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Quale relazione tra la neo coppia e le famiglie d’origine?

La coppia che prende vita con il progetto di diventare famiglia si trova a dover definire due aspetti necessari al buon equilibrio di sé e del proprio futuro, che si amplia poi con l’introduzione della genitorialità. Da un lato deve costruire o rivedere la propria identità (da “fidanzati” a “sposati”), dall’altro deve ridefinire i rapporti con le famiglie d’origine cercando le giuste distanze emotive da quelli che non sono più solo genitori ma anche suoceri - e domani forse anche nonni.

Vittorio, 35 anni, sposato con Elena da quattro anni e con un figlio di quasi cinque, vorrebbe cambiare casa. E’ molto indeciso tra ciò che gli chiede Elena- andare a vivere nel paese vicino ai suoceri -, e ciò che il padre gli propone in continuazione - prendersi l’appartamento costruito per lui sopra la casa dove ha sempre vissuto con la sua famiglia d’origine. Il parere del padre per lui è sempre stato importante, non ha mai saputo dirgli di no. Solo quando Elena è rimasta incinta è riuscito a mettere i genitori di fronte al fatto compiuto e a convincere il padre al matrimonio. Con tanta sofferenza trova la mediazione tra l’out out messogli da Elena e le condizioni dei genitori: si farà aiutare da loro a ristrutturare una casa nel paese vicino, ma sarà il padre a fare i lavori e a scegliere rivestimenti e arredamento. Le tensioni con Elena diventano notevoli. La moglie, abituata ad avere con la sua famiglia d’origine rapporti discontinui e poca frequentazione, non riesce più ad accettare questa dipendenza psicologica del marito dal volere dei suoi genitori…….

Un esempio, questo, di legame “invischiato” in cui le relazioni familiari intergenerazionali diventano vincoli piuttosto che risorsa. La neo coppia in questo modo stenta a costruire una propria specifica identità e progettualità. Si tratta di una famiglia con posizione“sbilanciata” in cui c’è una forte dipendenza emotiva di Vittorio dai propri genitori e una posizione opposta di Elena in cui prevale il distacco. Solitamente in queste situazioni la famiglia emotivamente invischiata “risucchia”, “assorbe” creando uno sbilanciamento della coppia.

Baldaro Verde in "Luci e ombre nella coppia di oggi” scrive "Quando i coniugi sono ancora troppi invischiati con le rispettive famiglie di origine, parte dei loro interessi, dei loro affetti e delle loro energie psichiche resteranno vincolati in tali ambiti, e ciò indebolirà la coppia privandola della capacità di investire su se stessa e di creare, veramente, un nucleo separato: il "noi" troppo allargato della coppia sarà investito di dinamiche complesse e spesso estremamente difficili da gestire”.

Anna da sempre ha difficoltà con i suoi genitori. Quando incontra Carlo si distacca velocemente dalla sua famiglia. Con la convivenza, forte nel sapere di non essere più sola, chiude quasi del tutto i legami con i genitori, non risponde alle richieste di avvicinamento e di coinvolgimento di questi ultimi, soprattutto quando nasce Gianni. Carlo nel tempo inizia a dare voce al suo malessere per questa situazione; i suoceri gli chiedono di mediare, Anna lo investe della grossa responsabilità di essere lui e Gianni l’unica sua famiglia chiedendogli di prendere le distanze anche dai suoi genitori….

Dunque neanche l’interrompere del tutto i rapporti con le rispettive famiglie d’origine è portatore di maggiore benessere in quanto non si avvia alcun processo di elaborazione di nuovi modi con cui manifestare i legami intergenerazionali.

La vera identità di coppia richiede ai due partner la capacità di creare uno spazio ampio in cui vivere i sentimenti ed esperire l’intimità necessaria; la capacità di stabilire insieme cosa condividere con la realtà esterna senza farsi soffocare o condizionare da essa; la capacità di avere ruoli intercambiabili senza irrigidire e soffocare l’individualità. Apertura e chiusura devono essere processi flessibili e interdipendenti.

Maurizio Andolfi in diversi suoi scritti afferma che nella coppia “bilanciata” i partner sono riusciti ad elaborare una buona separazione e svincolo dalla propria famiglia d’origine, mantenendosi entrambi fortemente radicati nei propri sistemi di appartenenza. In questo modo i ruoli e le funzioni tra genitori e figli sono differenziati in maniera flessibile.

Il percorso di “svincolo” non riguarda solo i figli dai genitori ma anche viceversa. I primi sono presi dalla ricerca di un modo differente di guardare a sé, anche attraverso l’altro e la relazione con l’altro. I secondi sono investiti dal difficile compito di “separarsi” dai figli aiutandoli nelle nuove responsabilità e trasformazioni. Lasciar andare un figlio alla propria storia, in più condivisa con un'altra persona, un estraneo, disorienta i genitori, li pone di fronte ad un cambiamento di ruolo e spesso anche alla perdita del privilegio di essere coloro che sanno cosa è giusto e cosa no per il figlio, che danno la direzione. Spesso il matrimonio o la convivenza del figlio porta anche la necessità di rivedere il modo di stare insieme al proprio marito o moglie, dopo che per anni ci si è dedicati ai figli e al loro benessere. D’un tratto si deve tornare ad essere prevalentemente coniugi piuttosto che genitori. L'incapacità di questi di riorganizzare i rapporti all'interno della coppia e di accettare l'uscita dei figli può portarli a sperimentare quella che E. Scabini chiama la "sindrome del nido vuoto”.

Non dobbiamo dimenticare che ogni famiglia è caratterizzata da un insieme di valori, di credenze, di modalità relazionali, che si tramandano di generazione in generazione. Negare o lasciarsi intrappolare da questa eredità ci può impedire di usare le nostre radici come trampolino di lancio per creare a nostra volta una famiglia, con modalità relazionali che prendono spunto dal già vissuto ma che trovano uno spazio nuovo e co-costruito con chi ci vuole stare accanto.