DIRITTO D'IMPRESA
Testo dell'articolo pubblicato sul periodico "Dossier Veneto"
Le piccole e medie imprese chiedono garanzie Il tessuto imprenditoriale italiano, e quello veneto in particolare, è costituito da una miriade di piccole e medie imprese. La nascita di una piccola impresa è fondamentale. È questo il momento in cui l’azienda deve dotarsi di una strutturazione solida e adeguata attraverso la redazione dello statuto sociale e l’interpretazione delle figure negoziali che le permettono di interagire con le realtà esterne. Ed è il momento in cui l’impresa deve essere assistita da un legale, in genere un professionista esterno, che la coadiuvi in questa fase. « La consulenza alle Pmi è una delle più complicate – afferma Barbara Bastianon, avvocato già appartenente all’ordine degli avvocati di Treviso ora iscritto a quello bellunese – perché presuppone la comprensione della globalità del fenomeno aziendale, dallo statuto fino alla risoluzione giudiziale o stragiudiziale delle diverse problematiche che possono sorgere nell’esercizio dell’attività imprenditoriale ». Spesso le aziende richiedono un servizio “preventivo” di consulenza per scongiurare il sorgere o l’aggravarsi di questioni che possono sfociare in contenziosi che, per i lunghi tempi di risoluzione e per gli oneri economici, può comprometterne l’esistenza. « Il cliente del diritto societario e commerciale è mediamente esperto – spiega l’avvocato – e prescinde da un rapporto personale con il professionista, tendendo, piuttosto, e a selezionare lo studio in base ad esigenze di carattere tecnico ». Q uanto stanno investendo le piccole e medie imprese in formazione? «L’aspetto formativo è stato trascurato a lungo dalle Pmi. L’attuale situazione economica e le prospettive per il futuro impongono una maggiore attenzione per ottenere un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. L’economia si sposta sempre più da un’economia del possesso a una della proprietà intellettuale come ha evidenziato qualche tempo fa, il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, affermando che “la povertà di conoscenze è l’anticamera della povertà economica. L’istruzione e la formazione si confermano ai primi posti nei campi dove un cambiamento forte è necessario”. La realtà attuale non può prescindere da un aggiornamento continuo, pena il rischio di perdere in competitività e nel bagaglio di saperi che rappresenta la memoria storica delle nostre imprese». Quali novità ha introdotto nel nostro ordinamento la riforma di diritto societario del 2003? «S i tratta della prima riforma organica delle società di capitali italiane per renderle competitive con quelle di altri Paesi. Le innovazioni riguardano diversi profili. Il legislatore ha previsto, in particolare, la netta differenziazione tra Spa e Srl, un nuovo modello unitario su cui basare il sistema delle Spa, la previsione di strumenti finanziari più elastici che favoriscano la raccolta del risparmio, una maggiore autonomia privata nella scelta tra tre diversi modelli di governance delle Spa, una più articolata definizione dei ruoli e dei compiti degli organi sociali, una nuova definizione dei gruppi societari, una disciplina specifica e semplificata per le operazioni straordinarie, quali la trasformazione di società di capitali in società di persone e viceversa, nonché la fusione e la scissione di società». Crede che questa normativa rifletta in modo corretto l’evoluzione vissuta dal mercato negli ultimi anni? «C on questa riforma l’Italia si è dotata di uno strumento legislativo nuovo che va valutato avendo ben presente il contesto europeo. Nell’Ue i diversi ordinamenti statali sono posti in competizione tra loro sul “mercato” delle legislazioni societarie. La riforma si pone in quest’ottica e da questo particolare mercato potrà scaturire la migliore legislazione societaria, mettendo a confronto le esperienze dei diversi Paesi dell’Unione». Q uali altri riforme sono necessarie, a suo parere, nel diritto societario italiano per renderlo coerente con la disciplina comunitaria? «Un problema trasversale a tutti i settori produttivi è l’eccessiva presenza di oneri burocratici a carico dei privati. Sentimento costante è quello che vede nella pubblica amministrazione non uno strumento di tutela e di volano per lo sviluppo economico, ma un peso capace di frenare gli investimenti e la modernizzazione del sistema produttivo. I principi di diritti societario dettati a livello comunitario funzionano nell’ottica della semplificazione che, a livello economico, si traduce in un risparmio per le società. Ha, inoltre, il merito di rappresentare uno strumento di pungolo al nostro sistema giuridico che, in materia di società e mercato, è ancorato a modelli desueti incapaci di garantire un adeguato livello di concorrenza. Crede che la riforma abbia reso più stabili e autonome le imprese? «S ì. Ma la riforma agisce anche sul versante dell’organizzazione societaria: introduce, infatti, la possibilità di adottare diversi modelli di governance, garantendo alle imprese una maggiore flessibilità rispetto al passato. Una svolta importante è rappresentata dalla maggiore libertà di accesso a forme differenziate di finanziamento che consente di superare alcune rigidità del sistema precedente, non adatte a un’economia dove è sempre più importante ricorrere con maggiore facilità al mercato dei capitali. Un altro aspetto importante della riforma è la maggiore stabilità per l’organizzazione societaria. In passato era frequente che, le decisioni dell’assemblea societaria, in materia di bilancio o struttura finanziaria, venissero impugnate provocando una forte instabilità nella società. Oggi si è adottata un’ottica di stabilizzazione soprattutto per le società che si rivolgono al mercato di capitali e rischi». Nel n ostro Paese è in corso una discussione molto animata sulla riforma contrattuale. Qual è la sua opinione al riguardo? « Si tratta di una delle riforme più attese dal mondo delle imprese. L’attuale sistema fondato sui contratti nazionali mostra in misura sempre maggiore i propri limiti, penalizzando le aziende e anche i lavoratori. In Italia le norme a tutela della flessibilità sono talmente rigide nell’applicazione da risultare difficilmente utilizzabili nella realtà. Per questo motivo, mantenendo invariata questa impostazione, la negoziazione di secondo livello continuerà a trovarsi in una posizione meramente sussidiaria rispetto a quellanazionale. È auspicabile costruire un modello basato su un contratto nazionale “leggero” che definisca i minimi normativi e orienti la contrattazione decentrata, e su un contratto di secondo livello, aziendale o territoriale, con maggiori competenze su temi quali flessibilità organizzativa, orario di lavoro, salario variabile oltre che valorizzazione della professionalità attraverso la formazione permanente, prevenzione e sicurezza del lavoro. La riforma è urgente, anche per il rilancio della crescita economica alla luce dei recenti dati italiani e dell’intera Eurolandia sul Pil. Un sistema più moderno di relazioni industriali può dare un contributo alla crescita. La questione della produttività è centrale poiché la situazione economica deve far riflettere tutti sull’esigenza di costruire un sistema che riesca a far crescere i salari legandoli alla produttività e ai risultati, evitando di alimentare |