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LA DEPRESSIONE: UNO STATO D’ANIMO, UNA DIAGNOSI PSICHIATRICA O UNA SOFFERENZA PROFONDA?


La nostra vita psichica è come un pendolo che, con il suo
accompagnare e scandire il tempo delle emozioni di ognuno, oscilla tra
un sentimento “maniacale”, di energia, sicurezza, progettualità e un
sentimento “depressivo” di disinteresse, disorientamento, insicurezza.
L’oscillazione tra questi due stati d’animo fa parte di noi. Ci sono
persone con grosse oscillazioni che tendono prevalentemente o a sentire
di “avere il mondo in mano” o di “essere a terra”, oppure persone che
hanno oscillazioni più brevi. Pertanto lo stato d’animo depresso è
un’esperienza normale dell’essere umano.
E’ facile vivere momenti di lutti, perdite, separazioni, insuccessi,
di difficoltà che appaiono insormontabili ma che poi, con grande
sollievo e soddisfazione, vengono affrontati e, spesso lentamente,
superati.
La depressione non è una malattia ma un sintomo. Così come la febbre
è un sintomo di malattie differenti, la depressione è la manifestazione di
cause diverse. La depressione è un messaggio di sofferenze varie
individuali e di sofferenze varie anche all’interno del proprio contesto
affettivo di vita. Semplificando in maniera estrema e utilizzando il lutto
anche come metafora di cambiamento, si può dire che la patologia
corrisponde ad un difetto dell’elaborazione del lutto che si evidenzia
attraverso l’esasperazione dei meccanismi di difesa che ne contrastano
il cammino. Il lutto di cui si parla, è chiaro, si intende come perdita non
solo legata alla morte reale ma anche a quella vissuta come chiusura,
come non ritorno (si pensi, ad esempio, alla separazione coniugale).
Partendo da quanto detto, ci sono varie forme di manifestazione di
difficoltà. Le due macro categorie sono quella delle depressioni
nevrotiche e quella delle depressioni psicotiche.
Nel primo caso vi rientra tutta quella sintomatologia legata al dover
affrontare, come si diceva, lutti, separazioni o al funzionamento della
depressione come sintomo di un conflitto che la persona nasconde a se
stessa.
Le depressioni nevrotiche sono comuni perchè legate soprattutto all’età,
al mutamento, ad un evento significativo. Un esempio possono essere
gli adolescenti che vivono un periodo caratterizzato dal conflitto di
fondo di sentire da un lato l’esigenza di staccarsi dalla famiglia per
costruire la propria vita, dall’altro che in questo modo si tradisce, si
abbandona. Il conflitto è evolutivo. Non lo è più in relazione alle
reazioni del contesto di vita del ragazzo. Se i genitori, ad esempio, dopo
una fase iniziale di resistenza, disorientamento, passano all’accettazione
del distacco dei figli creandosi anche delle alternative di interesse a
vario livello, è più probabile che i sentimenti depressivi nel giovane si
attenuino o scompaiano. Altra tappa importante (ma in realtà sono
tante) è il periodo della cosiddetta “mezza età” dove si vive il conflitto
tra ciò che si sarebbe voluto diventare e ciò che realmente si è diventati.
Si tratta della crisi nell’accettazione del limite. Sono forme depressive,
quindi, legate ai momenti di passaggio, alle tappe evolutive del ciclo di
vita.
Le depressioni legate al mutamento, il cambiamento di status, di ruolo,
di ambiente di vita: ne è un esempio la depressione post partum dove,
oltre alle mobilitazioni affettive attivate dalla gravidanza e dal “mettere
al mondo” un figlio, si crea un contraccolpo emotivo anche dal punto di
vista del ruolo e delle relazioni con l’ambiente affettivo di appartenenza
(non si è più, ad esempio, solo figlia e moglie ma anche madre, e
l’uomo non è più solo figlio, compagno/amante ma anche genitore).
La vita di tutti è un susseguirsi di separazioni (dalla madre, dalla
propria infanzia, da un amore, dai figli, dalla vita stessa) e di
cambiamenti. L’umore depressivo che ne consegue è un’esperienza di
tutti. La capacità di rimanere in una fase depressiva “normalmente
reattiva” o di entrare in una depressione dipende sicuramente dal
contesto di vita, da come attorno a noi si permette e si accetta il
cambiamento, ma dipende anche dalle vicende della prima infanzia,
dall’organizzazione emotiva su cui ognuno si è costituito e dalla
struttura di personalità che ne consegue.
Sinora si è parlato della vasta categoria delle depressioni nevrotiche ma
si può arrivare anche alle depressioni che la psichiatria definisce
“psicotiche” o “maggiori”. Sono espressione di un disturbo importante
di personalità che si manifesta nella difficoltà a reagire agli eventi. In
questi casi la crisi depressiva traduce la visione del mondo in cui il bene
è esterno a sè (“il mondo è irraggiungibile e buono e io non sono
degno”), a fronte della crisi maniacale in cui il bene è interno a sè
(“l’esterno non mi riconosce quindi non è degno di me”). Anche quando
la persona non è in crisi, il bene e il male non sono ben integrati. Passa
da entusiasmi improvvisi a cocenti delusioni, da momenti di enorme
fiducia ad altri di totale sfiducia nelle proprie possibilità. Questo tipo di
personalità riesce anche a controllare adeguatamente la realtà esterna.
Le difficoltà inequivocabili insorgono quando deve stabilire rapporti
significativi dove gli altri non sono disposti a idealizzare e a lasciarsi
idealizzare.
Ma dopo questo affermare, ipotizzare, dire, la domanda che
chiaramente ne consegue è: si può fare qualcosa? O, ancora meglio, con
un termine che, a parere di chi scrive, può essere anche molto
disorientante: si può guarire? Il punto fermo è di non farsi trascinare
dall'inspiegabilità che spesso accompagna il sintomo depressivo. La
depressione come sintomo è un messaggio e come tale va decodificato,
compreso e, soprattutto, contestualizzato sia nell’ambiente di vita e
nelle dinamiche di relazione che si svolgono in esso, sia nella fase del
ciclo vitale in cui la persona si colloca. Abbiamo parlato di lutto
(comprendendo un range di significati). I processi di lutto si dipanano
naturalmente dentro ogni persona che li vive. Bisogna favorirli
rispettando e ricreando le condizioni in cui possono svilupparsi.
Dott.ssa S. Martina