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Mobbing genitoriale

Il termine “mobbing” è stato sino ad oggi impiegato dalla letteratura scientifica per indicare un particolare tipo di conflittualità cronica in contesto lavorativo e, successivamente, per designare modelli simili di conflittualità croniche, emergenti in altre tipologie di gruppi umani: ad es., “mobbing familiare”, “mobbing genitoriale”, mobbing in caserma (“nonnismo”).


Nella sezione “Articoli” del mio sito (www.sarabreschi.it) troverete l’articolo “Mobbing” che tratta il fenomeno nel contesto lavorativo , qui, invece, definirò quello che di simile accade nei conflitti coniugali cronici.


La coppia genitoriale è definita come tale perché, nei riguardi dei figli, opera come “coppia di genitori”, e lo fa attraverso regole condivise dalla coppia al proprio interno e con il contesto sociale nel quale è immersa. La condivisione di questo delicato equilibrio di regole e definizioni è, dunque, fondamentale perché in tale condivisione risiede la definizione sia dell’identità di ciascun partecipante al gruppo, sia del gruppo rispetto all’ambiente in cui esso opera.


Il “mobbing genitoriale” , secondo Gaetano Giordano (2004), consta dell’adozione da parte di un genitore, separato o in via di separazione dall’altro genitore, di comportamenti aggressivi preordinati e/o comunque finalizzati ad impedire all’altro genitore, attraverso il terrore psicologico, l’umiliazione, e il discredito familiari, sociali, legali, l’esercizio della propria genitorialità, svilendo e/o distruggendo la sua relazione con i figli, impedendogli di esprimerla socialmente e legalmente, intromettendosi nella sua vita privata.


I comportamenti mobbizzanti sono protratti nel tempo, si ripetono di fatto costantemente (per almeno 6 mesi), non sono giustificati da devianze psicologiche e comportamenti illegittimi o illegali dell’altro genitore. Le aree di esercizio della genitorialità nelle quali si possono subire comportamenti mobbizzanti sono:


1) la relazione genitoriale in quanto tale , cioè il rapporto diretto fra genitore e figlio : un genitore può tentare di portare ostacoli alle frequentazioni genitore-figlio (il bambino non viene fatto uscire nelle occasioni stabilite in sentenza; non può essere raggiunto telefonicamente dal genitore non affidatario o questi non può parlargli con tranquillità, senza interferenze; è frequentemente malato in coincidenza con le date degli incontri o è impegnato altrove per decisione del genitore affidatario; nei giorni di scuola viene fatto uscire prima del termine delle lezioni in modo da non farlo trovare all’altro genitore andato a prenderlo. Si parla anche di “relocation”, vale a dire il trasferimento del minore in una città o nazione la cui distanza dal domicilio dell’altro genitore tende a compromettere gravemente o a impedire del tutto gli incontri genitore-figlio), oppure impegnarsi, più distruttivamente, in una vera e propria campagna di delegittimazione genitoriale che ha come obbiettivo quello di far crollare, nella considerazione del figlio, l’autorevolezza e l’importanza del genitore-bersaglio (i commenti negativi in occasione di incontri, telefonate, contatti, commenti spesso portati avanti mediante allusioni e commenti non verbali attraverso sospiri, sguardi, toni di voce, mezze frasi. Altre modalità non verbali: tipico è nascondere ogni oggetto che possa ricordare l’altro genitore o connotarne la presenza affettiva in casa del minore), così da portarlo a non prenderlo più in considerazione come genitore, o, nei casi più gravi, al rifiuto di ogni contatto con lui e all’instaurarsi nel figlio di una vera Sindrome di Alienazione Genitoriale. Questa è una modalità che tende ad auto-denunciarsi, specie perché angosciante per il minore stesso che, spesso, comincia a prendere le difese del genitore aggredito. Un'altra modalità nella quale si pone l’ipotesi di “modalità mobbizzante” è quando al genitore non affidatario viene negato di incontrare il figlio ricoverato in ambiente ospedaliero (o comunque in momenti in cui il minore è in grave pericolo o difficoltà), e questo anche se avviene in giorni o periodi non previsti come giorni di frequentazioni. E’ evidente infatti che l’evento straordinario del ricovero (o dell’evento critico), dovrebbe far superare la rigida articolazione del disposto giudiziario, e che attenersi ad esso in un frangente emotivamente pesante come quello di una grave malattia esprime non una volontà di legalità e correttezza, ma solo di terrorismo e tortura psicologica.


2) l’esprimersi sociale e legale di questo rapporto : il genitore mobbizzante può creare un ostacolo nelle informazioni e alla partecipazione ai processi decisionali relativi ai figli in genere nei campi delle attività sia scolastiche che extrascolastiche e della salute (al genitore mobbizzato vengono negate notizie sullo stato di salute, a volte anche eventuali ricovero o l’indirizzo della struttura che ha in cura il figlio) oppure prodursi in una vera e propria campagna di aggressione e distruzione sociale e legale (mettere in giro voci diffamatorie sul genitore mobbizzato, specie in relazione alla sua inadeguatezza genitoriale, e il farlo oggetto di denunce e aggressioni legali varie, sia per porlo in continua tensione e terrorizzarlo, sia per togliergli quanto più possibile l’esercizio della genitorialità).


3) l’ intrusione nella sfera personale dell’altro genitore , intendendo con questo termine le aree del lavoro e delle relazioni affettive (il “genitore mobber” telefona, ad es., al nuovo partner del suo ex per elencargli i difetti e le possibilità che ha di subire abbandoni e tradimenti) e sociali (il giro di telefonate, più o meno ripetute, che in questi casi vengono fatte a parenti e amici della coppia per tentare di portarli dalla propria parte) esterne all’esercizio della propria genitorialità. Il fine cui tende il “genitore mobber” è l’espropriazione della genitorialità dell’altro genitore. E’ anche possibile che il genitore delegittimato dal suo ruolo ripieghi depressivamente verso una forma di apatia relativa al suo ruolo e al conseguente esercizio dello stesso: in questo caso, è importante un’indagine volta a ripercorrere quale costruzione abbia avuto nel tempo la “transazione mobbizzante”.


Occorre qui notare che l’affidamento del figlio implica possibilità molto più elevate di mobbizzare l’altro genitore, e questo fa sì che non sia difficile imbattersi in quello che Gaetano Giordano (2004) ha definito “mobbing genitoriale reciproco” , in cui entrambi i genitori si producono in comportamenti tesi a espropriare l’altro della sua genitorialità .
In alcuni casi l’inizio dei comportamenti mobbizzanti è contemporaneo e reciproco, ma ciò avviene molto più raramente rispetto a quella che riteniamo la classica situazione di “mobbing genitoriale reciproco”, nella quale vi è dapprima un genitore che inizia a mobbizzare l’altro che poi, a sua volta inizia anche egli - in una guerra infinita soggetta a sempre peggiori escalation, soprattutto in virtù della collusione tra conflittualità giudiziaria e conflittualità genitoriale - a mettere in atto nuovi comportamenti mobbizzanti contro l’altro genitore.


Si parla di “doppio mobbing genitoriale” quando ci sono delle ripercussioni indirette sul nuovo nucleo familiare dei comportamenti del “genitore mobber” (es.: la nuova coppia senza figli, o con figli di altra unione, che diventa vittima del clima di mobbizzazione del quale è oggetto uno dei coniugi). Definiamo invece “mobbing genitoriale allargato” le conseguenze dirette dei comportamenti mobbizzanti su altri familiari del minore coinvolto .


Due sono gli aspetti importanti nel definire la gravità di quanto accade:


1. la percezione della ridefinizione dei ruoli che ciascun genitore avrà dopo la separazione (o, anche, in vista di essa) e, soprattutto, l’incertezza che tale percezione comporta. Entra in gioco la diversa concezione del nucleo familiare che hanno, dopo la separazione, i genitori: il genitore che diverrà “genitore mobbizzante” non identifica la propria stabilità e certezza con la ridefinizione dei ruoli che si è avuta .


2. l’importanza che ciascun genitore darà, ai fini della definizione della propria identità, al proprio ruolo genitoriale . Un genitore che, per vari motivi (anche proiettivi, ad es. per problematiche irrisolte emergenti dal proprio passato di figlio), darà molta importanza al proprio legame con il figlio, è a rischio più elevato di diventare “genitore mobber”. Più frequentemente, il genitore mobbizzante è, infatti, l’affidatario. Questi, forte della convivenza con il figlio, tenderà ad impedire all’altro genitore di continuare a poter esercitare un ruolo decisionale importante nella vita del figlio. Spesso, il genitore non affidatario non è mobbizzante non perché più “buono” o più adattabile alla nuova situazione, ma perché non ha gli strumenti per diventare mobbizzante: in questi casi, si limiterà a parlare male dell’altro genitore, non adempierà agli orari di riconsegna per “dispetto”, evaderà, senza motivazione economica e psicologica l’esatto mantenimento dell’assegno mensile.



E’ necessario dunque riconsiderare il valore della genitorialità come un valore inalienabile dell’individuo, oltre il quale crollano tutti gli equilibri personali e sociali.


Bibliografia



- Giordano G., Conflittualità nella separazione coniugale: il “mobbing” genitoriale , Psychomedia, luglio 2004