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Regolamento disciplinare e licenziamento

Prendendo come momento di riflessione la sentenza della Corte di Cassazione, 10 dicembre 2004, n. 23120, in materia di licenziamento disciplinare, che tratta della mancata affissione del regolamento disciplinare in presenza di un licenziamento, offriamo un contributo diretto a definire gli attuali orientamenti della Giurisprudenza. Cenni di riferimento Nel nostro ordinamento giuridico, il fondamento del potere disciplinare è costituito dall’art. 2106 c.c. e dall’art. 7,c.1, legge n. 300/1970 cd. Statuto dei lavoratori. L’art. 2106 c.c. , intitolato « sanzioni disciplinari » sanziona l’inosservanza degli obblighi di diligenza e di fedeltà dei lavoratori stabilendo che “ l’inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti(cioè dell’obbligo di diligenza e dell’obbligo di obbedienza ex art. 2104 nonché le violazioni dell’obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c.) può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari secondo la gravità dell’infrazione ed in conformità delle norme corporative” (divenute collettive). E’ quindi previsto il principio di proporzionalità e gradualità tra infrazione e sanzione, operando, per il resto, un rinvio alle norme contrattuali collettive. L’art. 7, c. 1, legge n. 300/1970 prevede testualmente “ le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro, ove esistano”. Ogni datore di lavoro, in ragione delle peculiarità dell’attività svolta, può definire un codice di comportamento più specifico di quello previsto dalla contrattazione nazionale, purché nel rispetto del principio di pubblicità e della sua necessaria conoscibilità. La giurisprudenza: evoluzione L’attuale orientamento giurisprudenziale ritiene che il potere di recesso del datore di lavoro è da ritenersi legittimamente esercitato anche nel caso di mancata affissione del codice disciplinare, qualora i fatti addebitati al lavoratore siano configurabili come illeciti penali o costituiscano gravi violazioni di doveri fondamentali del lavoratore (Cass. 7 aprile 2003, n. 5434). L’argomento fondamentale, intorno al quale, quindi, fanno perno le decisioni della S.C. (9 marzo 2004, n. 4778) è la precisa identificazione tra ipotesi previste dalla contrattazione collettiva o poste validamente dal datore di lavoro e situazioni previste direttamente dalla legge o manifestamente contrarie all’etica comune o concretanti violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali, ad esempio, gli obblighi di diligenza e fedeltà. Infatti, in presenza di illeciti disciplinari che rivestano il carattere d’illecito penale, la violazione costituisce un comportamento lesivo delle regole fondamentali del vivere civile già conosciute da ogni componente della collettività, che rivesta o meno la qualità di lavoratore, il quale, non necessita di essere informato preventivamente dell’illiceità di siffatto comportamento. In alcune decisioni i giudici chiamati ad accertare la legittimità dei licenziamenti disciplinari adottati quale provvedimenti disciplinari , in assenza di preventiva affissione del codice disciplinare, sono andati nella direzione di una lettura rigida della norma. Gli stessi, discostandosi dagli orientamenti giurisprudenziali, hanno posto la centralità dell’art. 7, legge 300/1970, a prescindere dalla natura dell’addebito. Con ciò hanno posto in evidenza che la finalità della norma è di assicurare una più agevole conoscibilità del potere e dei limiti punitivi dell’imprenditore, con la conseguenza che la mancata affissione del codice disciplinare comporta la violazione delle norme procedurali di cui all’art. 7 legge 300/1970 e la conseguente illegittimità del provvedimento sanzionatorio adottato, indipendentemente dal tipo e dalla natura del comportamento oggetto di contestazione. Come si diceva, questa interpretazione non è stata condivisa dalla Suprema Corte che diversamente ha stabilito (Cass. 10 dicembre 2004 , n. 23120) seguendo il consolidato orientamento (Cass. 25 settembre 2004, n. 19306, Cass. 7 aprile 2003, n. 5434, Cass. 21 novembre 2000, n. 14997, 10 novembre 2000, n. 14615, Cass. 20 ottobre 2000, n. 13906, Cass. 18 aprile 2000, n. 5049) che, le violazioni del minimum etico integrante le regole fondamentali del vivere civile non devono essere contemplate in un codice disciplinare, la cui mancata pubblicità possa rendere invalido il provvedimento stesso. Infatti occorre considerare che, mentre per le sanzioni conservative l’art. 2106, con riferimento alle fonti, rinvia espressamente ad “altre diverse dalla legge” (norme corporative e contrattazione collettiva), il potere di licenziamento ha la sua fonte direttamente nella legge (art. 1 e 3 I. n. 604/1966 e artt. 2118 e 2119 Cod. Civ.) che ne prevede, quali fattispecie legittimanti, la giusta causa ed il giustificato motivo, proponendone, contestualmente, definizioni adeguatamente determinate. In tal senso la garanzia di pubblicità del codice disciplinare trova applicazione integrale alle sanzioni conservative, mentre, pur non essendo estranea alla materia dei licenziamenti, non ne costituisce condizione di validità nei casi in cui i comportamenti addebitati al lavoratore, siano riconducibili alle nozioni legali di giusta causa o di giustificato motivo a prescindere da qualsiasi specificazione ulteriore . La pubblicità del codice disciplinare risulta indispensabile per la conoscenza della giusta causa o giustificato motivo qualora s’intenda sanzionare con il licenziamento , comportamenti che non sarebbero -di per sé- riconducibili a dette nozioni legali ma , in relazione alle peculiarità dell’attività e/o dell’organizzazione dell’impresa, possono integrare, tuttavia, specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo, solo in forza di previsioni, da inserire, appunto, nel codice disciplinare della normativa collettiva o di quella validamente posta dal datore di lavoro. Conclusioni Risulta quindi consolidato il principio di diritto, condiviso dalla giurisprudenza, secondo cui la pubblicità del codice disciplinare è necessaria, in ogni caso, al fine della validità delle sanzioni disciplinari conservative, mentre non è necessaria al fine della validità del licenziamento disciplinare, qualora lo stesso sia intimato per giusta causa o giustificato motivo, come definiti dalla legge. Diviene necessaria quando lo stesso licenziamento sia intimato per specifiche ipotesi giustificatrici del recesso, previste da normativa secondaria(collettiva , o legittimamente posta dal datore di lavoro.) Ci sembrano interessanti, a sostegno delle tesi sopra sviluppate, i contenuti di due sentenze che di seguito riportiamo in stralcio e precisamente: · Cass. 09 marzo 2004, n. 4778 ove indica che “ La garanzia, prevista dall’art. 7, primo comma, della Legge 20 maggio 1970, n. 300, di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti, si applica al licenziamento disciplinare soltanto quando questo sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva o validamente poste dal datore di lavoro, e non anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative del recesso previste dalla legge o manifestamente contrarie all’etica comune o concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi con il rapporto di lavoro”. Nel caso specifico la condotta del lavoratore, il quale, in relazione ad un incidente stradale occorso nello svolgimento delle proprie mansioni di autista alla guida di un autoveicolo aziendale, aveva attestato nel verbale di constatazione amichevole modalità del sinistro diverse da quelle reali, è stata ritenuta di contenuto indiscutibilmente antigiuridico, a prescindere dalla gravità o dalla rilevanza penale.

· Cass. 2 settembre 2004, n. 17763 ove in presenza di contestazione al lavoratore, dipendente di una banca, di non aver effettuato i necessari controlli sulla provenienza di somme depositate sul conto di alcuni clienti, successivamente risultate frutto di delitti. Avverso al ricorso del lavoratore che contestava che i fatti rilevati rientrassero nel codice disciplinare e che lo stesso non era stato nemmeno affisso, la S.C. decideva respingendo il ricorso e riaffermando che in situazioni che integrano l’illecito penale o gravi violazioni di doveri fondamentali del lavoratore non è necessaria la predeterminazione mediante analitica e la pubblicazione mediante affissione.


Dr. Giovanni Francesco Cassano