La pratica clinica
La pratica clinica (direzione della cura):La psicoanalisi è una pratica di parola, la cura analitica lavora ed è orientata sulla parola del soggetto, e, se ben condotta produrrà effetti sul sintomo. Produrrà una pacificazione del sintomo, una sua trasformazione creativa più consona al desiderio inconscio del soggetto. Il sintomo non va curato, o estirpato, va trasformato in qualcosa che non faccia più soffrire o isolare il soggetto che lo lamenta.
Il sintomo che fa soffrire va alleviato, ma è importante non tappargli la bocca. Il sintomo va ascoltato, porta un messaggio dal nostro luogo più intimo: se lo silenziamo, ciò che vuole dirci troverà altre forme di espressione (altre formazioni dell’inconscio, altri sintomi).
Esempio : Se un raffreddore ci perseguita da mesi, possiamo imbottirci di farmaci e ridurre la sintomatologia. Ma se non effettuiamo gli esami medici per scoprirne la causa, difficilmente potremo trovare il modo per far scomparire definitivamente il raffreddore.
In psicoanalisi non si attribuisce un significato a tutto (psicoanalisi selvaggia) , il significato deve emergere dallo svelamento progressivo dei significanti ad opera del soggetto che si trova in seduta.
Quello che conta è reperire i significanti che hanno segnato la vita di un soggetto, che si sono combinati in determinato modo anziché in un altro, ma soprattutto, che il soggetto ha scelto di legare in un certo modo, seppur a livello inconscio. Ciò che conta in terapia sono le parole del soggetto, la cura sarà diretta sulla base di queste parole specifiche.
Esempio : perché all’interno della stessa famiglia, i fratelli (o le sorelle) possono essere così diversi tra loro, a parità di genitori e di ambiente? Primo, è diverso il desiderio dei genitori per ogni figlio (le aspettative, tanto per essere brevi), ma soprattutto cambia l’interpretazione soggettiva che ogni componente della famiglia dà a tutto ciò che vive . Per questo, in seduta sono importanti i fatti reali che una persona ha vissuto, ma conta di più l’interpretazione che il soggetto ha dato rispetto a ciò che ha vissuto. In questa interpretazione del soggetto giocano molti elementi che vanno reperiti nel corso dei colloqui.
Una elaborazione teorico clinica di questo tipo, implica logicamente che non c’è determinismo psichico (un rapporto di causa effetto tra fatti vissuti e conseguenze riportate) ovvero, di fronte ad un avvenimento reale e oggettivo che un soggetto vive, non c’è una reazione, una elaborazione predeterminata ( un esempio banale ma indicativo: un bambino che nasce e cresce in una famiglia di tossicodipendenti, non è detto che svilupperà gli stessi comportamenti autolesivi, oppure un bambino che cresce in una famiglia benestante e di sani principi, potrebbe presentare problemi di tipo delinquenziale).
Il compito dello psicoanalista è favorire lo snodarsi di questi significanti con tutta una serie di principi e tecniche lungamente studiati, ma soprattutto sperimentati sulla propria pelle.
L’ascolto adeguatamente orientato della parola che emerge in analisi, può avere effetti terapeutici significativi.
Qual è la differenza con l’ascolto della parola effettuato da un amico, da un confessore, da uno psicoterapeuta non analitico?
Lo psicoanalista e lo psicoterapeuta analiticamente orientato operano una distinzione tra la parola che viene dall’Io (l’istanza di cui abbiamo una presunta padronanza) e la parola che viene dall’inconscio la quale si presenta attraverso le sue formazioni (sintomi, lapsus, atti mancati, motti di spirito, sogni).
C’è effetto terapeutico quando il soggetto sarà in grado di effettuare una rilettura della propria storia, quando egli riorganizzerà il discorso (l’insieme dei significanti) che lo ha segnato in un modo nuovo, originale, creativo, scelto da lui durante il percorso terapeutico.
Questa nuova modalità di affrontare la divisione soggettiva che abita l’essere umano andrà a rimpiazzare la modalità disfunzionale del sintomo. Sarà possibile ottenere questo nel momento in cui il desiderio [1] si aggancerà alla domanda [2] in un modo inedito.
L’effetto terapeutico si misura in una cornice più ampia e individualizzata della sola scomparsa del sintomo lamentato. E’ certamente più semplice pensare di stare meglio con un intervento che sopprima prontamente il sintomo che fa soffrire. Ma il nostro corpo e la nostra mente ci inviano continuamente dei messaggi e se perdiamo la capacità di ascoltarli e, talvolta di decifrarli, pagheremo col prezzo della sofferenza a più livelli. La cultura odierna è caratterizzata proprio da questo: tutto e subito. In questo modo perdiamo la possibilità di ascoltare, individuare, soddisfare i nostri veri desideri, piegandoci alla logica del consumismo, del facile benessere indotto dalla società, delle aspettative altrui.
Il sintomo psicologico si struttura lentamente anche se esplode in modo massivo e irruente nella vita di una persona (basti pensare all’attacco di panico).