Sei in: Articoli: RECENSIONI:

Il futuro del futurismo

Inscena. n.13/14, 2008


Il futuro del futurismo Dalla storia alla contemporaneità.


Inserto speciale a cura di Alfio Petrini




Con questo numero della rivista apriamo un focus sul futurismo. Non vogliamo aggiungere nulla a quanto gli storici hanno già scritto sul movimento . La finalità dell’ingrandimento non è accrescere la quantità e la qualità delle analisi fatte da eminenti studiosi come Calendoli, Antonucci, Verdone, Fossati, Bartolucci, Allegri, tanto per citarne alcuni, ma accertare – anche con l’aiuto di alcuni di loro - se esistono metodiche e contenuti che possano passare dalla storia dell’arte alla pratica contemporanea.



Diciamo subito che le collusioni tra futurismo e regime fascista restano incancellabili. Tuttavia il fatto che il movimento sia stato messo in soffitta per più di mezzo secolo, relegato nel silenzio come vergogna nazionale e ignorato come la più importante avanguardia storica del nostro Paese rivela la miopia della cultura politica dominante e degli intellettuali asserviti al potere. Le proposizioni artistiche e culturali del futurismo - con tutto lo sfavillio di idee, progetti, intuizioni, utopie e sperimentazioni -, non solo andavano scisse dalle implicazioni politico-ideologiche che lo avevano visto compromesso con il regime, ma potevano e dovevano essere considerate parte integrante del patrimonio nazionale, diventandone parte condivisa. Questo deve ancora avvenire.



Da alcuni anni, però, si sono create le condizioni per parlare liberamente, quindi criticamente, del movimento futurista, individuandone i pregi, ma anche gli errori e i limiti. L’obiettivo del nostro lavoro è la raccolta delle tensioni attive e presenti utilizzabili. La speranza è riuscire ad aprire un dibattito culturale sereno e approfondito. Il sogno, forse utopico, è far scoppiare la pace tra le schiere politiche e culturali contrapposte per ipotizzare almeno, se non per avviare, la costituzione di quel patrimonio culturale condiviso, fondato sulle buone idee e sulle buone pratiche del passato da proiettare nel futuro delle nuove generazioni.



La produzione artistica è fatta soprattutto di mode effimere più che d’idee che durano nel tempo. La poca considerazione di cui gode l’arte dipende fondamentalmente dalla sua subordinazione alla politica. La mancanza d’autonomia e l’impossibilità d’incidenza sulla realtà sono i punti di debolezza, pressoché incolmabili. La politica ha perso di vista la polis, esercita il potere individuale e di gruppo, sembra essere prigioniera di se stessa. Invece di pensare a cambiare se stessa, pensa a cambiare i cittadini. E per cambiarli usa maldestramente due utensili: o il favore personale (considerando asservito il cittadino) o il controllo culturale (considerando asservito l’artista). L’arte conta nella società come arredo, come abbellimento, e qualche volta come piacere volatile. Non conta come ricchezza immateriale della polis. Come carburante che alimenta il crogiuolo dell’unità nella diversità della polis. Anche perché la polis non c’è, e non se ne vede traccia all’orizzonte. Di fatto, dunque, l’arte non conta. Contano le mode, la perpetuazione dei generi, l’oscillazione del gusto sulla linea dell’uomo medio, le tecniche asservite alle coazioni a ripetere, le nuove divinità tecnologiche deprivate di necessità artistica, il dirigismo del mercato dell’arte e l’arte di arrangiarsi a conservare le rendite di posizione. Questo ed altro conta. “Si va sulla carraia/di rappresa mota senza uno scarto/simili ad incappati di corteo/ sotto la volta infranta che discesa”: è difficile non essere d’accordo con Montale, anche se si riferiva ad altra “ cosa” .



In teatro, l’ambito della nostra osservazione, conta in questo momento – tanto per esempio -, la moda dilagante del “corto teatrale”. Vecchi e nuovi boiardi lo presentano nello spazio asfittico dell’agone teatrale come scoperta, novità, originale invenzione, contendendosi primato e diritto di primogenitura, forse per nascondere la presunta vergogna del plagio, invece di considerarlo fondamento, abilità suprema, punto di partenza della creazione artistica. Per praticare il plagio ci vuole intelligenza, coraggio e una forte individualità. Non servono uomini di mezzo. Uomini a metà. Uomini che passano da una bandiera all’altra della moda dell’arte come della politica perdendo la loro interezza. Ci vogliono naufraghi senza sponde, come Ulisse. Individui che affrontino la manovra con il rischio dell’errore e del naufragio. Uomini coraggiosi che rinuncino a combattere contro altri uomini. Che non cerchino di vincere sull’ altro.



Il “corto teatrale” è una derivazione errata della sintesi teatrale futurista che, forse, non si vuole ancora accettare. Esiste infatti una profonda differenza tra l’uno e l’altra. Il primo è un testo tradizionale di breve durata, realizzato sulla linea del descrittivismo mimetico. La seconda è un’opera che manifesta il suo spirito attraverso la complessità e la pregnanza della manovra di sintesi .



A dir la verità l’opera teatrale sintetica è stata inventata da Vittorio Alfieri. La chiamò “scorcio”, ma non la mise in pratica. Ci pensò Marinetti ad applicarla, senza tuttavia citare il drammaturgo artigiano. E ci pensarono Sanguineti e Ronconi ad utilizzare la teoria della simultaneità nello spettacolo Orlando Furioso senza citare la fonte futurista. E ci pensò Pirandello a utilizzare in modo brillante la simultaneità, l’i ndeterminatezza e il metalinguaggio, dimenticandosi di Marinetti e compagni . Ma che importa! Tutta la storia dell’arte è caratterizzata da plagi aurei e infiniti. Il plagio non è un furto. E’ un procedimento che implica la trasformazione della materia. Nulla si crea e tutto si trasforma. E poi, nulla si doppia e tutto si ri-crea. I pochi sanno bene tutto questo. Lo sanno perché sono dotati di carica esplosiva, di pazzia luminosa, di perizia e di un indomito comportamento poetico e quindi sono capaci di trasformare una cosa in un’altra cosa . Simile però, non uguale alla precedente. E dotata di valore aggiunto poetico.



Ecco, la nostra utopia concreta consiste nell’indurre al plagio i drammaturghi contemporanei, seducendoli con la bontà di alcune idee e pratiche sperimentali di origine futurista per andare oltre il futurismo. Apriamo una finestra attraverso la quale pensiamo che possano transitare le tensioni attive e presenti accennate poc’anzi. E’ un tentativo. Un sondaggio. Una provocazione culturale. Un seme. Cosa è rimasto del futurismo? Cosa può essere considerata ancora una buona pratica da tenere in considerazione? Si può andare dal futurismo oltre il futurismo? Molte domande, alcune risposte certamente non esaustive.









BOX 1.



Influssi e risonanze futuriste.



Al tempo delle riviste Poesia e Lacerba artisti come Papini, Soffici, Morandi, Funi, Sironi, Rosai e Bontempelli fecero esperienze futuriste. E altri poeti, come Ungaretti, De Pisis, Quasimodo, Campigli consumarono le loro prime esperienze in campo futurista. Non pochi furono gli influssi futuristi su Pirandello, D’annunzio e Campana. L’episodio dell’Orlando Furioso di Ronconi-Sanguineti è ormai ben noto. Nel cinema – come ci ricorda Mario Verdone ( Il movimento futurista , Lucarini Editore, 1986), - il regista australiano Albie Thomas ha intitolato un suo film astratto sperimentale Marinetti . Molte trovate, scoperte, invenzioni del futurismo sono oggi di dominio pubblico e di uso corrente. Basta pensare ai vestiti metallici di Paco Rabanne, ai fiori di plastica colorata prediletti dalla gioventù hippie, ai mobili con rotelle di Gino Ponti e di Marc Held, agli oggetti in fiberglass, perspex. flexglass, poliuretano espanso, metacrilato trasparente. E ancora: alla svalutazione del sentimentalismo romantico, alla teoria e alla pratica dell’orgasmo. Dal culto della velocità alle tecniche del trapianto. Dal rifacimento del paesaggio ( Il Nuovo Paesaggio , all’insegna del Grande Numero alla XIV Triennale di Milano) alla mostra–cantiere destinata a demolizione (Osaka 70). Dal lento avanzare della cibernetica ai voli spaziali (si tratta forse della marinettiana Conquista delle stelle ?). L’impronta futurista è largamente diffusa. Non hanno un che di anarco-futurista persino certe esplosioni di guerriglia e di pornosex? Ma si potrebbe andare avanti fino alle mirabolanti macchine della globalizzazione, alle nuove tecnologie della comunicazione, all’arte tecnologica, al digitale terrestre e all’uomo macchina che corre nelle piste dell’atletica leggera con la velocità di un campione. “Forse è lecito dedurne – conclude Verdone nel suo libro – che almeno una buona parte dello Zeitgeist (“spirito del tempo”) del nostro secolo si muove all’insegna del futurismo”. ( a.p .)






BOX 2

Le distruzioni futuriste.



Il Futurismo si pone come movimento che ha in sé due tendenze. Una di distruzione e l’altra di prospettiva . La distruzione riguarda musei, ruderi, cimiteri, culturalismo, professoralismo, accademismo, imitazione del passato, lungaggini, tradizionalismo, accademismo, moralismo, immobilità, pedanteria, viltà opportunistica, autorità degli avi, femminismo. In termini generali si pone come contestazione totale che interessa la dimensione pubblica e privata dell’uomo, la famiglia e la scuola, la filosofia e la scienza. Tende a lanciare messaggi all’umanità nella sua interezza, utilizzando tutto quello che serve per comunicare.



Sul versante specifico del teatro sono molte le cose contro le quali e a favore delle quali il Futurismo ha espresso un giudizio critico, forte e determinato. Mario Verdone le ha raccolte in una sorta di distinta puntuale e variegata: ( Il movimento futurista , Lucarini Editore, 1986).



Contro : l’attore tradizionale, la supremazia dell’attore, il teatro borghese, il teatro letterario, la scenografia dipinta, l’azione logica e progredente, la ricostruzione storica, la razionalità, il teatro fatto e dissociato dal pubblico, il teatro psicologico, la tecnica teatrale, l’antropomorfismo, il sentimentalismo, la commedia, il teatro per gli orecchi, la dimensione tradizionale, il palcoscenico.



A favore : l’attimo, la supremazia dell’autore, il teatro antiborghese, il teatro teatrale, la scenografia costruita o astratto-luministica, l’azione analogica e visionica (per montaggio, per flash-back), la vita dinamica contemporanea, l’irrazionale, l’assurdo, l’astrazione, il teatro da fare ed associato con il pubblico, il teatro antipsicologico, la non-tecnica e la politecnica teatrale (utilizzazione del varietà, del cinema, del circo, dello sport, della radio), il teatro di cose ed oggetti, il teatro antisentimentale e della crudeltà, il teatro-gag (della trovata, della sorpresa), il teatro per gli occhi, la polidimensione, la scena del mondo”. ( a.p )




Inscena. n.13/14, 2008


Il futuro del futurismo Dalla storia alla contemporaneità.


Inserto speciale a cura di Alfio Petrini




Con questo numero della rivista apriamo un focus sul futurismo. Non vogliamo aggiungere nulla a quanto gli storici hanno già scritto sul movimento . La finalità dell’ingrandimento non è accrescere la quantità e la qualità delle analisi fatte da eminenti studiosi come Calendoli, Antonucci, Verdone, Fossati, Bartolucci, Allegri, tanto per citarne alcuni, ma accertare – anche con l’aiuto di alcuni di loro - se esistono metodiche e contenuti che possano passare dalla storia dell’arte alla pratica contemporanea.



Diciamo subito che le collusioni tra futurismo e regime fascista restano incancellabili. Tuttavia il fatto che il movimento sia stato messo in soffitta per più di mezzo secolo, relegato nel silenzio come vergogna nazionale e ignorato come la più importante avanguardia storica del nostro Paese rivela la miopia della cultura politica dominante e degli intellettuali asserviti al potere. Le proposizioni artistiche e culturali del futurismo - con tutto lo sfavillio di idee, progetti, intuizioni, utopie e sperimentazioni -, non solo andavano scisse dalle implicazioni politico-ideologiche che lo avevano visto compromesso con il regime, ma potevano e dovevano essere considerate parte integrante del patrimonio nazionale, diventandone parte condivisa. Questo deve ancora avvenire.



Da alcuni anni, però, si sono create le condizioni per parlare liberamente, quindi criticamente, del movimento futurista, individuandone i pregi, ma anche gli errori e i limiti. L’obiettivo del nostro lavoro è la raccolta delle tensioni attive e presenti utilizzabili. La speranza è riuscire ad aprire un dibattito culturale sereno e approfondito. Il sogno, forse utopico, è far scoppiare la pace tra le schiere politiche e culturali contrapposte per ipotizzare almeno, se non per avviare, la costituzione di quel patrimonio culturale condiviso, fondato sulle buone idee e sulle buone pratiche del passato da proiettare nel futuro delle nuove generazioni.



La produzione artistica è fatta soprattutto di mode effimere più che d’idee che durano nel tempo. La poca considerazione di cui gode l’arte dipende fondamentalmente dalla sua subordinazione alla politica. La mancanza d’autonomia e l’impossibilità d’incidenza sulla realtà sono i punti di debolezza, pressoché incolmabili. La politica ha perso di vista la polis, esercita il potere individuale e di gruppo, sembra essere prigioniera di se stessa. Invece di pensare a cambiare se stessa, pensa a cambiare i cittadini. E per cambiarli usa maldestramente due utensili: o il favore personale (considerando asservito il cittadino) o il controllo culturale (considerando asservito l’artista). L’arte conta nella società come arredo, come abbellimento, e qualche volta come piacere volatile. Non conta come ricchezza immateriale della polis. Come carburante che alimenta il crogiuolo dell’unità nella diversità della polis. Anche perché la polis non c’è, e non se ne vede traccia all’orizzonte. Di fatto, dunque, l’arte non conta. Contano le mode, la perpetuazione dei generi, l’oscillazione del gusto sulla linea dell’uomo medio, le tecniche asservite alle coazioni a ripetere, le nuove divinità tecnologiche deprivate di necessità artistica, il dirigismo del mercato dell’arte e l’arte di arrangiarsi a conservare le rendite di posizione. Questo ed altro conta. “Si va sulla carraia/di rappresa mota senza uno scarto/simili ad incappati di corteo/ sotto la volta infranta che discesa”: è difficile non essere d’accordo con Montale, anche se si riferiva ad altra “ cosa” .



In teatro, l’ambito della nostra osservazione, conta in questo momento – tanto per esempio -, la moda dilagante del “corto teatrale”. Vecchi e nuovi boiardi lo presentano nello spazio asfittico dell’agone teatrale come scoperta, novità, originale invenzione, contendendosi primato e diritto di primogenitura, forse per nascondere la presunta vergogna del plagio, invece di considerarlo fondamento, abilità suprema, punto di partenza della creazione artistica. Per praticare il plagio ci vuole intelligenza, coraggio e una forte individualità. Non servono uomini di mezzo. Uomini a metà. Uomini che passano da una bandiera all’altra della moda dell’arte come della politica perdendo la loro interezza. Ci vogliono naufraghi senza sponde, come Ulisse. Individui che affrontino la manovra con il rischio dell’errore e del naufragio. Uomini coraggiosi che rinuncino a combattere contro altri uomini. Che non cerchino di vincere sull’ altro.



Il “corto teatrale” è una derivazione errata della sintesi teatrale futurista che, forse, non si vuole ancora accettare. Esiste infatti una profonda differenza tra l’uno e l’altra. Il primo è un testo tradizionale di breve durata, realizzato sulla linea del descrittivismo mimetico. La seconda è un’opera che manifesta il suo spirito attraverso la complessità e la pregnanza della manovra di sintesi .



A dir la verità l’opera teatrale sintetica è stata inventata da Vittorio Alfieri. La chiamò “scorcio”, ma non la mise in pratica. Ci pensò Marinetti ad applicarla, senza tuttavia citare il drammaturgo artigiano. E ci pensarono Sanguineti e Ronconi ad utilizzare la teoria della simultaneità nello spettacolo Orlando Furioso senza citare la fonte futurista. E ci pensò Pirandello a utilizzare in modo brillante la simultaneità, l’i ndeterminatezza e il metalinguaggio, dimenticandosi di Marinetti e compagni . Ma che importa! Tutta la storia dell’arte è caratterizzata da plagi aurei e infiniti. Il plagio non è un furto. E’ un procedimento che implica la trasformazione della materia. Nulla si crea e tutto si trasforma. E poi, nulla si doppia e tutto si ri-crea. I pochi sanno bene tutto questo. Lo sanno perché sono dotati di carica esplosiva, di pazzia luminosa, di perizia e di un indomito comportamento poetico e quindi sono capaci di trasformare una cosa in un’altra cosa . Simile però, non uguale alla precedente. E dotata di valore aggiunto poetico.



Ecco, la nostra utopia concreta consiste nell’indurre al plagio i drammaturghi contemporanei, seducendoli con la bontà di alcune idee e pratiche sperimentali di origine futurista per andare oltre il futurismo. Apriamo una finestra attraverso la quale pensiamo che possano transitare le tensioni attive e presenti accennate poc’anzi. E’ un tentativo. Un sondaggio. Una provocazione culturale. Un seme. Cosa è rimasto del futurismo? Cosa può essere considerata ancora una buona pratica da tenere in considerazione? Si può andare dal futurismo oltre il futurismo? Molte domande, alcune risposte certamente non esaustive.









BOX 1.



Influssi e risonanze futuriste.



Al tempo delle riviste Poesia e Lacerba artisti come Papini, Soffici, Morandi, Funi, Sironi, Rosai e Bontempelli fecero esperienze futuriste. E altri poeti, come Ungaretti, De Pisis, Quasimodo, Campigli consumarono le loro prime esperienze in campo futurista. Non pochi furono gli influssi futuristi su Pirandello, D’annunzio e Campana. L’episodio dell’Orlando Furioso di Ronconi-Sanguineti è ormai ben noto. Nel cinema – come ci ricorda Mario Verdone ( Il movimento futurista , Lucarini Editore, 1986), - il regista australiano Albie Thomas ha intitolato un suo film astratto sperimentale Marinetti . Molte trovate, scoperte, invenzioni del futurismo sono oggi di dominio pubblico e di uso corrente. Basta pensare ai vestiti metallici di Paco Rabanne, ai fiori di plastica colorata prediletti dalla gioventù hippie, ai mobili con rotelle di Gino Ponti e di Marc Held, agli oggetti in fiberglass, perspex. flexglass, poliuretano espanso, metacrilato trasparente. E ancora: alla svalutazione del sentimentalismo romantico, alla teoria e alla pratica dell’orgasmo. Dal culto della velocità alle tecniche del trapianto. Dal rifacimento del paesaggio ( Il Nuovo Paesaggio , all’insegna del Grande Numero alla XIV Triennale di Milano) alla mostra–cantiere destinata a demolizione (Osaka 70). Dal lento avanzare della cibernetica ai voli spaziali (si tratta forse della marinettiana Conquista delle stelle ?). L’impronta futurista è largamente diffusa. Non hanno un che di anarco-futurista persino certe esplosioni di guerriglia e di pornosex? Ma si potrebbe andare avanti fino alle mirabolanti macchine della globalizzazione, alle nuove tecnologie della comunicazione, all’arte tecnologica, al digitale terrestre e all’uomo macchina che corre nelle piste dell’atletica leggera con la velocità di un campione. “Forse è lecito dedurne – conclude Verdone nel suo libro – che almeno una buona parte dello Zeitgeist (“spirito del tempo”) del nostro secolo si muove all’insegna del futurismo”. ( a.p .)






BOX 2

Le distruzioni futuriste.



Il Futurismo si pone come movimento che ha in sé due tendenze. Una di distruzione e l’altra di prospettiva . La distruzione riguarda musei, ruderi, cimiteri, culturalismo, professoralismo, accademismo, imitazione del passato, lungaggini, tradizionalismo, accademismo, moralismo, immobilità, pedanteria, viltà opportunistica, autorità degli avi, femminismo. In termini generali si pone come contestazione totale che interessa la dimensione pubblica e privata dell’uomo, la famiglia e la scuola, la filosofia e la scienza. Tende a lanciare messaggi all’umanità nella sua interezza, utilizzando tutto quello che serve per comunicare.



Sul versante specifico del teatro sono molte le cose contro le quali e a favore delle quali il Futurismo ha espresso un giudizio critico, forte e determinato. Mario Verdone le ha raccolte in una sorta di distinta puntuale e variegata: ( Il movimento futurista , Lucarini Editore, 1986).



Contro : l’attore tradizionale, la supremazia dell’attore, il teatro borghese, il teatro letterario, la scenografia dipinta, l’azione logica e progredente, la ricostruzione storica, la razionalità, il teatro fatto e dissociato dal pubblico, il teatro psicologico, la tecnica teatrale, l’antropomorfismo, il sentimentalismo, la commedia, il teatro per gli orecchi, la dimensione tradizionale, il palcoscenico.



A favore : l’attimo, la supremazia dell’autore, il teatro antiborghese, il teatro teatrale, la scenografia costruita o astratto-luministica, l’azione analogica e visionica (per montaggio, per flash-back), la vita dinamica contemporanea, l’irrazionale, l’assurdo, l’astrazione, il teatro da fare ed associato con il pubblico, il teatro antipsicologico, la non-tecnica e la politecnica teatrale (utilizzazione del varietà, del cinema, del circo, dello sport, della radio), il teatro di cose ed oggetti, il teatro antisentimentale e della crudeltà, il teatro-gag (della trovata, della sorpresa), il teatro per gli occhi, la polidimensione, la scena del mondo”. ( a.p )