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A PROPOSITO DI STORIE DI OGNI GIORNO.... LO SPECCHIO RETROVISORE E IL MONDO DELLA COMUNICAZIONE


Si potrebbe apprendere tanto anche da uno specchio
retroriflettente.
Si, lo specchio retrovisore di una qualunque vettura
destinata a svolgere un servizio particolare: quello di
trasportare persone, storie, esperienze nello spazio e nel tempo
di una città o di una strada; occhi che si incontrano, storie di
vita che si sfiorano nel breve tratto di una “corsa” in un gioco
di ruoli ben definito. Spesso ad accompagnare questo incontro
c’è la canzone melanconica che proviene da quella radio,
accesa forse per ricordare a chi conduce che i suoni della vita
non sono solo quelli dei clacson, delle voci della via, delle
sirene che trasportano dolore. Ma il suono può anche provenire
dal sedile posteriore dove una voce, oltre ad indicare
l’indirizzo da raggiungere, mette insieme le parole giuste per
creare un rapporto. Semplice e circoscritto al tempo di una
chiacchierata, ma pur sempre un rapporto. Qualche parola
sulla meteorologia del momento, qualche informazione sul
traffico della città, ed ecco che avviene un incontro. E’ un
incontro che trova la sua conferma proprio in quello
specchietto che riflette sguardi e accompagna le parole. Si crea
così un sorriso e la voglia di credere in quello che si sta
facendo e di pensare che attorno non ci sia solo indifferenza.
Quella stessa indifferenza espressa dai precedenti passeggeri
con il loro sussurrato “buon giorno”e il tono secco di poche
parole con cui avevano “comunicato” l’assoluta
indisponibilità a qualunque contatto. Si alza e si abbassa lo
sguardo da quello specchio, si cercano informazioni, si
esprime curiosità, si cerca complicità e..., inoltre, si apre per
chi sta scrivendo una lunga riflessione sul mondo delle
relazioni e della comunicazione interpersonale.
E’ certamente vero che tutti sanno parlare, ma non è altrettanto
vero che tutti sanno come parlano. Ed è ancora meno vero che
tutti sanno come ascoltano. Da qui nascono molti fenomeni di
incomprensione, disappunto, rifiuto che normalmente vengono
attribuiti all’incapacità dell’altro di ascoltarci o di parlarci. E
poiché anche l’altro attribuisce a noi le stesse incapacità, tutto
ciò aumenta l’incomprensione fino anche ad annullare la
possibilità di comunicare. Trattare della comunicazione
significa entrare nel vivo dei rapporti personali e di quelli
sociali. A livello dei rapporti personali la comunicazione è il
filo che lega le persone. Ognuno poi cerca di dare una
immagine di se’, delle proprie qualità, capacità o del proprio
potere e cerca nell’altro una conferma a questa immagine.
Quando due persone comunicano avviene anche il processo
inverso a quello appena descritto; cioè, oltre a definire se stessi
agli occhi dell’altro, si cerca di dare una definizione dell’altro
ai nostri occhi. La risposta, suscitata dalla comunicazione nel
soggetto che la riceve, opera a sua volta come stimolo nei
confronti del comunicante. “Ciascuno è specchio dell’altro e
riflette chi passa”, così pensava Charles Horton Cooley.
Spesso, in quello specchio retrovisore, si guarda
all’aspetto dell’ospite del sedile dietro proprio per cogliere
quegli imput necessari per avviare una conversazione, per
capire se si può avere via libera per una chiacchierata.
L’aspetto di una persona (fisico, lineamenti, abiti, accessori,
ecc.), unitamente alla mimica, agli atteggiamenti, al “modo” di
parlare (esitante, sicuro, aggressivo, monotono, ironico, ecc.)
comunica una gamma enorme di informazioni, di dati,
indipendentemente dalle parole, e contribuisce a fornirci una
immagine che a sua volta influirà sulla interpretazione di ciò
che viene detto dall’individuo in questione. Questa è la
comunicazione non verbale o analogica (termine preso dal
mondo dei calcolatori).
L’importanza dei segnali non verbali sta nel significato che
assumono per chi li invia e per chi li riceve. Watzlawick
introduce, attraverso i suoi assiomi della comunicazione, un
concetto fondamentale: è impossibile non comunicare. Anche
il “cliente” che non proferisce parola sta comunicando una
serie di informazioni. Il suo viso corrucciato può esprimere
sofferenza, tensione, disorientamento o quant’altro e
comunque, anche qui, chiusura a qualunque forma di
interazione verbale. Anche la tipica immagine da vignetta della
moglie che parla, parla, parla e del marito che continua a
leggere il quotidiano definisce i diversi aspetti della relazione
tra i due personaggi. Una divagazione legata alla
psicopatologia può altrettanto bene aiutare a comprendere il
senso dell’impossibilità di non comunicare. Apparentemente lo
schizofrenico non vorrebbe comunicare ma si trova di fronte al
dilemma che il suo stesso silenzio o la sua immobilità
(“silenzio posturale”) costituiscono comunicazione.
Infine, non bisogna trascurare un altro elemento
altrettanto importante: è necessario collocare la comunicazione
umana nel contesto in cui ha luogo. Se, ad esempio, qualcuno
si mettesse a lavare i denti invece che nel proprio bagno nel
bel mezzo del traffico cittadino sicuramente la reazione dei
passanti sarebbe di attribuire al comportamento un significato
di anormalità, con ricorso anche all’aiuto delle forze
dell’ordine (!).
Pertanto, capiamo bene che quello specchietto
retrovisore potrebbe veramente insegnarci a guardare a ciò che
avviene con occhi diversi e ad avere maggiore consapevolezza
anche di quelli che sono i nostri messaggi di relazione che
rimandiamo alle persone che, o con cui, pur non comunicando
con le parole, entrano, o entriamo, in contatto. E questa è solo
una delle tante storie di ogni giorno.
Dott.ssa Stefania Martina