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Crisi: siamo alla resa dei conti.

Quello che è successo sul palcoscenico dell’economia mondiale è la migliore rappresentazione mai riuscita di un collasso economico. Basti pensare che tra il 2008 ed il 2009 la ricchezza prodotta (PIL) dal nostro Paese è scivolata ai livelli del 2001 tirandosi dietro almeno 700 mila occupati. Addirittura, la produzione industriale è crollata ai livelli del 1985. Che colpo! In altri termini, in poco più di un anno sono stati sacrificati gli sforzi di oltre un quinquennio di manovre per la crescita e l’occupazione. Alla resa dei conti, dopo un’imbarazzante e timida prudenza, economisti accreditati, banchieri e governi si sono accorti di trovarsi nel lunapark della Grande Recessione: la più grave dal dopoguerra! Vi risparmio di tediarvi con le complesse cause che spiegano la crisi, per sintetizzarne la sua naturale evoluzione: dalla vertiginosa crisi finanziaria (inizi del 2000) si è passati alla crisi economica (2008) per arrivare alla crisi occupazionale (2010). La globalizzazione, una concausa, ha permesso alle aziende di spostare le fasi di produzione verso i Paesi a bassi costi beneficiando lauti guadagni a prezzi ridotti. Tutti contenti compresi anche i consumatori che, nel frattempo, sono diventati anche disoccupati e cassaintegrati. Il sistema finanziario ha preferito cavalcare l’onda della speculazione selvaggia scaricando l’economia reale. Nel frattempo, le istituzioni ed i sindacati affidano alla cassa integrazione e ai contributi straordinari la soluzione di un complesso problema strutturale rischiando di dilatare i tempi della ripresa. Prima o poi i contributi straordinari finiranno e poi? Gli sforzi fatti sinora sono più di difesa che di reazione alla crisi e allora abituiamoci alle montagne russe. Ci ritroviamo ad affrontare la crisi non con le riforme strutturali bensì ricorrendo al lifting pur di mostrare risultati immediati. Prepariamoci, allora, ad una ripresa molto lenta e probabilmente ci vorranno almeno altri tre anni prima di assistere ad una ripresa solida. Intanto, la Cina, l’India ed i Paesi del nord-Africa si avviano ad imporre la loro leadership economica per i prossimi decenni perché innovazione e bassi costi fanno la loro miscela competitiva. Ciò che noi non siamo riusciti a fare. La ripresa in Italia deve essere costruita sulla meritocrazia delle migliori competenze; sui settori dell’innovazione, del turismo, dell’agroalimentare e dell’alta moda; sulla capacità delle imprese di fare sistema; sul coraggio di investire nelle professionalità creative difficilmente imitabili. Tra i bamboccioni non ci sono solo giovani fannulloni che amano vivere di rendita, ma anche tanti giovani talenti scoraggiati da un sistema del lavoro ingessato da meccanismi allergici al merito. In questo modo si spiega anche la mediocre competitività del nostro Paese. Semmai, bamboccioni sono quei sistemi imprenditoriali che per sopravvivere al mercato competitivo pretendono il sostegno pubblico: ma quando si emanciperanno? In sostanza, dobbiamo industrializzare la creatività, incentivare la gestione strategica e manageriale dell’azienda guardando al futuro, garantire la tutela dell’unicità del Made in Italy, considerare il mercato internazionale quale unico e solo mercato di riferimento. Gli strumenti per farlo ci sono: basterebbe usarli! Sono anni che diciamo le stesse cose, ma se ci ostiniamo a controllare il presente leggendo il passato, sicuramente perderemo il futuro.