PER UNA SCRITTURA DRAMMATURGICA DA METTERE IN VITA
Inscena, n.13/14, 2008 Inserto speciale Il Futuro del Futurismo
Per una scrittura drammaturgica da mettere in vita.
di Alfio Petrini
Una contestazione globale per una teoria e prassi di teatro totale. Q uesto in grande sintesi è stato il teatro futurista. Il rapido e violento sviluppo della civiltà industriale, lo sviluppo tecnologico e scientifico, la forza dirompente delle nuove ideologie, le trasformazioni avvenute sui versanti della progettazione e della creazione artistica, la pratica del volo, i lunghi viaggi, “obbligano la società europea, allo spirare del XIX e all’inizio del XX secolo, ad una trasformazione fino a metterla in crisi”, scrive Mario Verdone, determinando una “rottura dell’unità culturale”(1). Cambiano i modi di vivere. Cambiano le modalità e le finalità dell’espressione artistica. “Le arti – prosegue lo storico -, come i sensi, cercano nuove vie di rivolta e interferiscono. Idee e materiali di provenienze diverse si combinano in unità nuove che attingono al procedimento, forse mutuato dalla civiltà industriale, del montaggio, del quale si è vista l’importanza e la necessità, nella officina come al cinematografo, nel cantiere edile come nelle arti figurative”. Il vivere codificato crolla sotto l’avvento delle opere di Rimbaud e di Lautréamont.
Cosa rimane della contestazione totale futurista nell’epoca della globalizzazione? Cosa può essere ancora degno di attenzione nell’epoca dello sviluppo vertiginoso della scienza, dell’avvento di nuove tecnologie della comunicazione, dell’intensificazione degli scambi di beni materiali e immateriali? E, in particolare, quali intuizioni, sperimentazioni o pratiche di scrittura drammaturgica possono essere ancora utilizzate, magari con arricchimenti o trasformazioni?
“Abbiamo un profondo schifo del teatro contemporaneo (versi, prosa e musica) - scrivevano i futuristi nel manifesto del 1913 -, perché ondeggia stupidamente fra la ricostruzione storica (zibaldone o plagio) e la riproduzione fotografica della nostra vita quotidiana”. Sembrano parole scritte oggi. Ieri il teatro era minuzioso lento analitico diluito psicologico naturalistico, degno al più dell’età della lampada a petrolio. Oggi è descrittivo noioso psicologico didascalico pedagogico ideologico mimetico moralistico sospetto nella esaltazione della ragione, della verità e dell’impegno sociale. Ma la fatiscenza non cambia. L’uno e l’altro negano stupori, meraviglie, poesia, emozioni, partecipazione. Difettano di credibilità. Se le forme non sono credibili non suscitano fascino , interesse, partecipazione emotiva.
“Qualunque giudizio si voglia dare del futurismo teatrale – scriveva Giuseppe Bartolucci – e del suo più vivo assertore Marinetti: sul piano estetico essendo rimaste pochissime pagine teatrali utilizzabili e assimilabili modernamente, sul piano morale avendo subito il suo impegno ideologico estetizzante uno dei maggiori tonfi della cultura europea di questo mezzo secolo; resta il fatto che alcune enunciazioni dei manifesti teatrali del futurismo sono tuttora di una sconcertante attualità e che alcune sperimentazioni proprio di Marinetti, brevissime di durata e originali di procedimento le si veda ancora oggi con una certa emozione al di là della loro conformazione tecnica come anticipazioni insperate di una scrittura teatrale antipsicologica e antinaturalistica assolutamente contemporanee” (2).
L’erronea sottovalutazione della funzione dell’attore a tutto vantaggio dell’autore e l’aggressività di questi nei confronti dello spettatore hanno portato alla centralità del pubblico nello spettacolo dal vivo futurista, ma anche e soprattutto negli eventi, quali erano le serate futuriste. Questione importante e di grande attualità. E’ evidente, sostiene Paolo Fossati che “il pubblico è il deuteragonista. O l’antagonista”. Ne discende che la creatività promossa fisicamente dal teatro non si limita al momento della percezione, ma dura per un tempo più lungo, che va oltre l’evento e al di là del luogo fisico del teatro. C’è dunque un movimento . Un passaggio dal soggettivo all’oggettivo, dall’oggettivo al collettivo. Da qui la battaglia culturale con l’ ”io”, come risulta chiaro nel Manifesto tecnico della letteratura futurista. La volontà di “abbattere ogni mediazione, ogni ritardo di partecipazione” (4) implica una dilatazione della scena, che ingloba la platea, che si spinge fino alla parte esterna del teatro e che, come tale, lancia riverberi interessanti sulla scena contemporanea.
La distruzione dell’ io è possibile. E’ fattibile, perché c’è un’altra dimensione alla quale fare riferimento: la materia. “La materia è la matrice del movimento, dell’azione, del divenire, come verità altra”, commenta ancora Fossati nel suo libro La realtà attrezzata . Dunque, la contrapposizione fino alla rissa, lo scontro caotico di forze opposte e contrarie, e l’aggressione fomentata diventano una necessità. Un fatto insostituibile perché la materia e la vita possano tendenzialmente coincidere. Abbandonata ogni posizione intellettualistica e psicologica, sono messe in primo piano azione fisica e creatività. E rileggendo Nietzsche, Sorel, Bergson e James, “cos’è la materia – si domanda Fossati - se non vita e la vita se non scontro, urto, violenza, realismo contro culturalismo?”
Infatti il teatro è corpo. Anche la parola è corpo, essendo la voce un fatto materico. Il corpo – attraverso le azioni fisiche - produce pensiero, immagini, percezioni, sensazioni e sentimenti. Le azioni fisiche - punto di arrivo di Stanislavski e punto di partenza di Grotowski - rappresentano una tematica che attraversa il grande teatro del ‘900, dalla teoria sul tronco di Decroux alla biomeccanica di Majerc’old, fino alla teoria dell’extraquotidiano di Barba. Il corpo – attraverso l’autogestione dei processi vitali - supera il peso della carne, diventando luminoso e volatile (Artaud). Del resto il movimento della creazione artistica non va dal materiale all’ immateriale ? Dal fare al dire nell’ambito della scrittura drammaturgia e dalla cosa al come nell’ambito della scrittura scenica ? Il teatro mette in scena la vita e determina l’azione. Non mette in scena un testo. Lo mette in vita . Il che non è ovviamente una questione terminologica.
Torniamo per un attimo al pubblico degli spettacoli e in particolare a quello degli eventi futuristi: cardine della comunicazione teatrale. Il pubblico e l’attore sono i poli che determinano l’accensione della comunicazione chiara e/o della comunicazione oscura. “Che il pubblico debba divenire un oggetto artistico è evidente. Anzi, deve divenire il marchio dell’operazione artistica, nel senso che nel pubblico s’identificano e si condensano il termini stessi della poetica (ieri futurista, oggi contemporanea, aggiungo io): la conflittualità, la provocazione, il dinamismo”(5).
A proposito del dinamismo “è stupido – scrivevano con buona ragione Marinetti, Corra e Settimelli nel Manifesto del Teatro Sintetico - voler spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, quando anche nella vita non ci accade mai di afferrare un avvenimento interamente, con tutte le sue cause e conseguenze, perché la realtà ci vibra attorno assalendoci con raffiche di frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni agli altri, confusi, aggrovigliati, caotizzati”. Il teatro crea una realtà, meglio ri-crea una realtà che esiste già in brandelli, a frantumi, a pezzi. Il teatro è “allora il mondo: è sintesi di elementi, non è esplorazione dei frammenti dati ma la loro coesione al di là dell’esser frammenti secondo un progetto che il teatro determina, come tale dinamico, simultaneo, sintetico” (6).
La teoria della frammentarietà porta con sé quelle tensioni attive e presenti che si vanno cercando e si pone come valore da considerare nell’ambito della scrittura drammaturgia contemporanea. E’ una teoria valida perché sposta le connessioni tra scena e scena dall’ esterno all’ interno della struttura linguistica. Perché ciò si verifichi sono però necessarie alcune condizioni 1) che si lavori sulla frase e non sulla parola come invece hanno fatto i futuristi, 2) che per dinamismo s’intenda non solo il movimento e il ritmo del movimento, ma anche lo slancio verso il dinamismo dell’azione fisica dotata delle qualità che ne specificano e ne determinano il significato.
La frammentarietà - a queste condizioni - determina una serie di passaggi a catena . Dalla intuizione alla percezione fisica. Dalla improvvisazione alla progettazione. Dal gesto o dal movimento all’azione fisica. Dalla superficialità della tecnica alla profondità dei processi vitali e dei conseguenti procedimenti associativi. Dai moduli ripetitivi alle forme organiche. Dalla messa in scena alla messa in vita del testo. La scrittura drammaturgica deve dunque mettere in preventivo azioni fisiche, non parole-concetto, prefigurando uno stimolo che nella sua concretezza (antipsicologica) mette l’attore – colpevolmente ignorato dai futuristi nella funzione d’intreccio dei codici espressivi – nelle migliori condizioni di lavoro. Le azioni fisiche rappresentano uno stimolo forte per l’attore in scena: lo stimolo consente all’interprete messo in forma di dare risposte immediate e organiche: le risposte immediate e organiche, generate dall’autogestione dei processi vitali, producono forme organiche a disposizione del regista che può selezionarle e combinarle nel modo più opportuno: le forme organiche possono essere ri-fatte dall’attore durante il lungo periodo di prove e delle repliche dello spettacolo. Solo questa abilità messa in campo dall’attore e guidata dal regista garantisce la messa in vita di un testo teatrale e solo le forme organiche – per loro natura opposte e contrarie ai moduli espressivi ripetitivi generati dalle tecniche – producono nel rapporto con l’osservatore i valori della credibilità, imprevedibilità, stupore e seduzione.
La sintesi (altra intuizione futurista) risponde alla violenza, alla provocazione e al dinamismo indicato di poc’anzi. La sintesi è un accozzo impensabile, una pazzia geniale, una sfacciataggine satiresca, un intruglio di pensieri prepotenti, una combinazione di materiale e immateriale , un mixer di pensiero e di sangue. La sintesi è sorpresa. E’ seduzione. E’ ferocia. Rifiuta la ragione: dea-padrona di tanta parte dello spettacolo dal vivo. La ragione mette a margine o la parte sensibile o la parte impalpabile, facendo a pezzi l’uomo. Riconosce il sapere e rifiuta il non-sapere come uno dei fondamenti della sapienza umana. Conduce verso l’assoluto ideologico e sbarra il passo alla relatività del punto di vista. Genera perbenismo, buonismo, moralismo, psicologismo, descrittivismo, ideologismo, mimetismo: che sono una ingiustizia. Quanta formazione rivolta al teatro dei generi continua a fare strage di attori! La ragione non serve a fare teatro, ma ad attraversare la strada. Questo i futuristi lo avevano capito perfettamente. Serve la mente in teatro. E il pensiero del corpo, spinto fino ai confini della barbarie: del negativo (questo sì che serve!) che mette insieme etica ed estetica nella prospettiva di un risultato giusto perché bello. Bello perché giusto. Non solo di ragione si muore, diceva il poeta visivo Eugenio Miccini, ma anche di verità si muore in teatro.
La buona pratica della si ntesi non va confusa con la confezione del “corto teatrale”, ovviamente. La moda del “corto” coinvolge tutti coloro che scrivono un testo breve perché non sanno scrivere un testo lungo. La sintesi non è un’opera tradizionale di breve durata. E’ una creazione veloce, ma non superficiale. Una combinazione fulminante di segni. Una manovra pregnante, ricca di significati di rimbalzo. Una rivoluzione che si pone nel grande alveo del teatro totale, prevedendo l’utilizzo di un variegato sistema di segni. Punta all’essenziale dell’azione chimica e prende in esame tutto ciò che serve per comunicare. Per esempio, bidoni, involucri e sacchi (vedi Pirandello e Beckett). Oppure “scene a rovescio” e “accozzi di azioni” che fanno perno sul frammento e sul montaggio (vedi Chiti). Orienta la creazione verso l’assurdo (da cui dadà, surrealismo, Jonesco, Adamov), verso la crudeltà (da cui Artaud) e verso lo straniamento (da cui Brecht). Crea nuove forme e nuove istituzioni letterarie, quali le battute in libertà, la simultaneità, l’indeterminatezza, la flessibilità, la compenetrazione, il poemetto animato, la sensazione sceneggiata, l’ilarità dialogata, l’atto negativo, la battuta riecheggiata, la discussione extra-logica, la deformazione sintetica, lo spiraglio scientifico, le metafore condensate, le immagini telegrafiche, le somme di vibrazioni, i nodi di pensiero, i ventagli di movimento, le dimensioni pesi misure velocità di sensazioni. La sintesi teatrale è atonica, dinamica, simultanea, autonoma, alogica e irreale. Stringe “in pochi minuti, in poche parole e in pochi gesti innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli” (7).
In forte polemica con il teatro mimetico e con il melodramma, il teatro futurista non rivolge alcuna attenzione alla verosimiglianza, al contesto storico e sociale, alla introspezione psicologica dei personaggi e ai loro tormenti. Anche se Marinetti, drammaturgo di spicco del movimento, paga un forte debito al velo della superficie - essendo buona parte della sua scrittura povera di connessioni interne, di verticalità e di contenuto poetico - bisogna riconoscere che il procedimento critico applicato “libera potenzialità inedite, facendo cortocircuitare azioni e parole, provocando scintille nuove e inimmaginabili proprio perché toglie la protezione della tecnica drammaturgia consueta” (8).
La simultaneità e l’ indeterminatezza - idee felici, ma poco utilizzate dagli stessi futuristi, approfondite e applicate con grande sapienza da Pirandello - sono di certo cariche di modernità. Ronconi e Sanguineti le usarono nel famoso Orlando Furioso. Quando nel Manifesto del varietà i futuristi esaltano il meraviglioso, la caricatura, il ridicolo, il sarcasmo, la balordaggine, la satira, la dissacrazione, l’esasperazione dell’intelligenza fino alla follia luminosa confermano un interesse forte per la necessità di agire , per la provocazione che sottopone il corpo e l’anima ad una tensione continua e violenta, che apre verso la simultaneità dei pensieri, dei riferimenti e degli eventi come sostanza semplice, sintetica e dinamica in continuo divenire. Il che tende a coinvolgere lo spettatore in una atmosfera antirealistica, straniata ed esasperata nel tentativo, a volte vincente, d’incidere sul suo mondo e sulla realtà medesima. Data la necessità di agire , che era dei futuristi ma che è anche di una parte della drammaturgia contemporanea europea, alla pratica della simultaneità appartiene la tabularità del testo, ovvero la organizzazione di azioni fisiche contemporanee che mettono in preventivo l’intreccio tra movimento del desiderio e movimento del pensiero . La s imultaneità va intesa anche come irriducibilità di valori opposti e contrari. Come ubiquità di tendenze, per dirla con Gino Gori che la considera anima delle cose. C ome “accozzi di sensazioni serie e ultracomiche compenetrate da certe fusioni di lacrime e di sghignazzate”, per dirla con Giovanni Antonucci che riflette sull’arte scenica di Ettore Petrolini (9).
La simultaneità el’ indeterminatezza portano allo happening, al mixed-media, alle azioni performative, alle nuove arti visive, all’evento intermediale, alla totalità dello spettacolo dal vivo, confermando la centralità delle teorie e delle esperienze futuriste. Si tratta di procedimenti che Bartolucci riteneva si fossero messi in risalto, “influenzando sensibilmente vita ed arte, materiali quotidiani ed elementi linguistici, con un’alternanza di sguardo sulla vita e di riflessione sull’arte, che rende estremamente flessibile e mobile il movimento scenico, la scrittura scenica, all’interno di procedimenti che rispondono alla duplice esigenza di un’alta formalizzazione per mezzo di un’estrema frantumazione”. E aggiungeva che “la mobilità della scrittura scenica, cioè la sua flessibilità è data per un verso dalla diversità della durata che ogni azione comporta e persegue, e per l’altro dalla diversità della dimensione dell’esistenza che s’inserisce nella contiguità fisicizzata, per prolungamento e allacciamento” (10).
I futuristi affermavano che il teatro dovesse essere non solo sintetico-dinamico-simultaneo-autonomo-alogico-irreale, ma anche atecnico. Evidentemente fra le rose dei manifesti c’era anche qualche spina. La teoria della “atecnicità” è inaccettabile perché la negazione della tecnica convenzionale implica l’affermazione di una tecnica alternativa. Alla base della complessa manovra di scrittura drammaturgia c’è una perizia che non può essere ignorata. “L’intuizione fulminea” e “l’improvvisazione” sono utili, ma non esaustive. Servono, ma non bastano. Non bastano da sole. Lo stile e la poetica sono una grande fatica. Sono un magistero. Una fatica e un magistero che possono essere considerati inutili dagli scrittori che non amano la fatica. Pretendendo d’intuire, spesso non intuiscono niente e cadono nell’aura vagamente poetica, invece che approdare alla poesia vera. Anche l’abilità nella manovra tecnica non è sufficiente. Ci vuole l’apporto fondamentale del comportamento poetico dell’autore che racconta una determinata storia.
A proposito della tecnica, del dinamismo e dell’immagine, ritengo opportuno aprire una parentesi sulle riflessioni critiche di Gino Gori, un parafuturista che ha svolto approfondimenti di sicuro interesse. La critica alla tecnica, esposta nel Manifesto del Teatro Sintetico , che “dai Greci ad oggi, invece di semplificarsi, è divenuta sempre più dogmatica, stupidamente logica, meticolosa, pedante, strangolatrice” non è una riflessione futurista campata in aria. Gori condivideva la critica radicale alle “convenzioni”. Accettava in pieno la sintesi , lo scorcio, il punto di vista -, ma sosteneva che l’opera dovesse essere suggestiva, cioè capace di suscitare idee ed emozioni attraverso la sintesi complessa di un linguaggio originale e scevro da superficiali intuizioni. Dunque, è nella frase che si realizza l’arte combinatoria dei segni e la produzione di senso, non nella parola . “La parola in sé non rappresenterà mai altro che o una indicazione sommaria o una vetustissima sintesi determinatasi per intussuscezione di significati. All’artista spetta dunque il compito di rinnovar le parole, cioè i significati di esse, limitandoli nella frase. Come? Per mezzo di tutte quelle movenze del linguaggio e del ritmo che, di loro natura, definiscono una espressione”(11). “Nessuno scrittore – aggiungeva Gori – potè mai realizzare un’opera d’arte senza dell’arte avere prima appresa – e faticosamente – la tecnica”. Le parole in libertà si reggono su una fragile intuizione. Non portano con sé poesia, punto di vista e ritmo: elementi indispensabili all’immagine e al dinamismo della scrittura. E’ la frase che consente di mettere in preventivo un sistema di segni verbali e non verbali. E’ nella frase – sintatticamente e aritmicamente costruita – che risiede la complessità del punto di vista e la sua carica di suggestione.
“ Amore sole cane tetto ponente è una pseudo-frase - diceva il Gori -, in cui una sorta di sintesi elementare può pure sorprendersi. Ma è una sintesi banale”(12). La parola è un luogo comune generico che non esprime alcun punto di vista. Tanto meno esprime un punto di vista a confronto con altri punti di vista. La parola, non producendo stile e poetica, non distingue un artista da un altro artista. E’ una tecnica che nega una tecnica convenzionale e che raggela la comunicazione. In conclusione, il teatro futurista, pur volendo combattere la logica e la razionalità delle vecchie convenzion i, ha reso omaggio proprio alla logica e alla razionalità delle forme, negando il rapporto sensuale che l’artista ha con la sua arte.
Mettendo da parte l’attore e puntando tutto sull’autore, ai drammaturghi futuristi va dato atto di aver inventato il “caricamento di senso degli oggetti”(13). A tale proposito può essere citato il fantoccio in Elettricità sessuale di Marinetti, oppure il protagonismo di sette sedie e una poltrona in Vengono , ancora di Marinetti. Continuamente spostate dai domestici di una casa, le sedie restano nella vana attesa di essere occupate dagli ospiti in arrivo. Le ombre si allungano sempre di più verso la porta, dando l’impressione che siano le sedie stesse a volersene uscire dalla casa.
Contestando tutte le convenzioni, la ricerca futurista ha spinto la sperimentazione drammaturgica in tutte le direzioni - verso lo spazio scenico, i suoni, i rumori, la luce - , prefigurando e a volte realizzando un teatro imprevedibile e multiforme.. Ha lanciato un messaggio semplice e universale: tutto è buono per comunicare. Tutti i segni – verbali e non verbali – e tutti i materiali. Con il “teatro aereo”, che considera il cielo contenitore e contenuto di evento, i futuristi hanno prefigurato quello che oggi viene chiamato il “teatro dei luoghi. E con le serate futuriste e i piatti di artista hanno realizzato eventi intermediali e sinestetici autentici, vivi e seducenti. Fatti - per dirla ancora con Bartolucci -, “di sguardi sulla vita e di riflessioni sull’arte”, risultano ben lontani dai rituali algidi dei professorini della performance internazionale contemporanea incentrati sulla legge demenziale delle prove e della ripetizione. Invece di reggersi sulla intuizione fulminante (ora sì che conterebbe!) e sulla improvvisazione guidata (sostenuta da una progettazione drammaturgica meticolosa) celebrano l’uomo dimezzato che sta seduto sul carro della ragione, producendo un risultato così ragionevole da non suscitare la benché minima meraviglia, emozione, partecipazione.
Ettore Romagnoli nel riconoscere al futurismo il merito di aver affondato il bisturi nel mondo teatrale accademico in putrefazione, si domandava da chi poteva essere raccolta l’eredità futurista, trasformando la polvere cosmica in nuove forme drammaturgiche. La risposta non si è fatta attendere e porta il nome di Luigi Pirandello. A distanza di tempo la domanda è ancora valida? Le tensioni attive e presenti raccolte – spigolando - da quelle esperienze saranno utilizzate dai drammaturghi contemporanei? E’ difficile rispondere. E’ probabile che possano essere riconosciute nello spirito dei tempi del teatro totale ed è auspicabile che almeno possano contribuire alla definizione di quel patrimonio teatrale condiviso che sta alla base della trasformazione dello Stato in una Polis.
Due cose sono certe. Non si può negare un sistema con l’edificazione di un altro sistema (come scrisse lucidamente Gino Camerini a proposito dei futuristi e come riferisce Paolo Fossati nel suo libro), se non si vuole che la lotta contro il “passatismo” diventi un nuovo “passatismo”. Se non si vuole che ridiventi accademia. Che rompa convenzioni e regole per creare altre convenzioni e altre regole. E poi, l’alternativa alle acque riflessive di Narciso sta nelle acque torbide e agitate di Afrodite che aprono un varco primordiale, barbarico e indisciplinato, capace di generare quello sguardo sulla vita e quella riflessione sull’arte indicati da Bartolucci. Bisogna gettare le armi e smetterla di stare l’un contro l’altro armati. Il teatro di tradizione – purché non facciail verso a se stesso – e il teatro di ricerca – purché non confonda la ricerca sperimentale con lo sperimentalismo – sono le gambe sulle quali dovrebbe camminare un sistema teatrale che voglia vivere in buona salute. L’auspicio, manifestato in altre occasioni, è questo: tante drammaturgie, per tanti teatri, per tanti pubblici. Tante drammaturgie da mettere in vita, non da mettere in scena.
Note bibliografiche.
1) M. Verdone, Il manifesto futurista, Lucarini Editrice, Roma 1986, p.5.
2) G. Bartolucci, Teatro-corpo, Teatro-immagine, Marsilio Editori, Padova 1970, p.58.
3)P. Fossati, La realtà attrezzata, Einaudi Editore, Torino 1977, p.21.
4) P. Fossati, La realtà attrezzata, op. cit., p.23.
5) P. Fossati, La realtà attrezzata, op. cit., p.44.
6) P. Fossati, La realtà attrezzata, op. cit., p.50.
7) F.T.Marinetti, E. Settimelli, B. Corra, Il teatro futurista sintetico di, 1915, In Lapini , Il Teatro Futurista Italiano, Mursia, Milano 1977, p.107.
8) L. Allegri, La drammaturgia da Diderot a Beckett, Editori Laterza. 1993/2000, p.114.
9) G. Antonucci, Storia del teatro futurista, Edizioni Studium, Roma 2005, p.58.
10) F.T .Martinetti, E. Settimelli, B. Corra, Il Teatro futurista sintetico, op. cit. p.105.
11) G. Gori, Irrazionale, Campitelli, Foligno, 1924, p.170.
12) G. Gori, Irrazionale, op. cit., p.171.
13) L. Allegri, La drammaturgia…, op.cit., p.115.