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Fiscalità e lavoro straordinario

FISCALITA’ E LAVORO STRAORDINARIO: UNA PROPOSTA PREMESSA L’osservazione costante e continua del mondo dei rapporti di lavoro, nelle sue molteplici forme, mi ha portato, nel tempo, ad analizzare alcune modalità di comportamento che ritengo degne di approfondimento. All’interno del rapporto di lavoro subordinato la retribuzione, che rappresenta il corrispettivo economico della prestazione, può essere costituita da vari elementi aventi a volte natura diversa (retributiva, di rimborso, di indennizzo) con regimi che prevedo esenzioni e/o agevolazioni; in quest’ottica si parla di istituti retributivi legali o contrattuali che definiscono i vari eventi e costituiscono le regole del rapporto di lavoro (ferie, permessi, riduzione oraria, festività, straordinari, etc.

Tali regole sono comuni per tutte le aziende, indipendentemente dalle dimensioni, salvo qualche piccola deroga; ciò che ne caratterizza il diverso trattamento è l’approccio delle parti del rapporto che nelle aziende piccole o piccolissime è assolutamente caratterizzato da una connotazione di tipo personale.


Concentrando l’attenzione sulla voce retributiva ” straordinari”, in particolare, con riferimento alle aziende di piccole dimensioni, le sorprese non mancano. La realtà delle piccolissime e piccole imprese è così frammentata da essere spesso impercettibile e sfuggevole. ANALISI Nelle imprese di queste dimensioni, direi sino ad un massimo di 15 dipendenti, lo straordinario risulta essere dal lato dell’azienda, che per limiti dimensionali non intende crescere, una necessità continuativa, mentre resta una “buona” integrazione per il lavoratore che, a tutti gli effetti, lo considera parte integrante della retribuzione. Il lavoratore, infatti, pianifica le proprie scelte personali sulla base di un “budget” di entrate comprensivo di tale voce, come se la stessa fosse definitiva e stabile. Si instaura così un circolo vizioso nel quale non esiste un ente che sfrutta la maggior intensità lavorativa e un lavoratore “forzato” a cedere l’ulteriore attività lavorativa, ma si genera un legame o meglio una tacita complicità con reciproci vantaggi. Il prezzo che viene sacrificato sull’altare del tacito consenso è il differenziale tra ammontare orario lordo e quanto corrisposto quale netto, nel senso che il lavoratore richiede senza alcun senso di colpa, di avere una retribuzione, corrispondente alla paga oraria, in nero, senza transito dalla busta paga. Da parte dell’azienda vi è il danno di pagare imposte su maggiori utili non conseguiti, con l’aggravante dell’evasione contributiva ed assistenziale. Diversamente si rinuncia al sacrificio e non si lavora, oppure si cerca un altro datore di lavoro per svolgere una attività lavorativa fuori orario. Tralascio le considerazioni di tipo moralistico circa i singoli comportamenti da ambo i contraenti di questo rapporto e mi limito a fare delle osservazioni. La prima è che risulta evidente che il maggior sacrificio richiesto nel rinunziare ad alcune ore del proprio tempo libero o familiare a favore dell’attività lavorativa, per essere accettato, deve avere alla base delle ragioni che devono superare il solco della percezione economica negativa. Tradotto in termini risulta che se devo sacrificare delle ore di vita in più, queste non possono essere retribuite con pochi soldi in più, nonostante le maggiorazioni contrattuali. La seconda osservazione è che nella prassi attuale il lavoratore a salario fisso ha ridottissimi margini per “incrementare” il proprio reddito, mentre i suoi bisogni economici sono in continua crescita. Per poter affrontare questa difficile situazione non gli restano che poche soluzioni: 1) un secondo lavoro, magari non in regola 2) lavorare di più con lo stesso datore 3) chiedere un premio di produzione 4) chiedere aumenti retributivi La terza osservazione si riferisce alla situazione in cui si trova l’azienda datrice di lavoro perché da un lato si trova nell’impossibilità di aumentare il numero dei lavoratori, sia per i costi, sia per limiti dimensionali (collocamento obbligatorio, aggravio di contributi previdenziali, passaggio a regimi di tutela maggiormente gravosi), o per paura d’irrigidire ulteriormente la struttura; dall’altro, sempre il datore di lavoro, riceve la richiesta circa le modalità di pagamento delle ore richieste in più rispetto all’orario ordinario.

Tutto questo si traduce in una scelta obbligata, che espone l’azienda a gravi rischi, quali una successiva richiesta di pagamento da parte del lavoratore con incidenza su differite e T.F.R. o accertamenti da parte degli enti ispettivi con evidente evasione contributiva e sanzioni.


RIFLESSIONE Si rende necessaria una riflessione: cosa impedisce al fisco e agli enti di considerare gli straordinari come importi esenti da qualsiasi aggravio e decurtazione? Forse questioni di diritto tributario o forse la paura che le aziende obblighino i lavoratori a turni forzati sino ad esaurimento delle energie, oppure ragioni di natura solidaristica tra lavoratori o generazioni di lavoratori. La prima eccezione non pare fondata se si pensa al dettato costituzionale contenuto nell’art. 53 “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” ove lo stesso al comma 1 si riferisce alla “capacità contributiva”, quale valutazione di idoneità astratta del singolo a sopportare il peso tributario escludendo la correlazione tra la prestazione pecuniaria del contribuente ed il beneficio che questi riceve dall’azione dello stato, mentre l’imposizione fiscale progressiva, stabilita dal comma 3, garantisce il rispetto del principio solidaristico mediante il sacrificio individuale crescente in funzione del reddito. Considerato che nell’ottica costituzionale il tributo è uno strumento per l’attuazione di un determinato indirizzo politico, sia nella scelta dei soggetti che debbono sopportare gli oneri conseguenti ad un dato programma di spese, sia nella scelta dei fatti al verificarsi dei quali si concreta il presupposto conforme ai principi costituzionali via via applicabili, pare evidente che un diverso indirizzo politico comporti l’applicazione di strumenti di volta in volta diversi. In tale prospettiva deve ricordarsi che vi sono numerosi altri principi, enunciati nella costituzione, che possono giustificare la non sottoposizione di un dato presupposto ad un tributo; in altri termini, il legislatore ordinario può formulare tale valutazione, tenendo conto di altri elementi per lui rilevanti e che si esprimono in precetti costituzionali (artt. 31,44,47 Cost.) i quali possono avere valore sia come norme direttamente vincolanti sia come norme di indirizzo politico. Considerata la non incidenza dell’aspetto tributario sulla questione, dato che esistono già esempi di corrispettivi percepiti dal lavoratore che godono di parziale o totale esenzione (diarie, trasferte, ticket, liberalità), risulta evidente la diversa natura della voce retributiva “straordinario”, così come diversa deve essere la finalità che esoneri le parti da vincoli stringenti e dai maggiori oneri derivanti da un più intenso apporto di energia lavorativa. Con riferimento alla seconda eccezione dopo le opportune valutazioni di tipo tributario, se l’impedimento di cui sopra dovesse essere causato dalla paura del legislatore di uno sfruttamento del lavoratore da parte del datore di lavoro, basterebbe osservare l’attuale situazione all’interno delle aziende. In queste, non è l’imprenditore a chiedere di fare gli straordinari, ma sempre più spesso la richiesta parte dal lavoratore con la conseguenza di stabilizzare il reddito di quest’ultimo, senza poter tornare indietro. Se l’intenzione del legislatore è quella di evitare un utilizzo intensivo di chi è nel mondo del lavoro a favore dell’impiego ed assunzione di chi è fuori allora l’argomentazione più evidente da muovere a questa visione è che l’azienda avendo a disposizione la manodopera con una professionalità spesso cresciuta negli anni all’interno con investimenti e formazione, non può permettersi di procedere ad inserimenti in momenti di particolare intensità produttiva sacrificando tempo e ritardi. Infatti nelle aziende delle dimensioni sopra individuate, l’inserimento in modo stabile di una nuova unità, avviene sempre in periodi pianificati in anticipo, proprio per evitare le tipiche difficoltà degli inserimenti d’urgenza. PROPOSTA A questo punto la risposta alle argomentazioni addotte è l’esenzione assoluta, fiscale e contributiva, di una fascia di ore straordinarie (es. 18 settimanali), da poter far emergere sul cedolino, quale reddito per il lavoratore, e nel bilancio aziendale quale costo di manodopera. In questo modo si otterrebbero più risultati contemporaneamente: 1) spezzare il legame di tacita complicità esistente tra i due estremi del rapporto 2) emersione di nero e definizione della reale capacità di reddito del lavoratore 3) emersione di nero nella contabilità dell’azienda e corretta tassazione

4) cessazione di spreco di soldi e tempo necessari agli organi di vigilanza per la ricerca di reddito che nessuno intende dichiarare


CONCLUSIONE A volte il legislatore si sforza, con impegno degno di miglior sorte, di regolamentare dei rapporti che per la loro stessa natura ed interazione sono impossibili da circoscrivere. L’ulteriore sforzo di sanzionare la violazione delle regole imposte, si traduce in un irrigidimento del rapporto senza sortire l’effetto desiderato. Nel caso degli straordinari è evidente che le parti, legate da una attività comune ma con divergenti interessi , non si sottoporranno mai ad una regolamentazione rigida, ed è altresì conosciuto dai più che lo sforzo per combattere un uso distorto di tale istituto è assolutamente privo di effetti apprezzabili. Avrebbe sicuramente sorte diversa una pratica agevolativa che da un lato permettesse ai lavoratori una efficace flessibilità retributiva, e dall’altro ponesse le aziende nella possibilità, legale, di avere a disposizione attività lavorativa supplementare, senza paventare lo spettro dello sfruttamento. Vivere le azienda dall’interno permettere di avere una visione meno teorica e più aderente alla realtà produttiva, senza che questo sia a decremento dei principi che ispirano la carta costituzionale e i diritti riconosciuti ai lavoratori.

In quest’ottica di realismo si colloca la proposta sopra indicata, quale momento di riflessione e spunto per una costruttiva provocazione.


Dr. Giovanni Francesco Cassano