DALLE NEUROSCENZE ALLA PSICOTERAPIA COME LA PAROLA PUO’ CURARE
La memoria da sempre è stata un’ argomento di forte interesse sia per psicologi che per neuroscienziati. Oggi è oggetto di particolare valore per gli psicoterapeuti che la ritengono funzione essenziale per l’identità dell’individuo e per l’organizzazione della sua coscienza. Per questo, in questi ultimi anni, è maturata la necessità di uno studio ulteriore, di carattere interdisciplinare dei meccanismi che sottendono alla memoria proprio perché comune sia alla psicoterapia che alle neuroscienze.
Generalmente la memoria è suddivisa in: 1) Memoria a breve termine chiamata anche memoria operativa e riguarda informazioni che possono essere mantenute per pochi minuti; 2) Memoria a lungo termine che può rimanere per tutta la vita. Secondo il modello di Atkinson Shiffrin esiste una relazione tra memoria a breve e a lungo termine perchè l’immagazzinamento delle informazioni nell’archivio della memoria a lungo termine deve passare attraverso la memoria a breve termine o memoria operativa. Il modello rappresenta un sistema che permette la selezione e il passaggio delle informazioni fino alla memoria a lungo termine che è di tipo seriale. Questo, però, non è l’unico modo di immagazzinare informazioni e infatti esistono anche altri modelli definiti in parallelo per cui l’informazione può essere nella memoria a lungo termine senza necessariamente passare attraverso il sistema della memoria operativa.
A sua volta la memoria a lungo termine comprende una memoria esplicita o dichiarativa e una memoria implicita o non-dichiarativa . La memoria esplicita può essere evocata coscientemente e verbalizzata e a sua volta può essere selettiva, episodica (inerente a fatti della propria storia di vita), oppure può essere semantica (inerente a fatti, conoscenze e capacità di dare un senso a esperienze più antiche) questo rappresenta un tipo di memoria che permette un processo ricostruttivo della propria storia. Al contrario la memoria implicita si collega a esperienze non coscienti, non verbalizzabili né ricordabili e riguarda la memoria per diversi apprendimenti. La memoria procedurale, consiste nella memoria per esperienze motorie e cognitive, come ad esempio i movimenti necessari per determinati sport, per suonare degli strumenti o per allacciarsi le scarpe e la memoria per numerosi altri eventi quotidiani che vengono compiuti automaticamente senza che essi raggiungano il livello dì coscienza. La memoria emotiva ed affettiva comprende la memoria per le emozioni vissute in rapporto a determinate esperienze affettive che caratterizzano le prime relazioni del bambino con l’ambiente in cui nasce e in particolare con la madre. Forse questo tipo di memoria implicita riguarda anche gli ultimi periodi della vita gestazionale in cui il feto vive una stretta relazione con la madre, con i suoi ritmi (cardiaco e respiratorio) e in particolare con la sua voce, che vengono a costituire un modello di costanza, ritmicità e musicalità intorno al quale si organizzeranno le prime rappresentazioni del bambino alla nascita.
La neuropsicologia ha dato notevoli contributi allo studio delle strutture deputate all’immagazzinamento delle informazioni. Soprattutto esperienze cliniche hanno offerto in questo secolo numerosi esempi di disturbi della memoria a breve e lungo termine. Molti dati sulla memoria provengono dagli studi in soggetti umani celebrolesi. Un esempio classico di disturbo della memoria è offerto dalla malattia di Alzheimer, caratterizzata dalla perdita della capacità di immagazzinare nuove informazioni e persistenza del recupero di esperienze passate antecedenti l’inizio della malattia. Questi pazienti presentano anche un’alterazione anche della memoria semantica, che permette di dare un senso alle esperienze nuove sulla base delle esperienze passate.
L’esame con la tecnica delle bio-immagini ha dimostrato in questi pazienti una ridotta funzionalità dei neuroni dell’ippocampo bilateralmente, della corteccia del cingolo e delle aree basali frontali. Quindi, strutture del lobo temporale mediale (LTM) , in particolare l’ippocampo e delle aree frontali sono necessarie per la selezione dell’informazione e per il loro immagazzinamento nell’archivio della memoria a lungo termine. Un’altra sindrome caratterizzata da amnesia nell’uomo è quella di Korsakov, che presenta la possibilità evocare esperienze precedenti l’insorgere della malattia ma la perdita di selezionare, elaborare e trasferire esperienze recenti nella memoria a lungo termine. L’esame con la tecnica delle bio-immagini dimostra anche in questi casi un’alterazione dell’ippocampo e del nucleo mediale dorsale del talamo attraverso il quale le informazioni raggiungono la corteccia prefrontale. A conferma di queste osservazioni cliniche, è istruttivo il caso del paziente HM che, per ragioni terapeutiche, aveva subito l’asportazione bilaterale dell’ippocampo e della corteccia del lobo temporale. Questo paziente aveva un disturbo della memoria che gli impediva di memorizzare e immagazzinare nuove esperienze, mentre restava viva la possibilità di recupero della memoria più antica. Alexander Lurja ha descritto in un libro affascinante il caso del paziente Zasetskij, il quale aveva subito una lesione alla regione parieto-occipitale dell’emisfero sinistro, aree del giro angolare e sopramarginale (39 e 40 di Brodman). Il paziente Zasetskij viveva in uno stato di “afasia mentale”: gli era difficile leggere poiché dimenticava subito la lettera iniziale della parola e, in una sequenza, dimenticava la parola
appena letta, non riuscendo quindi, a dare un senso alla frase (amnesia semantica).
Una conferma del ruolo fondamentale dell’ippocampo e del lobo temporale mediale nel processo della memoria viene dalle esperienze elettrofisiologiche e neuropsicologiche più recenti. Esse hanno dimostrato che la memoria operativa necessita essenzialmente della corteccia prefrontale dove neuroni specifici organizzano “campi di memoria”. Essi sono un esempio di compartimentalizzazione del processo di memorizzazione poiché ciascun neurone si attiva selettivamente per una specifica informazione (ad esempio un volto o un oggetto con forma specifica) ed è collegato funzionalmente con altre aree associative e in particolare con la corteccia parietale posteriore. Anche neuroni della corteccia temporale inferiore partecipano alla funzione della memoria a breve termine.
Il lobo temporale mediale è l’organo per eccellenza della memoria esplicita, in quanto immagazzina informazioni nella corteccia rinale considerata responsabile del riconoscimento di oggetti nella loro forma e della loro memorizzazione. L’ippocampo è essenziale nell’uomo per la selezione e codifica dell’informazione, per il suo trasferimento al nucleo medio dorsale del talamo e da questo alla corteccia prefrontale. Partecipa, inoltre, nell’uomo alla localizzazione dell’oggetto nello spazio mentre l’amigdala è essenziale per le risposte. Anche la biologia molecolare fa emergere che la memoria si attua attraverso eventi biochimico-molecolari e strutturali che si mantengono nel tempo nell’ambito dei punti di congiunzione dei neuroni definiti già nel 1906 da Sherrington come sinapsi.
Le prime esperienze di elettrofisiologia dell’apprendimento hanno dimostrato in famosi esperimenti che se, ad esempio, si stimola una radice dorsale del midollo spinale con impulsi elettrici ad alta frequenza e si registra la risposta riflessa dalla radice ventrale che è collegata con la radice dorsale da un’unica sinapsi, ci si accorge che a seguito di questa stimolazione la normale risposta è potenziata e questo potenziamento rimane nel tempo. Questo semplice esperimento suggerisce l’ipotesi che a livello di questa giunzione sinaptica del midollo spinale siano avvenute delle stabili modificazioni “plastiche” strutturali della membrana che si rendono responsabili della persistenza nel tempo del fenomeno del potenziamento. Un contributo interessante alla memoria biologica viene dagli esperimenti di “potenziamento a lungo termine” (LTP), che consistono nel dare stimolazioni ripetute a delle strutture centrali (una formazione centrale particolarmente studiata è l’ippocampo) che così potenziano le loro risposte per lungo periodo di tempo come se avessero conservato “memoria” dello stimolo ricevuto. Le sinapsi, dunque, con ripetute stimolazioni, possono andare incontro a delle modificazioni plastiche e strutturali permanenti sia per ipertrofia e quindi con creazione di nuove sinapsi per stimoli ripetuti, sia per atrofia e con riduzione del numero delle stesse per mancanza di stimoli.
Un notevole passo avanti nella comprensione dei fenomeni biologici responsabili della memoria è stato compiuto dalle ricerche neurochimiche di Stephen Rose che ha evidenziato come nei pulcini vi sia una memoria genetica affidata al DNA dei cromosomi. Tale tipo di memoria permette a questi animali un comportamento particolare innato in presenza di determinati stimoli. L’apprendimento prodotto da questi stimoli (una figura in movimento, come nell’esempio classico dell’anatroccolo descritto da Lorenz) dura tutta la vita ed è fondamentale per la sopravvivenza della specie. Lo stesso autore ha poi dimostrato che durante questo apprendimento il cervello va incontro a delle alterazioni biochimiche che riguardano l’acido ribonucleico (RNA) che è implicato nella sintesi proteica. È la sintesi proteica allora che diventa importante per la formazione di nuove proteine e quindi di nuove sinapsi che diventano responsabili di nuove reti e di nuovi circuiti che premettono di consolidare a lungo termine le informazioni ricevute. Numerose sono le prove oggi che nella memorizzazione a lungo termine anche di un determinato comportamento motorio (nello sport o nel suonare degli strumenti) si ha un aumento dei livelli di RNA nelle sinapsi dei neuroni coinvolti e quindi un aumento della loro sintesi proteica che facilita l’ipertrofia delle sinapsi, l’organizzazione di nuove sinapsi e quindi nuovi circuiti nervosi.
In questi ultimi anni, Kandel e Coll. hanno studiato il fenomeno dell’apprendimento e della memorizzazione in un mollusco marino denominato aplysia californica. Questo organismo, se subisce la stimolazione ripetuta dei meccanocettori del sifone, produce una retrazione della branchia. Il riflesso elementare che coinvolge essenzialmente una catena di due o tre neuroni facilmente registrabili, può andare incontro ad abitudine . Quest’ultima è una forma elementare di apprendimento che si mantiene nel tempo e che consiste nella diminuzione progressiva dell’intensità della risposta fino alla sua scomparsa per ripetute stimolazioni. Registrando dai neuroni coinvolti nel riflesso, Kandel ha potuto dimostrare che per stimolazione ripetuta i potenziali post-sinaptici eccitatori dei neuroni che muovevano la branchia diminuivano progressivamente di ampiezza fino a scomparire. La causa di questo processo è rappresentata da una inattivazione dei canali del Ca++ della terminazione presinaptica e ciò comporta una minore liberazione di trasmettitore che produce conseguentemente una minore risposta postsinaptica. Questa catena di eventi è prodotta da una modificazione dei canali ionici che fa seguito ad un cambiamento dell’espressione genica che induce una variazione, che si mantiene nel tempo, della sintesi proteica della membrana pre-sinaptica. Al contrario dell’abitudine, nella sensibilizzazione del riflesso (cioè un suo aumento che costituisce un’altra forma di apprendimento che può essere memorizzato) si ha una facilitazione pre-sinaptica da parte di sinapsi axo-axoniche che usano la serotonina come trasmettitore. Tale facilitazione, che si mantiene nel tempo, è prodotta da un aumento dell’ingresso di ioni Ca++ conseguente ad una variazione della sintesi proteica della membrana presinaptica caratterizzata da aumento del numero dei contatti sinaptici e maggiore potenza della sinapsi.
Altre ricerche, sempre eseguite da Kandel, hanno dimostrato che nel mammifero la dopamina , la cui produzione aumenta con l’attenzione, è in grado di facilitare la fissazione delle proteine espresse dai geni sulle sinapsi specifiche che presiedono alla memoria a lungo termine di alcune esperienze. Questo dato permette di fare l’ipotesi che anche nell’uomo, in quanto mammifero, la dopamina che controlla le vie del piacere e della sessualità sia nello stesso tempo implicata nei processi attentivi che condizionano la persistenza dell’informazione attraverso la plasticità di quelle sinapsi implicate nei processi di memorizzazione. Questi dati confermano l’ipotesi già suggerita da Kandel che stimoli provenienti dall’ambiente (compresa la parola, con l’attenzione, le emozioni e gli affetti che essa attiva) possano modificare stabilmente l’ espressione proteica dei geni e la loro fissazione nelle sinapsi, creando una condizione di plasticità neuronale e sinaptica quale base organica della memorizzazione di una esperienza. L’interesse di queste osservazioni, che con prudenza possono essere applicate anche al cervello umano, consiste nel fatto che la stessa parola, strumento essenziale della cura terapeutica, può agire nelle sinapsi attraverso la sua azione sui geni e rendersi responsabile di trasformazioni “plastiche” quali basi anatomo-funzionali di cambiamenti nella personalità dell’analizzando.
Questo potrebbe a buon diritto dimostrare come la così detta terapia della parola possa provocare un cambiamento anche a livello intra-cellulare nei pazienti affetti da psicopatologie e come l’ambiente svolga un ruolo importante nel attivare o rendere siliente la trascrizione genica di alcune parti di cromosomi.
Bibliografia
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ü Vallard G (1983) La neuropsicologia della memoria a breve termine . Le Scienze
ü Lurij AR (1973) Un mondo perduto e ritrovato. Editori riuniti, Roma.
ü Imbasciati A. (1998) Nascita e costruzione della mente . UTET, Torino.
ü Kandel ER. (2001) The molecular biology of memory storage: a dialogue between genes and synapses. Science
ü Rose S. (1994) La fabbrica della memoria . Garzanti, Milano.
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Dr. Lorenzo Flori