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LICENZIAMENTO DI PERSONALE CON QUALIFICA DIRIGENZIALE

LICENZIAMENTO DI PERSONALE CON QUALIFICA DIRIGENZIALE


PECULIARITA’ DELLA QUALIFICA

La figura del dirigente, individuata dall’art. 2095 del c.c. insieme alle altre categorie dei lavoratori subordinati risulta definita, nei suoi punti essenziali, dalle disposizioni giurisprudenziali e contrattuali.


La giurisprudenza individua nel dirigente il lavoratore subordinato che, in presenza di autonomia e discrezionalità delle decisioni ed in assenza di una vera dipendenza gerarchica , in virtù di un elevato grado di responsabilità, svolge la sua collaborazione , di carattere prevalentemente intellettuale allo scopo di coordinare le attività aziendali.


La sua è una attività di indirizzo e di orientamento della intera vita aziendale o di un ramo della stessa, nell’osservanza delle direttive di carattere generale o programmatiche stabilite dall’imprenditore, acquisendo un potere di disposizione e di controllo di livello pari a quello dell’imprenditore diretti al perseguimento degli obbiettivi dell’impresa.


Gli elementi caratterizzanti la figura del dirigente sono quindi individuabili in:


· Supremazia gerarchica


· Autonomia e discrezionalità decisionali


· Attività prevalentemente intellettuale


· Elevata specializzazione


Egli assume, come giurisprudenza evidenzia, la figura dell’alter ego dell’imprenditore in virtù di un rapporto fiduciario che risulta molto più importante e marcato di quello esistente per definizione in ogni rapporto di lavoro subordinato.


Normativa in materia di licenziamento di personale dirigente

La particolarità del rapporto, concretizzata nel vincolo fiduciario “ speciale”, trova il suo naturale completamento, nel diverso trattamento in presenza di una violazione da parte del dirigente.


La lesione di questo particolare vincolo fiduciario esistente tra le parti può costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento.


Nella giusta causa ( art. 2119 c.c. e art. 1 L. 604/66) l’inadempimento è talmente grave da rendere impossibile anche solo temporaneamente, per il periodo di preavviso, la prosecuzione del rapporto di lavoro.


Il licenziamento si configura come l’unica sanzione atta a salvaguardare l’interesse del datore di lavoro, risultando impossibile un diverso utilizzo del lavoratore in un’altra posizione in azienda.


Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (art. 3 L. 604/66) si configura come un inadempimento degli obblighi contrattuali di notevole gravità; l’intensità di tale violazione impedisce la risoluzione istantanea del rapporto, obbligando il datore di lavoro al rispetto dei termini di preavviso, consentendo , di fatto, la prosecuzione temporanea dell’attività lavorativa.


Interessante per definire la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo è il contenuto della sentenza (Cass. 14 maggio 1997 n. 4212) ove si specifica che l’immediatezza della perdita della fiducia del datore di lavoro nei confronti del lavoratore è istantanea, a prescindere che il danno economico, prodotto dall’inadempimento, sia istantaneo, essendo sufficiente un pregiudizio potenziale per se stesso, valutabile considerando il comportamento del lavoratore in base alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta(Cass. 27 maggio 1998 n. 5258).


LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

Con riferimento all’applicazione ai lavoratori con qualifica di dirigente delle procedure stabilite per la generalità dei lavoratori subordinati (art. 7 L. 300/70) in occasione di irrogazione di sanzioni disciplinari, la giurisprudenza ha espresso orientamenti diversi.


Da un lato c’ è la linea di chi, partendo dalla sentenza della C.costituzionale . 25 luglio 1989 n. 427 che ha affermato , con riferimento specifico alle piccole unità produttive, intese come quelle con meno di sedici dipendenti, l’applicabilità dell’art. 7 L. 300/70 a tutti i licenziamenti “ ontologicamente” per mancanze del lavoratore, indipendentemente dalla loro assoggettabilità al regime vincolistico fissato dalle leggi 604/66 e 108/90.


La principale conseguenza è stata l’affermazione di un principio di carattere generale, applicabile a qualsiasi licenziamento disciplinare, con particolare riferimento alla possibilità d’interpretazione in termini espansivi dell’art. 7, in modo da meglio adeguarla ai principi costituzionali e quindi di ritenerla applicabile anche al licenziamento disciplinare dei dirigenti.


Tale questione è stata successivamente rimessa all’esame delle Sezioni unite.


Su un fronte opposto vi sono le considerazioni formatesi a seguito della sentenza della Cass. S.U. .29 maggio n. 6041 che ha ribadito la non applicabilità della disciplina vincolistica in materia di irrogazione di provvedimenti disciplinari ai rapporti di lavoro dirigenziali, che per legge (art. 2118 c.c.) possono essere risolti dal datore di lavoro in assoluta libertà senza alcun obbligo di motivazione.


Nella presente sentenza si individua una figura di dirigente molto specifica, ovvero il c.d. alter ego dell’imprenditore, dotato di uguali poteri. Infatti egli, spesso ma non sempre, ne assume la rappresentanza esterna.


A tale figura, il cui rapporto di lavoro è dotato di caratteri così specifici, mal si concilia il codice disciplinare , a causa della scarsa compatibilità con le sue caratteristiche della relazione potere


disciplinare - responsabilità disciplinare con relativo svolgimento di un procedimento disciplinare, con la conseguenza che , in assenza di particolari discipline contrattuali collettive prevedenti sanzioni disciplinari o un procedimento disciplinare, oppure l’applicabilità della stessa normativa legale limitativa dei licenziamenti, si perviene alla non qualificazione in termini disciplinari del licenziamento per giusta causa o con preavviso del dirigente.


Queste conclusioni appaiono riferite al dirigente “propriamente detto” e non al c.d. pseudo -dirigente o dirigente puramente convenzionale, non dotato quindi delle caratteristiche del rapporto tipicamente dirigenziale, in grado di definire scelte vitali per l’azienda, basate sul rapporto fiduciario che lo pongono come alter ego dell’imprenditore.


Tale identificazione , genera, di fatto, all’interno della categoria dei dirigenti, una classe alla quale sarebbe applicabile la disciplina limitativa dei licenziamenti, riferita alla generalità dei lavoratori subordinati.


Risulta evidente il contrasto esistente tra la sentenza della Corte costituzionale ed il c.d. “diritto vivente”, accentuato da una serie di diverse e successive interpretazioni da parte delle Sezioni della Corte di Cassazione.


Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ne è seguito ha cercato di dare una risposta univoca, qualificando la questione come risolvibile sul piano meramente interpretativo.


A sostegno di quest’ultima tesi vale ricordare che le Sezioni unite attribuirono alla sentenza della Corte costituzionale una portata sostanzialmente maggiore di quella risultante dal suo dispositivo, al fine di dare attuazione alle più profonde ragioni alla base della pronuncia della stessa, in applicazione del canone ermeneutico secondo cui le leggi devono essere interpretate in conformità ai principi costituzionali.


Questo orientamento trova conforto nelle argomentazioni successive nelle quali viene specificato che il carattere intrinsecamente sanzionatorio del licenziamento con addebito può dipendere anche da un’incidenza dell’addebito stesso diversa e minore rispetto a quella della validità ed efficacia del licenziamento; infatti la violazione delle regole procedimentali sulla contestazione dell’addebito determinano non la nullità del licenziamento ma un tipo di illegittimità dell’atto comportante conseguenze correlate al grado di stabilità del rapporto di lavoro e inerenti alla non rilevanza, quanto agli effetti dell’atto risolutivo, degli eventuali inadempimenti del lavoratore non debitamente contestati.


Su queste basi risulta evidente che l’applicabilità della garanzia del previo contraddittorio al licenziamento con addebiti si ricolleghi alla natura e ai potenziali effetti dello stesso , piuttosto che all’effettivo inquadrarsi del licenziamento con addebito in un quadro di complessive sanzioni disciplinari anche conservative concretamente previste dalla contrattazione collettiva e dal codice disciplinare predisposto dal datore di lavoro .


Infatti sempre le Sezioni unite con la sentenza n. 4823 del 1987 rilevarono come il potere del datore di lavoro d’intimare un licenziamento in troco o un licenziamento per giustificato motivo trova il suo fondamento nelle relative disposizioni di legge, sì che la mancata osservanza della norma di cui


al primo comma dell’art. 7 sulla pubblicità del codice disciplinare in linea di massima non incide sul potere del datore di lavoro di procedere ad un licenziamento per mancanze.


Quindi non sembrano essere rilevanti le circostanze che indicano che per tale categoria di lavoratori possa essere configurabile un maggior numero di ipotesi di giusta causa che prescindano da profili di colpa; infatti il tipo di motivazione può essere idoneo a imprimere al licenziamento una connotazione sanzionatoria o ontologicamente disciplinare, senza che, neanche in questa ipotesi, possano rilevare in senso contrario le specificità del rapporto di lavoro del dirigente e la correlativa possibile rilevanza di una più ampia gamma di motivazioni di recesso.


Deve quindi ritenersi applicabile in tali situazioni, a tutela del dirigente, il principio di civiltà giuridica di previa contestazione dell’addebito, a cui si è più volte richiamata la Corte costituzionale, ulteriormente ribadito nella sentenza 1° giugno 1995 n. 220, ove specifica che “ in generale, l’esercizio di un potere disciplinare riferito allo svolgimento di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato ( di diritto privato o di pubblico impiego) ovvero di lavoro autonomo e professionale, potere implicante un rapporto di supremazia, in virtù del quale un soggetto può, con un suo atto unilaterale, determinare conseguenze nella sfera soggettiva di un altro soggetto, in ragione di un comportamento negligente o colpevole di quest’ultimo, deve rispondere al principio di proporzione e alla regola del contraddittorio”.


Risulta evidente che le garanzie procedurali dettate dall’art. 7, 2° e 3° comma, della L. 20 maggio 1970 n. 300 ai fini dell’irrogazione di sanzioni disciplinari sono applicabili anche in caso di licenziamento di un dirigente d’azienda, a prescindere dalla specifica posizione dello stesso nell’ambito dell’organizzazione aziendale, se il datore di lavoro addebita al dirigente un comportamento negligente o, in senso lato, colpevole, al fine di escludere il diritto del medesimo al preavviso, oppure all’indennità c.d. supplementare eventualmente prevista dalla contrattazione collettiva in ipotesi di licenziamento ingiustificato;


la violazione di dette garanzie comporta la non valutabilità dei comportamenti irritualmente posti a base del licenziamento ai fini dell’esclusione del diritto al preavviso e all’indennità supplementare, mentre non determina la nullità dell’atto di recesso.