccio il kata a sempronio per la stitichezza e succede che dorme meglio...; uke indirizza, al di là delle mie intenzioni e obiettivi, l'effetto degli stimoli "sa" di aver veramente bisogno. Nell'universo shiatsu, uke non ha un funzionamento "meccanico" come nella medicina convenzionale, ma dinamiche che sono al di là della nostra capacità di comprensione; ha una sua armonia, un suo equilibrio ed un dinamismo che nessuno di noi è in grado di capire e tantomeno di gestire. Come qualsiasi sistema complesso, l'organismo (o meglio, la persona) è autoorganizzato ed è capace di autoripararsi. Oscilliamo intorno ad una condizione di equilibrio teorico (con variazioni dipendenti da mille diversi stimoli - clima, stagioni, emozioni, attività, rapporti, cibo etc.-) con dinamiche di riequilibrio spontaneo, in cui l'incontro shiatsu può costituire uno stimolo addizionale importante (a volte piacevole e utile, a volte indispensabile) per aiutare la persona e la sua capacità di autoguarigione per ristabilire un miglior stato di equilibrio, una maggior capacità di risposta vitale, per "star dentro" da protagonisti nel continuo mutamento dell'universo. Lo shiatsu è quindi un rapporto a due di collaborazione: compito di tori è, entrando con pressioni corrette laddove c'è possibilità di comunicazione, stimolare la risposta di uke, sintonizzarsi con questa, seguirla e favorirla. La risposta dipende dal livello di vitalità di uke, della persona che riceve le pressioni. Se non c'è collaborazione attiva di uke, cioè risposta vitale, il cambiamento non avviene. Lo shiatsu si fa in due ed è un rapporto di collaborazione: scegliere di comunicare attraverso le pressioni; essere attento alla risposta che viene di volta in volta e dialogare con uke è l'essenza dello shiatsu. Tori e uke entrano in contatto ed ambedue cambiano. Paradossalmente uke, che appare come parte passiva nel rapporto-shiatsu, è in realtà la parte più attiva, quella che cambia, di solito, di più: cambia nel corso dell'incontro, continua a cambiare nei giorni dopo il trattamento, manifestando la sua partecipazione attiva al processo. Compito di tori è trovare la via più diretta di accesso alla comunicazione con uke e riuscire ad ottimizzare gli stimoli in un dialogo continuo che segue la risposta vitale di uke, rispettando i tempi naturali e soggettivi di questa risposta.
· La modalità in cui si realizza questo contatto-comunicazione nello shiatsu è la "pressione". Nella pressione avviene lo scambio. E' impossibile scindere lo stimolo dato dalla pressioni di tori dalla risposta di uke, non c'è un prima e un poi, non c'è causa ed effetto. Nello shiatsu non esiste la possibilità di separare il momento della diagnosi da quello del trattamento: in pratica non esistono diagnosi e trattamento. Si può artificiosamente separare la pressione fatta per "raccogliere informazioni" dalla pressione fatta per "indurre un cambiamento" solo nella soggettività di tori, giocando sulla sua attenzione e sulla sua intenzione, scindendo l'unità del fenomeno reale solo nell'ambito dei differenti punti di vista. Tori può cioè fare delle pressioni su punti e zone particolari focalizzando la sua attenzione per valutare il punto o la zona, ma mentre fa ciò, comunque uke risponde sul punto premuto e usa quello stimolo per cambiare; tori può fare una pressione intenzionato a produrre un cambiamento (su quel punto o più in generale), ma la risposta che gliene perviene nello stesso atto e la consapevolezza del cambiamento in corso che gli deriva, integra il suo quadro di informazioni e influenza il suo comportamento futuro, ossia le pressioni che seguiranno. Ogni pressione è nel contempo diagnosi e stimolo, input e output, botta e risposta. L'uso di termini come "diagnosi, prognosi, cura, terapista" non ha ragione di essere nello shiatsu, in quanto quest'ultimo è un "evento di cambiamento" in cui tori non può essere osservatore esterno e/o gestore non coinvolto. L'uso di modelli diagnostici interpretativi del fenomeno può essere funzionale, come uso temporaneo, circoscritto e trasparente, cioè motivato correttamente, solo in una dimensione didattica ed in una determinata fase di formazione in cui per l'apprendista può essere produttivo focalizzare l'attenzione, separandoli; su aspetti parziali di un fenomeno che resta globale. In altre parole può essere utile, in una fase della formazione, separare artificialmente e temporaneamente ciò che è unico, la pressione in stimolo e risposta (terapia e diagnosi) ma per ricomporre poi nella pratica superando nell'evoluzione di tori la separazione (pena la schizofrenia del praticante con grave danno per lo stesso e per lo shiatsu). Penso che sia necessario un processo di "rieducazione" personale e collettiva tramite l'adozione di termini che siano adeguati a non interferire con immagini estranee e, possibilmente, a favorire "l'evento shiatsu", scartando linguaggi e atteggiamenti nati e prosperanti nel mondo della medicina o in altri universi diversi dallo shiatsu. Non massaggio o terapia shiatsu, ma trattamento o incontro shiatsu; non diagnosi e prognosi ma percezione delle manifestazioni e contatto nel trattamento; non terapista e paziente, ma tori, colui che prende e uke, colui che riceve; non sintomi, malattia, cura e guarigione, ma manifestazioni (senza valore positivo/negativo), trattamenti o incontri, cambiamento, risveglio vitale etc. Ritengo indispensabile questo processo di rifondazione del linguaggio e del pensiero se vogliamo che lo shiatsu torni (o cominci) ad essere se stesso e trovi capacità di evoluzione in un quadro di termini oggi, modelli e linguaggi domani, che non ne tarpi le potenzialità e non ne produca la degenerazione.
· In fine, caratteristica dello shiatsu, come di tutte le discipline orientali, è la dimensione di "disciplina globale". Un primo aspetto di questa globalità si può ritrovare nella "pari dignità" che si riconosce nella dimensione fisica e a quella mentale-psichica della persona e nel processo di integrazione, attraverso la pratica fisica, della potenza e dell'equilibrio del corpo nell'armonia generale dell'individuo. La nostra civiltà tende a relegare il benessere fisico a un rango di secondo piano, per presentarlo poi sul mercato nell'aspetto "forma fisica", cioè di apparenza come un mito da raggiungere, prodotto da comperare e da vendere per primeggiare in qualche modo. Nello shiatsu invece esiste una pratica fisica che è indispensabile alla costruzione di un equilibrio globale: la scioltezza articolare, la libertà e il ritmo dei movimenti, la centratura sul baricentro fisico ed energetico ed il controllo agile e spontaneo del peso sono tutti aspetti di una pratica che crea benessere in sintonia con la calma della mente e delle emozioni, partecipando alla strutturazione di un'armonia globale. Lo shiatsu è una pratica che costruisce una sostanziale unità tra tutti gli aspetti dell'uomo, che non separa e contrappone dimensione mentale, emozionale, psichica, spirituale e dimensione fisica; e questo non teorizzando, ma portando il praticante shiatsu ad essere, anche in età non più verde, sempre in rapporto armonico con il proprio corpo. Non mi dilungo sull'assenza di qualsiasi possibilità di separazione nello shiatsu tra teoria e pratica. E' proprio nella pratica dello shiatsu che si supera, nel vissuto di tori, la separazione tra percezione e scelta razionale, tra reazione istintiva e applicazione scolastica di modelli, tra visione globale e immersione nel particolare, in un processo di riunificazione progressiva di quelle che vengono comunemente proposte come funzioni distinte ed attribuite agli emisferi sinistro e destro del cervello. Non so se e quanto nel portare il pollice a premere una zona sul polpaccio di uke sono guidato dagli "spiriti che dimorano in me" o attratto dal "punto che chiama" come scrivono gli antichi testi di medicina cinese, se mi guidano l'intuizione e l'istinto o l'indicazione scaturita da una manifestazione (un non-sintomo o un non-disturbo) dichiarata poco prima da uke, o le connessioni anatomico-funzionali-energetiche che ho studiato. Probabilmente tutti questi elementi sono presenti nelle mie scelte ed opero attraverso l'interazione tra mie diverse funzioni e capacità su tutti i piani. Nello shiatsu si realizza, e non potrebbe non essere così, un rapporto tra la dimensione del fare e dell'avere in relazione all'essere, che costituisce unità, non separazione o addirittura contrapposizione come accade nei processi di cambiamento (formativi ed evolutivi/involutivi) proposti, anzi imposti nel sociale (ma questo è un discorso ampio da sviluppare in altra sede).
Non vorrei che quanto scritto sopra assumesse la dimensione dell'affermazione teorica, magari interessante e stimolante, ma confinata in un dibattito a tavolino. Noi comunichiamo i contenuti del nostro shiatsu con i gesti, le parole, le scelte operative. La cultura shiatsu si costruisce e si esprime nella sostanza e nella quotidianità delle scelte e non nei libri, nelle riviste e nelle lezioni.
Solo per semplificare:
1. Lo shiatsu fatto sul lettino esprime una esclusione della dimensione fisica di tori, come se il cambiamento generato dagli stimoli sul piano della postura e del movimento non riguardassero il praticante che si estranea dal processo; è una cultura molto diversa da quella espressa (e costruita nel tempo) dal praticante che coinvolge ogni giorno anche la propria dimensione fisica e costruisce ora dopo ora la propria armonia globale (anche attraverso la potenza e la scioltezza sul piano fisico) in un lavoro comune con uke.
2. Il praticante shiatsu che riceve "il paziente" alla scrivania, si dilunga senza cominciare a premere in conversari e riflessioni sui sintomi (né più né meno come un omeopata o un agopuntore), che separa nella pratica la diagnosi dal trattamento (magari anche fisicamente destinando la sala principale dello studio alla scrivania e un buchetto al tatami o peggio al lettino) esprime (e costruisce) una cultura di approccio "esterno", "neutro", "razional-separato" che con la comunicazione profonda globale e paritaria dello shiatsu ha poco a che vedere (ovviamente se le premesse sopra sono valide).
3. La scuola o l'albo professionale che forma e valuta il praticante secondo la "teoria" e la "pratica" come dimensioni separate, che propone un "professionista" che "cura le malattie" e discetta sui "casi difficili", che separa fisicamente (affidando a istruttori diversi sia come persone che come qualifica professionale) l'insegnamento di "discipline" diverse (ovviamente in base alla specializzazione), che propone un curriculum basato su un elenco di "argomenti svolti", addirittura strutturati secondo un "monte ore" separato e non come progressione di esperienze etc. etc., esprime una cultura, quella corrente e dominante, che ha prodotto quella separazione, estraneità, disagio che ha generato, per reazione il fenomeno sociale "shiatsu"; è il modo migliore di castrare lo "shiatsu", inibendo lo sviluppo di una cultura shiatsu originale.
Potrei proseguire con gli esempi, ma penso di aver reso l'idea e mi basta. Non pretendo di aver ragione né mi illudo di aver scoperto la "verità" sullo shiatsu! Spero solo di aver posto elementi di riflessione e mi auguro di ricevere risposte! Ma non da chi pratica shiatsu da una poltrona o su internet; ma da chi lo pratica, quotidianamente e faticosamente, da anni, su tatami, non sul "paziente", ma con uke.
Nello shiatsu, secondo me è tutto diverso; l'operatore, il praticante shiatsu, tori insomma, svolge il ruolo del compagno di squadra; non sta al bordo del campo, gestore estraneo di cambiamenti altrui, ma si butta nel gioco, partecipa con uke al processo evolutivo, vive da dentro lo scambio, la comunicazione, il risveglio vitale che lo accomuna a uke.
Abbiamo per anni, complice la giovane età della nostra disciplina, scimmiottato medici ordinari e alternativi, paramedici e fisioterapisti, mutuando il loro linguaggio e imitando i loro comportamenti. Forse è tempo che rivolgiamo l'attenzione "dentro" la nostra esperienza alla ricerca degli elementi originali che sono scaturiti dalla pratica shiatsu e ne hanno generato la "diversa" efficacia, quell'enorme capacità di coinvolgimento che l'hanno fatta diventare un "fenomeno sociale".
Forse è tempo di riconoscere e fermarsi a riflettere sugli elementi costitutivi dell'esperienza shiatsu e di enucleare alcuni fatti, riconoscibili e riconosciuti da tutti i praticanti, che costituiscano i germi di un modello e di un linguaggio originati dalla e nella pratica shiatsu, sui quali edificare una nuova cultura, non intesa come edificio teorico astratto di massimi sistemi, ma come punto di vista originale legato al modo concreto di procedere nelle esperienze.
Io ci provo. Mi sembra che i principi base caratteristici costituenti il nucleo dell'esperienza shiatsu siano:
· "Lo shiatsu si fa in due": nasce dall'incontro di collaborazione su un piano paritario tra due soggettività, uke e tori.
· Nello shiatsu la tecnica di contatto-comunicazione è una sola: la pressione.
· "Lo shiatsu è una disciplina in cui la persona, anzi le due persone entrano nella loro globalità": nello shiatsu non esiste separazione o distinzione tra fisico e mentale, tra teoria e pratica, etc.
· L'affermazione "lo shiatsu si fa in due" può sembrare banale, invece si rivela un sovvertimento radicale di tutti i nostri comportamenti e modi di intendere il rapporto con noi stessi e gli altri. Nel trattamento-incontro shiatsu tori entra con tutta la sua completezza, unità, autonomia e uke entra con tutta la sua completezza, unità, autonomia; se lo shiatsu funziona, tori e uke diventano, mantenendo la loro individualità, una nuova entità che costruisce un proprio nuovo assetto di completezza. In questo sia tori che uke portano attivamente la propria parte con quanto di armonico e disarmonico possiedono; incredibilmente, se l'approccio è corretto, ne nasce un risveglio vitale, un potenziamento delle facoltà, una esaltazione delle qualità migliori sia in uke che in tori che genera benessere in tutti e due. E' come il risveglio culturale e biologico che nasce dall'incontro di due popoli, di due tradizioni, quando queste interagiscono sinergicamente. Si può obiettare che il più delle volte due popoli e due culture non si incontrano ma si scontrano cercando di prevalere; e infatti, non è l'incontro generico che crea gli effetti sopracitati, ma "l'incontro-shiatsu" con le sue caratteristiche peculiari. Nello shiatsu la tipologia di contatto (pressione statica), la tecnica adeguata (pressioni rispettose e attente alle risposte di uke) e l'addestramento di tori (il praticante shiatsu lavora per anni per essere adeguato all'incontro), sono tali da garantire che l'incontro sia costruttivo e realizzi il miglior risveglio delle energie dei due "partecipanti al fenomeno".
· Nello shiatsu non c'è una parte attiva e una passiva, una che sa e l'altra che ignora, una che decide e l'altra che si affida. Al di là dell'apparente movimento di tori e abbandono di uke, se allo stimolo di tori non corrisponde la risposta di uke, non c'è incontro, non c'è cambiamento, non c'è shiatsu. E' solo dall'incontro tra lo stimolo e la risposta vitale che nascono il rapporto shiatsu e il benessere di ambedue i soggetti. Quanto a sapere o essere ignari: è la saggezza naturale "interna" di uke che sa di cosa ha bisogno e che orienta gli effetti e i risultati. L'atteggiamento passivo del "paziente" e la posizione di potere del "terapeuta", in cui una parte ignora cosa gli stia succedendo e si affida a colui che sa ed è in grado di intervenire, è un atteggiamento estraneo allo shiatsu. Ambroise Paré illustre clinico soleva ripetere: "io e uke ci siamo incontrati attraverso le pressioni e la nostra vitalità si è risvegliata"
· Mi ha sempre stupito come un trattamento uguale, un kata eseguito nella stessa identica maniera anche da uno studente alle prime (meglio alle seconde) armi che non è ancora in grado di differenziare le pressioni secondo il bisogno, abbia effetti estremamente diversi su persone diverse; rilassa lo stressato e risveglia l'ipotonico, toglie il mal di schiena a tizio e il mal di testa a caio; faccio il kata a sempronio per la stitichezza e succede che dorme meglio...; uke indirizza, al di là delle mie intenzioni e obiettivi, l'effetto degli stimoli "sa" di aver veramente bisogno. Nell'universo shiatsu, uke non ha un funzionamento "meccanico" come nella medicina convenzionale, ma dinamiche che sono al di là della nostra capacità di comprensione; ha una sua armonia, un suo equilibrio ed un dinamismo che nessuno di noi è in grado di capire e tantomeno di gestire. Come qualsiasi sistema complesso, l'organismo (o meglio, la persona) è autoorganizzato ed è capace di autoripararsi. Oscilliamo intorno ad una condizione di equilibrio teorico (con variazioni dipendenti da mille diversi stimoli - clima, stagioni, emozioni, attività, rapporti, cibo etc.-) con dinamiche di riequilibrio spontaneo, in cui l'incontro shiatsu può costituire uno stimolo addizionale importante (a volte piacevole e utile, a volte indispensabile) per aiutare la persona e la sua capacità di autoguarigione per ristabilire un miglior stato di equilibrio, una maggior capacità di risposta vitale, per "star dentro" da protagonisti nel continuo mutamento dell'universo. Lo shiatsu è quindi un rapporto a due di collaborazione: compito di tori è, entrando con pressioni corrette laddove c'è possibilità di comunicazione, stimolare la risposta di uke, sintonizzarsi con questa, seguirla e favorirla. La risposta dipende dal livello di vitalità di uke, della persona che riceve le pressioni. Se non c'è collaborazione attiva di uke, cioè risposta vitale, il cambiamento non avviene. Lo shiatsu si fa in due ed è un rapporto di collaborazione: scegliere di comunicare attraverso le pressioni; essere attento alla risposta che viene di volta in volta e dialogare con uke è l'essenza dello shiatsu. Tori e uke entrano in contatto ed ambedue cambiano. Paradossalmente uke, che appare come parte passiva nel rapporto-shiatsu, è in realtà la parte più attiva, quella che cambia, di solito, di più: cambia nel corso dell'incontro, continua a cambiare nei giorni dopo il trattamento, manifestando la sua partecipazione attiva al processo. Compito di tori è trovare la via più diretta di accesso alla comunicazione con uke e riuscire ad ottimizzare gli stimoli in un dialogo continuo che segue la risposta vitale di uke, rispettando i tempi naturali e soggettivi di questa risposta.
· La modalità in cui si realizza questo contatto-comunicazione nello shiatsu è la "pressione". Nella pressione avviene lo scambio. E' impossibile scindere lo stimolo dato dalla pressioni di tori dalla risposta di uke, non c'è un prima e un poi, non c'è causa ed effetto. Nello shiatsu non esiste la possibilità di separare il momento della diagnosi da quello del trattamento: in pratica non esistono diagnosi e trattamento. Si può artificiosamente separare la pressione fatta per "raccogliere informazioni" dalla pressione fatta per "indurre un cambiamento" solo nella soggettività di tori, giocando sulla sua attenzione e sulla sua intenzione, scindendo l'unità del fenomeno reale solo nell'ambito dei differenti punti di vista. Tori può cioè fare delle pressioni su punti e zone particolari focalizzando la sua attenzione per valutare il punto o la zona, ma mentre fa ciò, comunque uke risponde sul punto premuto e usa quello stimolo per cambiare; tori può fare una pressione intenzionato a produrre un cambiamento (su quel punto o più in generale), ma la risposta che gliene perviene nello stesso atto e la consapevolezza del cambiamento in corso che gli deriva, integra il suo quadro di informazioni e influenza il suo comportamento futuro, ossia le pressioni che seguiranno. Ogni pressione è nel contempo diagnosi e stimolo, input e output, botta e risposta. L'uso di termini come "diagnosi, prognosi, cura, terapista" non ha ragione di essere nello shiatsu, in quanto quest'ultimo è un "evento di cambiamento" in cui tori non può essere osservatore esterno e/o gestore non coinvolto. L'uso di modelli diagnostici interpretativi del fenomeno può essere funzionale, come uso temporaneo, circoscritto e trasparente, cioè motivato correttamente, solo in una dimensione didattica ed in una determinata fase di formazione in cui per l'apprendista può essere produttivo focalizzare l'attenzione, separandoli; su aspetti parziali di un fenomeno che resta globale. In altre parole può essere utile, in una fase della formazione, separare artificialmente e temporaneamente ciò che è unico, la pressione in stimolo e risposta (terapia e diagnosi) ma per ricomporre poi nella pratica superando nell'evoluzione di tori la separazione (pena la schizofrenia del praticante con grave danno per lo stesso e per lo shiatsu). Penso che sia necessario un processo di "rieducazione" personale e collettiva tramite l'adozione di termini che siano adeguati a non interferire con immagini estranee e, possibilmente, a favorire "l'evento shiatsu", scartando linguaggi e atteggiamenti nati e prosperanti nel mondo della medicina o in altri universi diversi dallo shiatsu. Non massaggio o terapia shiatsu, ma trattamento o incontro shiatsu; non diagnosi e prognosi ma percezione delle manifestazioni e contatto nel trattamento; non terapista e paziente, ma tori, colui che prende e uke, colui che riceve; non sintomi, malattia, cura e guarigione, ma manifestazioni (senza valore positivo/negativo), trattamenti o incontri, cambiamento, risveglio vitale etc. Ritengo indispensabile questo processo di rifondazione del linguaggio e del pensiero se vogliamo che lo shiatsu torni (o cominci) ad essere se stesso e trovi capacità di evoluzione in un quadro di termini oggi, modelli e linguaggi domani, che non ne tarpi le potenzialità e non ne produca la degenerazione.
· In fine, caratteristica dello shiatsu, come di tutte le discipline orientali, è la dimensione di "disciplina globale". Un primo aspetto di questa globalità si può ritrovare nella "pari dignità" che si riconosce nella dimensione fisica e a quella mentale-psichica della persona e nel processo di integrazione, attraverso la pratica fisica, della potenza e dell'equilibrio del corpo nell'armonia generale dell'individuo. La nostra civiltà tende a relegare il benessere fisico a un rango di secondo piano, per presentarlo poi sul mercato nell'aspetto "forma fisica", cioè di apparenza come un mito da raggiungere, prodotto da comperare e da vendere per primeggiare in qualche modo. Nello shiatsu invece esiste una pratica fisica che è indispensabile alla costruzione di un equilibrio globale: la scioltezza articolare, la libertà e il ritmo dei movimenti, la centratura sul baricentro fisico ed energetico ed il controllo agile e spontaneo del peso sono tutti aspetti di una pratica che crea benessere in sintonia con la calma della mente e delle emozioni, partecipando alla strutturazione di un'armonia globale. Lo shiatsu è una pratica che costruisce una sostanziale unità tra tutti gli aspetti dell'uomo, che non separa e contrappone dimensione mentale, emozionale, psichica, spirituale e dimensione fisica; e questo non teorizzando, ma portando il praticante shiatsu ad essere, anche in età non più verde, sempre in rapporto armonico con il proprio corpo. Non mi dilungo sull'assenza di qualsiasi possibilità di separazione nello shiatsu tra teoria e pratica. E' proprio nella pratica dello shiatsu che si supera, nel vissuto di tori, la separazione tra percezione e scelta razionale, tra reazione istintiva e applicazione scolastica di modelli, tra visione globale e immersione nel particolare, in un processo di riunificazione progressiva di quelle che vengono comunemente proposte come funzioni distinte ed attribuite agli emisferi sinistro e destro del cervello. Non so se e quanto nel portare il pollice a premere una zona sul polpaccio di uke sono guidato dagli "spiriti che dimorano in me" o attratto dal "punto che chiama" come scrivono gli antichi testi di medicina cinese, se mi guidano l'intuizione e l'istinto o l'indicazione scaturita da una manifestazione (un non-sintomo o un non-disturbo) dichiarata poco prima da uke, o le connessioni anatomico-funzionali-energetiche che ho studiato. Probabilmente tutti questi elementi sono presenti nelle mie scelte ed opero attraverso l'interazione tra mie diverse funzioni e capacità su tutti i piani. Nello shiatsu si realizza, e non potrebbe non essere così, un rapporto tra la dimensione del fare e dell'avere in relazione all'essere, che costituisce unità, non separazione o addirittura contrapposizione come accade nei processi di cambiamento (formativi ed evolutivi/involutivi) proposti, anzi imposti nel sociale (ma questo è un discorso ampio da sviluppare in altra sede).
Non vorrei che quanto scritto sopra assumesse la dimensione dell'affermazione teorica, magari interessante e stimolante, ma confinata in un dibattito a tavolino. Noi comunichiamo i contenuti del nostro shiatsu con i gesti, le parole, le scelte operative. La cultura shiatsu si costruisce e si esprime nella sostanza e nella quotidianità delle scelte e non nei libri, nelle riviste e nelle lezioni.
Solo per semplificare:
1. Lo shiatsu fatto sul lettino esprime una esclusione della dimensione fisica di tori, come se il cambiamento generato dagli stimoli sul piano della postura e del movimento non riguardassero il praticante che si estranea dal processo; è una cultura molto diversa da quella espressa (e costruita nel tempo) dal praticante che coinvolge ogni giorno anche la propria dimensione fisica e costruisce ora dopo ora la propria armonia globale (anche attraverso la potenza e la scioltezza sul piano fisico) in un lavoro comune con uke.
2. Il praticante shiatsu che riceve "il paziente" alla scrivania, si dilunga senza cominciare a premere in conversari e riflessioni sui sintomi (né più né meno come un omeopata o un agopuntore), che separa nella pratica la diagnosi dal trattamento (magari anche fisicamente destinando la sala principale dello studio alla scrivania e un buchetto al tatami o peggio al lettino) esprime (e costruisce) una cultura di approccio "esterno", "neutro", "razional-separato" che con la comunicazione profonda globale e paritaria dello shiatsu ha poco a che vedere (ovviamente se le premesse sopra sono valide).
3. La scuola o l'albo professionale che forma e valuta il praticante secondo la "teoria" e la "pratica" come dimensioni separate, che propone un "professionista" che "cura le malattie" e discetta sui "casi difficili", che separa fisicamente (affidando a istruttori diversi sia come persone che come qualifica professionale) l'insegnamento di "discipline" diverse (ovviamente in base alla specializzazione), che propone un curriculum basato su un elenco di "argomenti svolti", addirittura strutturati secondo un "monte ore" separato e non come progressione di esperienze etc. etc., esprime una cultura, quella corrente e dominante, che ha prodotto quella separazione, estraneità, disagio che ha generato, per reazione il fenomeno sociale "shiatsu"; è il modo migliore di castrare lo "shiatsu", inibendo lo sviluppo di una cultura shiatsu originale.
Potrei proseguire con gli esempi, ma penso di aver reso l'idea e mi basta. Non pretendo di aver ragione né mi illudo di aver scoperto la "verità" sullo shiatsu! Spero solo di aver posto elementi di riflessione e mi auguro di ricevere risposte! Ma non da chi pratica shiatsu da una poltrona o su internet; ma da chi lo pratica, quotidianamente e faticosamente, da anni, su tatami, non sul "paziente", ma con uke.