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La subordinazione nel rapporto di lavoro

La subordinazione nel rapporto di lavoro


Evoluzione storica

Pervenire ad un contenuto definito e definitivo alla nozione di subordinazione è un tentativo tutt’altro che semplice se si considera che nel tempo sono state elaborate varie nozioni successivamente modificate o integrate.


Tale processo che è culminato nella formulazione dell’art. 2094 del c.c. non ha, invero, risolto tutti i quesiti posti da una qualificazione rigida di tale rapporto posto che alcuni elementi tipici sono rinvenibili in altri rapporti di lavoro non subordinato.


L’importanza che la dottrina affida a tale definizione è facilmente comprensibile, considerata la necessità di ricondurre tutti i rapporti di lavoro nell’area della subordinazione e quindi di un rapporto tipico, totalmente tutelato e rilevante per l’ordinamento.


Tale sforzo è stato senza dubbio necessario sia per definire la fattispecie tipica del rapporto di lavoro con conseguente riduzione delle ambiguità delle aree grigie sia per meglio qualificare gli altri rapporti di lavoro non subordinati.


Nel percorso di avvicinamento da parte della dottrina ad una nozione di subordinazione nel rapporto di lavoro troviamo alcuni momenti significativi che richiedono una riflessione.


I primi tentativi presenti nel codice del 1865 sono diretti a delimitare, mutuandola dal contratto di locazione, l’area della locatio operarum dalla locatio operis indicando la differenza tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato.


La locatio operarum ha come oggetto un’attività lavorativa in quanto tale, avulsa dal risultato perseguito dal creditore e quindi con estraneità del debitore rispetto al rischio di quel risultato.


Con la locatio operis, l’attività svolta, e quindi il risultato finale del lavoro, consistente nel compimento di un’opera o di un servizio, comporta il rischio a carico del debitore.


L’ elaborazione di tale tesi emerge se si considera che in tutte e due le definizioni, l’oggetto è sempre il lavoro umano. Anche il tentativo di scomporre l’obbligazione del debitore dal risultato idoneo a soddisfare l’interesse del creditore pare forzare il concetto di ripartizione del rischio.


Invero è parso più logico utilizzare tale distinzione allo scopo di una precisa identificazione fra le parti contraenti del rischio del lavoro, inteso sostanzialmente come rischio dell’utilità finale dell’attività dedotta in contratto: assumendosi la totale incidenza di questo sul lavoratore nella locatio operis, e sul datore di lavoro nella locatio operarum.


Questo a conferma che tale diversa ripartizione è una conseguenza della qualificazione del rapporto e non può quindi fungere da criterio per la qualificazione stessa .


L’esigenza da parte della dottrina di un ulteriore e più pregnante qualificazione del rapporto, idonea a caratterizzarlo efficacemente, rispetto ad altri, aventi pure ad oggetto un’attività lavorativa hanno portato ad una serie di interventi normativi ad inizio ‘900, es R.D.L. n. 692/1923 sull’orario di lavoro oppure il R.D.L. n. 1825/1924 sull’impiego privato, la legge n. 370/1934 sul riposo domenicale e settimanale, la legge 653/1934 sul lavoro delle donne e dei fanciulli e il R.D.L. n. 654/1934 sulla tutela della maternità.


Con l’introduzione dell’art. 2094 nel codice del 1942 si individua nella subordinazione del prestatore di mera attività alle puntuali direttive del creditore, per lo svolgimento dell’attività stessa, in supporto fondamentale per definire la eterodeterminazione della prestazione lavorativa.


Il codice così perviene ad una nozione c.d. legale, viziata da una scarsa valenza qualificatoria ed incapace di avere la stessa idoneità nell’esprimere l’immagine del tipo sociale, c.d. tipo normativo.


Non si verifica insomma una perfetta coincidenza tra i criteri che il legislatore assume come distintivi della fattispecie e le caratteristiche che la figura assume nella effettività del fenomeno socio-economico. Nel periodo intercorrente tra gli anni 50 e 70 si assiste alla tendenza espansiva del diritto del lavoro subordinato.


Tale tendenza, dettata dalle forti pressioni che andavano progressivamente determinandosi nel contesto sociale, e che cercavano di accogliere le esigenze di allargamento dell’area coperta dalla disciplina tipica in funzione di conquista della conseguente tutela, ha portato al tentativo di agganciare la subordinazione a profili vari della condizione socio-economica del prestatore di lavoro, valorizzando aspetti esterni alla struttura della fattispecie e connessi alla ratio della disciplina tipica: estraneità ai mezzi di produzione, inerenza nell’attività lavorativa al ciclo produttivo, debolezza economica.


A fine degli anni ’60, la dottrina ha tentato di raggiungere l’obiettivo di definire un contorno univoco alla definizione del concetto di subordinazione pervenendo alla nozione di subordinazione, coniugando profili strettamente normativi attinenti alla prestazione lavorativa e profili socio-economici, attinenti alla posizione complessiva del lavoratore nel sistema produttivo.


Il risultato è la unione di concetti come eterodeterminazione della prestazione, alienità del risultato e alienità dei mezzi produttivi.


Tale nozione , malgrado sia più rispondente sul piano descrittivo ai connotati del tipo normativo di lavoratore subordinato, cioè del tipo visualizzato dal legislatore, non sembra possedere una idoneità qualificatoria superiore a quella di ciascuno dei profili chiamati a comporla.


Contestualmente a tali tentativi risoltisi come visto, in formulazioni non totalmente convincenti, prende sempre più corpo una maggiore attenzione alle operazioni di qualificazione, nell’attività giurisprudenziale.


Giurisprudenza: indicatori per la qualificazione della subordinazione

La giurisprudenza ha di fatto enucleato una serie di indici desunti dalla figura socialmente prevalente di lavoratore subordinato e dalla normale disciplina del relativo rapporto; la sottoposizione alle direttive tecniche, al controllo e al potere disciplinare dell’imprenditore; l’esclusività della dipendenza da un solo datore: le modalità della retribuzione, generalmente a tempo ed indipendente dal risultato: il vincolo dell’orario di lavoro.


In tal modo la giurisprudenza ha ricostruito una fattispecie legale di riferimento ad immagine del tipo normativo; ad immagine cioè del modello di lavoratore industriale socialmente prevalente operando di volta in volta la qualificazione in concreto sulla base di siffatta fattispecie.


Si perviene così ad una graduale approssimazione della situazione reale alla fattispecie del lavoro subordinato per verificare se, in assenza di alcuni indicatori, l’assetto di interessi sotteso al rapporto da qualificare sia da ritenersi più vicino a quello espresso dal tipo lavoro subordinato piuttosto che da altri tipi ( contratto d’opera, agenzia, etc. ).


Il periodo compreso tra gli anni ’80 e ’90 ha visto il proliferare dell’attività giurisprudenziale che ha cercato di definire gli indicatori fondamentali del rapporto subordinato creando di fatto un orientamento aggiornato costantemente, ma oramai consolidato, tale da portare sempre più alla teorica coincidenza tra qualificazione legale e normativa.


Occorre sottolineare, prima di valutare analiticamente tali indicatori, che alla fine degli anni ’90, parimenti, è iniziato un processo di identificazione di rapporti di lavoro che, pur avendo notevoli punti in comune con il rapporto subordinato, sono stati da questo tenuti separati, nell’intento di qualificarli comunque, senza circoscriverli nell’area tipica della subordinazione.


Pensiamo alla riforma Biagi ( D.Lgs. 276/03 ) che ha cercato di dare una risposta alla precarietà di attività lavorative atipiche ricollocandole nell’area della parasubordinazione, applicando tutele minime, assenti in precedenza.


Gli indicatori formulati nel tempo dalla giurisprudenza allo scopo di porre le basi per la qualificazione del rapporto di lavoro subordinato possono essere riassunti come segue:


  • Inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale.

Il lavoratore non possiede una sua organizzazione imprenditoriale, intesa come il complesso di beni e risorse dirette al conseguimento di un risultato economico.


  • L’attività lavorativa è svolta con materiali ed attrezzature del datore di lavoro.

Il lavoratore è inserito in modo funzionale nella struttura organizzativa e produttiva del datore di lavoro, svolgendo di fatto un’attività identica e non distinguibile da quella di altri lavoratori subordinati.


  • Assenza di rischio d’impresa sul lavoratore; questo è totalmente in capo al datore di lavoro.
  • Obbligo di osservare l’orario di lavoro applicato agli altri lavoratori dell’azienda o stabilito dal datore di lavoro.
  • Svolgimento della prestazione con durata temporale in modo sistematico e continuo.
  • Pagamento a scadenze periodiche della retribuzione.
  • Assoggettamento al potere direttivo, anche tecnico, ed al potere di controllo da parte del datore di lavoro o di suo collaboratore.
  • Reperibilità, intesa come disponibilità alla prestazione ordinaria ed extraordinaria.

Questi indicatori autonomamente non sono validi per qualificare un rapporto di lavoro, come subordinato, ma devono essere identificati e valutati in un’ottica complessiva con particolare attenzione alle modalità di svolgimento della prestazione e alla volontà reale ed effettiva delle parti del rapporto.¹


E’ possibile identificare nei vari pronunciamenti una gerarchia tra gli indici come segue:


  • indici con rilevanza maggiore :
  • - l’assoggettamento potenziale al potere direttivo


    - l’esistenza di un potere disciplinare, di controllo e di vigilanza


  • indici con rilevanza media :
  • - la continuità nella prestazione


    - l’inserimento nell’organizzazione predisposta da altri


    - la monocommittenza


  • indici con rilevanza minore :
  • - le modalità retributive


    - il vincolo d’orario


    - l’imputazione del rischio


    - il nomen iuris


    ¹- Cass. Lav. sent. 18 marzo 2005 n. 5905


    - Cass. Lav. sent. 25 maggio 2004 n. 10043


    - Tribunale di Piacenza 27 gennaio 2005


    - Cass. Lav. sent. 5 gennaio 2005 n. 176


    - Tribunale Treviso 15 ottobre 2002


    - Cass. Lav. sent. 13 maggio 2004 n. 9151


    - Cass. Lav. sent. 5 maggio 2004 n. 8569


    Giovanni Francesco Cassano Dottore Commercialista