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MANSIONI E QUALIFICHE: LO JUS VARIANDI

Normativa di riferimento:


Art. 2095 Cod. Civ. Art. 2103 Cod. Civ. Art. 1362 Cod. Civ. Art. 96 Disp. Att. Art. 13 L. 300/70



Il rapporto di lavoro è un rapporto complesso, definito dall’incontro di due contrapposte obbligazioni fondamentali, lavoro verso retribuzione, e da altri obblighi e doveri reciproci fra loro, connessi e correlati. La natura della obbligazione di lavorare è rinvenibile tra le c.d. obbligazioni di comportamento o di attività, che impone all’individuo di tenere un certo “comportamento” e non di raggiungere , attraverso tale comportamento, un risultato ulteriore. Questa prima definizione è di grande attualità se confrontata con le vigenti norme sulla flessibilità del mercato del lavoro; con particolare riferimento per alcune figure (parasubordinazione, lavoro occasionale), ove l’oggetto non è un’attività bensì un risultato finale o intermedio. L’attività lavorativa costituisce l’oggetto dell’obbligazione di lavoro, mentre l’indicazione del tipo avviene con riferimento, in prassi aziendale nonché legale (art. 2103 Cod. Civ.), alle mansioni. Esiste la possibilità di identificare mansioni diverse comprese in varie qualifiche. In questo caso si parla di mansioni promiscue e la conseguenza che la qualifica sarà determinata in funzione della mansione prevalente e caratterizzante. Identificate le mansioni si stabiliscono qualifica, categoria e livello. Occorre specificare subito che la terminologia contrattuale tradizionale inverte quella legislativa; infatti si parla di qualifica per indicare quella operaia, impiegatizia, dirigenziale mentre per categoria (ora livelli) si intendono le classificazioni interne ad ogni qualifica. mansioni qualifica categoria livello Dal punto di vista teorico e legislativo invece la qualifica individua un raggruppamento di mansioni (art. 2103 Cod. Civ.); a loro volta le qualifiche sono raggruppate in classi denominate categorie. L’art. 2095 Cod. Civ. individua esplicitamente quattro categorie di lavoratore subordinato: operaio, impiegato, dirigente, quadro. Le mansioni, quale primo “gradino” della ipotetica scala di identificazione sopra descritta, costituiscono, sotto il profilo del rapporto individuale di lavoro, l’oggetto della prestazione dovuta dal lavoratore , mentre sotto il profilo organizzativo, corrispondono alle posizioni di lavoro in cui si scompone l’organizzazione aziendale. Le mansioni, ovvero l’oggetto della prestazione di lavoro, sono determinate in modo generico, ma non indefinito, per rispondere alle esigenze dell’organizzazione del lavoro. L’art. 2103 Cod. Civ. e l’art. 96 disp. att., dispongono infatti che “il lavoratore deve essere adibito alle attività per le quali è stato assunto”. Le mansioni sono definite ed identificate in virtù del principio della contrattualità, contenuto nel summenzionato art. 2103 e ribadito dall’art. 96 disp. att. ove stabilisce che “l’imprenditore deve fare conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono state assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto”. Quest’obbligo è di tipo informativo e diretto a garantire al lavoratore la certezza sul suo inquadramento e quindi sul suo trattamento. La mancanza di una indicazione chiara delle mansioni, causa di frequenti controversie, rende necessario un procedimento di ricostruzione delle stesse, partendo da quelle effettivamente svolte , in modo stabile, all’interno dell’azienda. Molto importante è l’identificazione delle mansioni, in fase di valutazione , con riferimento a quelle oggettive dedotte nel rapporto di lavoro, a nulla rilevando le caratteristiche professionali del lavoratore. Normalmente, in fase di contrattazione individuale, quest’ultime rilevano per la scelta delle mansioni oggettive a cui adibire il lavoratore e quindi possono essere importanti in un processo di ricostruzione a ritroso, ma non sono decisive; infatti la c.d. qualifica soggettiva del lavoratore, intesa come somma di capacità personali professionali, è di per sé priva di rilevanza giuridica nel nostro comportamento. Il lavoratore è quindi libero di iscriversi nella lista di collocamento indicando mansioni e qualifica diverse, anche inferiori alle ultime svolte. Parallelamente, per il datore di lavoro, non esiste un obbligo di assunzione nel rispetto di mansioni e qualifiche precedenti. A questi principi si contrappongono alcuni limiti, posti dalla prassi e dai contratti collettivi, ove si indica che alcune attività devono e possono essere svolte solo se il lavoratore è in possesso di un titolo di studio di una determinata professionalità. L’importanza della corretta definizione di mansione, qualifica e categoria, si palesa ove si pensi che la mansione individua l’oggetto della prestazione dovuta dal lavoratore, con riflessi sul suo trattamento, quale quello economico, mentre la qualifica costituisce la posizione giuridica fondamentale del lavoratore, da cui derivano diritti e doveri. Infine, la categoria (operai, impiegati, dirigenti,quadri) che si determina sulla base delle mansioni e qualifiche, individua alcuni aspetti del trattamento c.d. normativo del lavoratore, sia legislativo oppure contrattuale. JUS VARIANDI Stabilito che all’atto dell’assunzione vengono definite in modo contrattuale ed individuale le mansioni che il lavoratore sarà chiamato a svolgere all’interno della struttura produttiva ed organizzativa, dobbiamo rilevare che è sempre facoltà del datore di lavoro poterle modificare. Nella versione originale dell’art. 2103 Cod. Civ. il potere del datore di lavoro di modificare le mansioni lavorative del lavoratore era molto ampio ed incontrollato, con unico vincolo stabilito nella invariabilità in pejus della retribuzione, con l’aggravante delle modifiche consensuali ritenute ammissibili senza condizioni. Risulta evidente che la paura di perdere il lavoro poteva indurre il lavoratore ad accettare, anche in modo espresso, qualsiasi modifica delle condizioni iniziali. Tale debolezza normativa è stata ricondotta a minor impatto dall’art. 13 dello Statuto dei lavoratori mediante riscrittura dell’art. . 2103. Secondo tale norma le modifiche sono ammesse solo per mansioni equivalenti a quelle contrattate all’assunzione o a quelle svolte con carattere di stabilità, ogni accordo diverso è nullo, salvo eccezioni. Si tratta di una possibile modifica ma in senso orizzontale o verticale se riferita a mansioni superiori. La norma, evidentemente, ha come scopo la tutela della professionalità del lavoratore, quale somma di esperienze. Parlare di equivalenza significa considerare sia all’aspetto retributivo sia a quello professionale a nulla rilevando i livelli contrattuali che attengono ad aspetti tariffari minimi. Riferirsi alla professionalità del lavoratore significa valutare la posizione dello stesso all’interno della organizzazione aziendale, quindi mansioni apparentemente equivalenti possono non rivelarsi tali se, all’interno di un determinato contesto, presentano differenti prospettive di carriera o se implicano un sottoutilizzo o una dispersione del patrimonio professionale del lavoratore. Al contrario, mansioni appartenenti a diversi profili professionali, possono essere ritenuti equivalenti se valutate in un’ottica di sviluppo di carriera. Lo jus variandi, quindi, può concretizzarsi come segue: A) lecito, a parità di condizioni contrattuali, con modifica orizzontale delle mansioni B) lecito, a parità di condizioni contrattuali, con modifica verticale, con possibilità di rivendicazione da parte del lavoratore(mansioni superiori) C) illecito, a parità di condizioni economiche ma peggiorativo delle mansioni (demansionamento) MANSIONI SUPERIORI L’assegnazione temporanea a mansioni superiori è ammessa, ma è regolata dalla contrattazione collettiva. Non può eccedere i tre mesi e attribuisce il diritto al lavoratore di ricevere il corrispondere trattamento economico. Tale periodo massimo è valutabile anche nel caso di predeterminazione con svolgimento frazionato, non computando le malattie e i giorni di ferie. L’assegnazione a mansioni superiori può avvenire per: 1) sostituzione di lavoratore assente ma con diritto alla conservazione del posto (infortunio, malattia, maternità, sciopero, ferie) 2) scelta organizzativa da parte del datore di lavoro 3) promozione automatica La forma di comunicazione non è necessariamente quella scritta, ma può concretizzarsi in comportamenti concludenti. Il lavoratore ha il diritto di proporre azione in giudizio per il riconoscimento della qualifica o livello superiore ed il pagamento delle differenze retributive. DEMANSIONAMENTO Il lavoratore che, in costanza di rapporto, viene adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle pattuite all’inizio del rapporto subisce una violazione dei propri diritti, salvo che sussistano particolari ragioni(mansioni marginali ed accessorie, riclassamento da parte di un nuovo contratto collettivo, temporanea adibizione, impossibilità sopravvenuta,crisi aziendale ). Ciò che qualifica il demansionamento non è l’apparente mantenimento di qualifica e livello, compresa la retribuzione, attuato mediante una assegnazione di mansioni ritenute equivalenti nella forma ma non nella sostanza, ma l’effettiva perdita delle specifiche competenze del lavoratore, maturate sino a quel momento e dirette alla logica di una progressione di carriera e di professionalità. In alcuni casi si assiste a veri e propri esercizi epistolari degni di miglior sorte letteraria per descrivere nuove ed equivalenti mansioni a fronte di un vero e proprio declassamento di un lavoratore di cui nella realtà ci si vuole liberare,; in altri casi nulla viene scritto ma nella sostanza il lavoratore viene posto in quarantena. La conseguenza principale è l’isolamento da parte dei colleghi, che avvertito il “pericolo di contagio diretto”, lasciano il lavoratore solo. Il lavoratore, a fronte di questo comportamento, se ingiustificato, può rifiutare la prestazione lavorativa richiesta, continuando a fornire quella originariamente contratta, oppure , nei casi più gravi può recede per giusta causa. Le conseguenze immediate possono essere:
  • Risarcimento del danno, per mancati guadagni, per perdita di professionalità, lesione della dignità professionale e personale, danno biologico;
  • ripristino dello status quo precedente alla violazione
  • Deroghe A fronte del dettato normativo e da quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro, esistono delle deroghe al divieto di modifica in pejus delle mansioni del lavoratore, esattamente nei seguenti casi: · richiesta espressa dal lavoratore, con accordo esplicito, con mantenimento di almeno una parte della mansione originaria; · mansioni marginali ed accessorie, quindi con svolgimento di quelle principali non intaccato. Il rifiuto potrebbe avere rilevanza disciplinare: · temporanea adibizione per il tempo necessario ad acquisire tecniche lavorative con una professionalità più completa; · Impossibilità sopravvenuta ovvero quando sopravviene una inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni contrattate, a seguito di infermità o evento morboso. E’ il caso in cui, se interessato, il datore di lavoro adibisce il lavoratore allo svolgimento delle mansioni che residuano dopo l’evento. Diversamente, lo stesso, potrà recedere per giustificato motivo; · Crisi aziendale: ovvero quando in presenza di una crisi aziendale grave, con procedura di mobilità e/o potenziale perdita del posto di lavoro, con accordo sindacale si assegna il lavoratore a mansioni diverse da quelle svolte in precedenza, per la salvaguardia della stabilità reddituale. Si può concludere affermando che una corretta fase contrattuale all’inizio del rapporto, con la precisa individuazione tra le parti delle mansioni ,da un lato necessarie all’azienda e dall’altro disponibili da parte del lavoratore, permette di mantenere sul corretto binario il rapporto di lavoro, evitando delicate e pericolose interpretazioni unilaterali. Resta evidente che all’interno di realtà produttive di minori dimensioni, il rischio di un utilizzo maggiormente promiscuo delle attività lavorative portate dai lavoratori è sicuramente maggiore in ragione di una necessità di tempi di reazione diversi dalle realtà più grandi ove regna la programmazione degli eventi. Tali situazioni normalmente restano nell’area della eccezionalità, superata la quale il lavoratore può rivendicare i propri diritti. Di seguito, a corredo, elenchiamo alcune pronunce su questo tema. Dequalificazione professionale successiva a sentenza di reintegrazione e risarcimento (Tribunale di Bergamo 3 gennaio 2005) Patto di demansionamento per evitare il licenziamento (Cass.,sez.Lav., 7 febbraio 2005, n. 2375) Licenziamento per sopravvenuta impossibilità della prestazione (Cass.,sez. Lav., 14 aprile 2005,n. 7726) Individuazione delle mansioni nel patto di prova (Trib. Roma, sez. 4 Lav.,23 febbraio 2005, n. 3420) Risarcimento del danno da demansionamento (Trib. Ferrara, 2 maggio 2005) Sopravvenuta inidoneità allo svolgimento delle mansioni e patto di dequalificazione (Cass., sez. Lav., 10 ottobre 2005, n. 19686) Mutamento delle mansioni e inadempimento contrattuale (Cass., sez. Lav., 8 novembre 2005, n. 21673) Demansionamento e onere della prova per il risarcimento ( Cass., sez. Lav., 10 marzo 2006, n. 5318) Qualifica superiore e differenze retributive: prescrizione ( Trib. Bassano del Grappa, 0 luglio 2002) Svolgimento di mansioni superiori ( Cass., sez. Lav., 8 novembre 2004, n. 21253) Jus variandi e clausole contrattuali di fungibilità funzionale (Cass.,sez. unite, 24 novembre 2006, n. 25033) Dottor Giovanni Francesco Cassano