Passeggiando tra le terre di confine…..
Marianna è una giovane donna di 27 anni. Si è laureata da tre anni, con buoni risultati, in biologia. Il suo sogno sarebbe stato quello di lavorare in un laboratorio. Cerca un lavoro, un qualsiasi lavoro che le permetta di avere almeno una piccola entrata economica. La madre però non è d’accordo e ad ogni piccola possibilità di lavoro, purtroppo sempre non attinente al suo titolo di studio, le mette i bastoni fra le ruote non accettando che la sua “dottoressa in scienze biologiche” possa ad esempio fare l’operatrice di call center. Il fratello, di tanto più grande di lei, ormai con un ottima posizione lavorativa, ancora vive con loro. Il padre li ha abbandonati quando lei era molto piccola.
Marianna arriva in terapia manifestando grossi attacchi di panico che si evidenziano soprattutto in concomitanza di un colloquio di lavoro o di una qualunque prestazione. Tutto questo la sta spingendo verso forme di insicurezza e senso di incapacità a volte quasi paralizzanti. In estrema sintesi, la psicoterapia evidenzia presto l’incastro relazionale in cui da tempo Marianna è inserita (ma anche il fratello) in quanto, sin da piccola, ha assunto il ruolo di amica-compagna della madre che involontariamente ha fatto entrare entrambi i figli nella condizione emotiva di dover sempre “appartenere” a questa famiglia, senza possibilità di reale svincolo da ruoli e funzioni da anni assunti per mantenere gli equilibri personali e soprattutto familiari. Anche il fratello non può sganciarsi da questa famiglia in quanto sin da adolescente ha dovuto assumere il ruolo del maschio di casa, responsabile e diligente, nel contempo mantenendo però un livello di dipendenza emotiva dalla stessa che tuttora non gli permette di “spiccare il volo”.
Per gli equilibri familiari la possibilità che Marianna faccia un proprio percorso di vita, che in termini di maturità la vedrebbe anche pronta, è pericolosa ed il sintomo della ragazza, anche se può sembrare paradossale, rassicura tutti i componenti della famiglia che nulla potrà essere toccato e turbato. Aver lavorato in terapia anche con il fratello e la mamma di Marianna ha avuto l’obiettivo di agevolare un’autonomia e libertà tra i componenti di questa famiglia rassicurando sulla continuità degli affetti e delle vicinanze emotive senza però che si debba continuare a passare attraverso la sofferenza ed il malessere.
Cosa ha guidato l’intervento terapeutico di chi scrive? Quale la teoria, quali le riflessioni?
Tutto ruota attorno ad alcuni concetti, tra l’altro in precedenza già in parte toccati: ciclo di vita, sistema di appartenenza, significato (e non causa) del sintomo. Ma ciò che emerge è il nuovo concetto sociologico di “giovane adulto”.
J. Conrad scriveva, usando la metafora del viaggio in mare, “l’adolescenza (è) come il periodo in cui ciascuno costruisce la propria nave; la tarda adolescenza come il momento in cui, ultimata la nave, si procede ai preparativi per la partenza facendo i rifornimenti necessari al viaggio, scegliendo la rotta da seguire e l’equipaggio; l’età adulta come il momento di inizio del viaggio e il levare le ancore”.
Adolescenza, tarda adolescenza, giovinezza, dimensione di giovane adulto per arrivare alla realtà dell’adulto consapevole: è la storia del confine tra la costruzione della nave e la rotta da seguire, confine che dentro di noi non sempre è facile stabilire.
Il passaggio all’età adulta negli ultimi anni ha subito una forte decelerazione e ciò ha portato al crearsi di diversi ed ulteriori stadi del ciclo vitale sia per l’individuo sia per la famiglia. Scabini e Donati parlano di “famiglia lunga del giovane adulto”.
Nella nuova categoria sociale per l'appunto del “giovane adulto” sono inseriti molti ragazzi che attraversano un periodo della loro vita in cui non si sentono più adolescenti ma non riescono a considerarsi adulti a tutti gli effetti, e ciò perchè non hanno raggiunto quella emancipazione economica e quella autonomia che sono necessarie per sentirsi indipendenti dalla famiglia d’origine. Il cantante Jovanotti canta “…Vorrei passare dai dieci ai trenta per non subire questa tortura, il primo amore, la prima casa, dover vestire quest'armatura, il primo amico che ti tradisce o che magari tradisci tu, il primo treno che non ci sali e che magari non torna più………
E’ evidente che ogni fase del ciclo vitale comporta compiti evolutivi. Anche la nuova attribuzione di ruolo familiare e sociale, che in molti chiamano “tarda adolescenza”, presuppone alcune conquiste e responsabilità che per l’individuo sono di transito verso l’indipendenza e l’autonomia. Sintetizzando, gli elementi importanti per la costruzione e il mantenimento del processo di responsabilizzazione sono essenzialmente tre, riconducibili sia all’individuazione e separazione dai genitori; sia al vivere la relazione a due in cui poter sperimentare una appartenenza diversa e nuova; sia impegnarsi nel fatidico “cosa farò da grande”. Non ci sono esperienze giuste o solo sbagliate. Bisognerà proseguire anche per prove ed errori.
Spesso questo viaggio verso l’età adulta frena, spaventa il giovane che lo vede come faticoso e lontano. Un ruolo importante ha la famiglia nello svincolo e raggiungimento di un buon grado di autonomia. La famiglia, a seconda dei diversi stadi del ciclo vitale, deve saper adattare le regole e le relazioni interne. In base alle varie fasi evolutive della crescita del giovane si modificano i confini tra i componenti, le distanze e vicinanze emotive, si inseriscono nuovi ruoli e nuove funzionalità interne.
In psicoterapia spesso arrivano giovani con difficoltà a svincolarsi dalla propria famiglia d’origine (e viceversa), in trappola ma anche partecipi di copioni o di giochi relazionali da attribuire a fasi precedenti del loro sviluppo e del loro sistema familiare. Queste difficoltà possono portare all’espressione di comportamenti sintomatici che fanno emergere la rigidità della struttura delle relazioni familiari di cui il giovane si fa inconsapevole portavoce con stati depressivi, fobie, paranoie, disturbi dell’alimentazione o forti difficoltà nei rapporti interpersonali e sentimentali. Nell’avviare il percorso terapeutico non si deve però puntare sulle espressioni sintomatiche come se queste fossero il problema, ma sul dare voce a quello che implicitamente essi maneggiano e veicolano: le difficoltà di svincolo nella relazione genitori-figli.
Per il giovane adulto i genitori devono continuare ad essere una “base sicura”, così come il figlio sarà un importante riferimento relazionale. E’ importante che il tutto non diventi una pericolosa trappola in cui si inserisce la necessità, il “non poter fare a meno”. In questa dimensione non c’è possibilità di libero pensiero ed azione in quanto il sintomo deve mantenere gli equilibri familiari. Come per Marianna, arrivare allo svincolo dal bisogno, dalla intoccabile necessità, aiuta ognuno a vivere le proprie esperienze e i propri errori collocandoli nella giusta dimensione della possibilità di “fare” ma soprattutto di “essere”.