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BASILEA 2: IL CREDITO ED IL CAMBIAMENTO (12/04/2004)
Dopo quasi sei anni di attente valutazioni ed estenuanti compromessi, l’Accordo di Basilea sottoscritto nel giugno 2004 (cosiddetto Basilea 2) ha messo a dura prova anche la proverbiale puntualità della cultura svizzera. Nello scorso settembre, poi, la Commissione europea ha riversato ed approvato il contenuto dell’Accordo in una direttiva comunitaria. L’esordio ufficiale è atteso per inizio 2007 anche se, in realtà, il processo di collaudo dei sistemi di rating degli istituti bancari è già in dirittura d’arrivo. In sostanza, il rischio di ogni azienda è già quantificabile.L’Accordo coinvolge direttamente il sistema bancario internazionale nel rispetto di un progetto di stabilità del mercato creditizio iniziato nel 1988 (in occasione della Basilea 1). Volendo sintetizzare, esso stabilisce che su 100 di affidamento all’impresa, la banca è obbligata a disporre, in termini di patrimonio proprio, di una somma pari all’8% che sarà calcolata non più sul valore affidato (100) ma su quest’ultimo ponderato al rischio specifico dell’azienda (rating). Può accadere, ad esempio, che su 100 di affidamento la banca accantoni 6 nel caso di rischio limitato ovvero 12 nel caso di rischio eccessivo. E’ superfluo osservare che le legittime esigenze di stabilità e di redditività delle banche finiscano per avallare soluzioni di ridimensionamento dell’affidamento (credit crunch) ossia di aumento del costo del denaro (pricing). Salvo che l’azienda sia in grado di integrare le garanzie reali e/o personali offerte. Ne consegue, pertanto, che il pericolo del credit crunch o del pricing è scongiurabile attraverso il contenimento del rischio dell’impresa. L’effetto indotto dell’Accordo di Basilea 2 consiste, in effetti, nell’educare le imprese a dedicare maggiore cura alla qualità delle informazioni fornite ai soggetti finanziatori e a porre maggiore enfasi proprio sui fattori determinanti delle tre grandezze strategiche: solvibilità, solidità e redditività. Come logica conseguenza, è sufficiente migliorare i fattori considerati nel calcolo del rating per poter confidare in un ampliamento dell’affidamento o addirittura nella riduzione del pricing. Di fatto, tale miglioramento è ineludibile da un complesso processo di cambiamento dell’attuale gestione aziendale scarsamente attenta alla dinamica finanziaria e all’attività di budgeting, con strategie confuse e contraddittorie e poco attente alla ricchezza professionale (intangibles). Nella realtà, l’imprenditore pone il fatturato come unico termometro dello stato di salute della propria impresa: come se per stare bene fosse sufficiente mangiare! Troppo semplicistico per affrontare il mercato globale sempre più dinamico e meno protezionista: le imprese estere sono più agguerrite, più solide e, quindi, meno rischiose perché hanno sapientemente innovato la propria gestione. Se il nostro sistema imprenditoriale è più rischio di altri è perché non ha ancora maturato il coraggio del cambiamento. Ed il sistema creditizio inizia così a disinteressarsi delle imprese non competitive.