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IL VERO VOLTO DELLA CRISI (31/07/2009)

La globalizzazione si evolve a livello di integrazione sia commerciale (WTO) sia finanziaria attraverso i flussi di liquidità dai Paesi in via di sviluppo (Paesi emergenti) a quelli avanzati (USA ed Europa). Se però l’ingegneria finanziaria ha incentivato fin troppo i suoi manager, era inevitabile l’enorme bolla immobiliare e creditizia che ha inghiottito anche importanti banche internazionali fino al loro fallimento. E’ quanto è successo anche nella Grande Depressione degli anni ‘30 con l’aggravante però che l’attuale mercato è, appunto, globalizzato. Una mano alla crisi l’hanno data i principi contabili internazionali (IAS) secondo i quali gli attivi delle società obbligate (banche comprese) debbano essere valorizzati al valore di mercato che lo scoppio della bolla speculativa ha poi gravemente sgonfiato. Inoltre, è imbarazzante fidarsi dei giudizi sulla rischiosità espressi dalle società di rating internazionali pagate dalle stesse società o enti sottoposti a valutazione. Non solo. E’ entrato in crisi il controllo concreto ancorché etico delle istituzioni a ciò preposte tollerando, di fatto, le falle negli argini normativi fino a creare lo tsunami finanziario che, con sorprendente effetto domino, dagli USA si è esteso rapidamente in Europa coinvolgendo drasticamente l’economia reale mondiale. A differenza del passato, dunque, non esistono più aree geografiche di compensazione economica ma una sola arena globale. Oltretutto, l’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale ha fatto registrare il più basso livello di fiducia dei consumatori/risparmiatori, delle imprese e degli investitori. Oltre a Basilea2, anche l’incertezza frena le aziende a ricorrere al credito che le banche non confessano di aver comunque ristretto. Con ciò non intendo stigmatizzare la globalizzazione che serve invece a permettere l’equità tra i popoli, ma intendo sollevare dubbi sulla solidità dell’architettura dell’economica occidentale. Nello scenario dell’economia italiana, nel breve periodo gli operatori economici navigheranno a vista: pochi investimenti in attesa della domanda nazionale spinta da quella estera. La disoccupazione resterà comunque elevata soprattutto tra la manodopera despecializzata e a poco serviranno i sussidi al reddito soprattutto se questi, vista l’incertezza, sono risparmiati anziché essere messi in circolo attraverso i consumi. Per un biennio potremmo assistere ad una contrazione dei prezzi al consumo e tale deflazione aggraverà la situazione in quando gli investimenti non sono più giustificabili dai margini esigui. Sopravviveranno le aziende con un economico livello di innovazione (processo/prodotto), con un brand forte, in rete ed orientate all’estero: le altre saranno out. Salvo improbabili politiche protezionistiche, nel nuovo ordine mondiale i Paesi low-cost continueranno ad offrire oltre a manodopera e strutture anche qualità, riscopriremo l’etica del profitto e della solidarietà, mentre il baricentro del mondo sarà all’equatore.