Il Cane da Guardiania nelle aziende Agro-Zootecniche moderne; di Francesco Andriulli
“Ora come ho promesso nel libro precedente, parlerò dei guardiani silenziosi,
quantunque sia errato chiamare il cane guardiano silenzioso.
Qual è l'uomo che denuncia tanto chiaramente come fa il cane con il latrato, o con
altrettanto volume di voce, la presenza di un animale selvatico o di un ladro? Quale
servo è più affezionato al padrone? Chi gli è compagno più fedele? Dove è un custode
più incorruttibile? Quale sentinella più vigilante si può trovare? Quale vendicatore è
punitore più costante? Perciò si può dire che questo è uno dei primi animali che
l'agricoltore deve comprare e allevare, perché custodisce la villa e i frutti, gli schiavi
e il bestiame. Nel comprare un cane si possono seguire tre criteri. Infatti c'è una
varietà che si sceglie per difendersi dalle insidie degli uomini, e questa è adatta a
custodire la villa e le adiacenze. Una seconda varietà e adatta ad opporsi non solo
alle insidie degli uomini, ma anche a quelle degli animali feroci, e quindi custodisce
la stalla e i greggi e gli armenti al pascolo. La terza varietà si tiene per la caccia,
essa non solo non giova affatto all'agricoltore ma anzi lo distoglie e lo rende
svogliato del suo lavoro.
Dobbiamo dunque parlare del cane da cortile e di quello pastore, il cane da caccia
non ha niente a che fare con l'agricoltura.
Per la villa bisogna scegliere un custode di corpo grande e grosso, di latrato
risonante e acuto, primo perché atterrisca i malandrini facendosi sentire, e poi anche
con lo spavento che incute la sua vista, e qualche volta senza neppure farsi vedere,
mette in fuga chi tenta di rubare solo con il suo sordo mugolio.
Sia però di colore unito, il bianco è da preferirsi per il cane da pastore, il nero per
quello da cortile, il mantello pezzato non è pregevole ne nel primo ne nel secondo
tipo. Il pastore preferisce il bianco perché è molto diverso dal colore delle bestie
selvatiche, e di questa diversità c'è grande bisogno quando si dà la caccia ai lupi,
nella luce incerta del primo mattino o del crepuscolo, per non correre il pericolo di
colpire il cane al posto della fiera.
Ma il cane da cortile che si oppone ad incursioni di uomini, quando il ladro venga ne
il giorno chiaro a certo un aspetto più terribile se è nero, di notte poi non si vede
perché somiglia alle tenebre, e perciò, coperto da esse, il cane può avvicinarsi
all'insidiatore con meno pericolo.
Si preferisce quadrato piuttosto che lungo e tozzo, con il capo tanto grande che
sembri la maggior parte del corpo, con le orecchie abbassate e pendenti, con occhi
neri o glauchi, lucenti di una luce fiera, con il petto ambio e peloso, spalle larghe,
zampe tozze e irte, coda corta, spesse callosità, larghissime dita e unghioni alle
zampe, che i greci chiamano artigli. Questa sarà la conformazione più pregevole in
un cane da cortile.
La sua indole non deve essere ne mitissima ne per contrario truce e crudele, il primo
infatti blandirebbe anche un ladro mentre il secondo assale anche la gente di casa. E'
sufficiente che sia duro, e non abbia nessuna carezzosità, in modo che qualche volta
guardi male i suoi compagni di servitù, e sempre si infuri contro ogni estraneo.
Sopratutto questi cani devono dimostrarsi vigilanti nel fare la guardia e non
sbagliarsi facilmente, ma essere assidui e circospetti piuttosto che temerari. Nel
primo caso segnalano solo quello di cui hanno certezza, mentre nel secondo si
eccitano per ogni vano rumore o falso sospetto.
Ho creduto opportuno enumerare queste qualità, perchè non solo la natura, ma anche
l'educazione forma l'indole, perciò quando avremmo la possibilità di comprare un
cane, scegliamolo in base alle cose dette, e quando alleveremo i cagnolini nati in
casa, formiamoli secondo questi criteri.
Non ha molta importanza che i cani da cortile siano pesanti di corpo e poco veloci,
essi devono lavorare da vicino e camminando, piuttosto che da lontano e slanciandosi
a corsa. Stanno sempre intorno ai chiusi e nell'interno degli edifici, anzi non devono
allontanarsene neppure poco e fanno a perfezione l'ufficio loro se avvertono
acutamente l'odore di chi si avvicina e lo spaventano con il latrato e non gli
permettono di avvicinarsi, o con somma costanza e con violenza assalgono chi tenta
di farsi avanti. La prima cosa infatti è che il cane non si lasci attaccare, la seconda
che, quando è provocato, si difenda con forza e con tenacia. E questo basta intorno ai guardiani della casa, veniamo ora al cane da pastore.
Un cane pecoraio non deve essere ne tanto magro e veloce come quelli che inseguono
i daini e i cervi e gli altri animali più veloci, ne tanto grosso e pesante come il
guardiano della casa o del granaio, ma robusto e alquanto violento e battagliero,
dato che si tiene appunto perché lotti e combatta, deve anche saper correre, quando
c'è da respingere le insidie del lupo e inseguire il rapitore nella sua fuga, fargli
lasciar la preda e portarla via. Perciò in previsione di questi casi il meglio è che sia
di corpo lungo e snello, piuttosto che corto o quadrato, pèrché ripeto si presenta ogni
tanto la necessità di inseguire velocemente un animale selvatico. Quanto alle altre
parti del corpo, si ritiene che siano buone quando assomigliano a quelle del cane da
cortile.
All'una e all'altra specie si devono dare all'incirca cibi dello stesso genere. Se i campi
sono tanto vasti che possono nutrire greggi e armenti, farina d'orzo e siero sono il
miglior sostentamento di tutti senza distinzione. Se invece il fondo è piantato ad alberi
e frutti e privo di pascolo, si possono nutrire con pane di farro bagnato nell'acqua in
cui sono state cotte le fave, ma tiepida, calda fa venire la rabbia.
Ne ai maschi ne alle femmine si deve permetter l'accoppiamento avanti l'anno, se si
concede loro quando sono ancona teneri, consuma il corpo e le forze e degenera la
loro indole. Bisogna portare via i nati alle cagnoline che partoriscono per la prima
volta, perché queste principianti non possono nutrire bene i piccoli e l'allattamento
nuoce al completo sviluppo del corpo. I maschi possono generare con forze giovanili
fino ai dieci anni, ma dopo questo tempo non si dimostrano più adatti a fecondare le
femmine, perché la prole dei cani vecchi è sempre ignava. Le femmine sono adatte al
concepimento fino ai nove anni e dopo il decimo non valgono più niente. Durante i
primi sei mesi, finché abbiano preso forza, non bisogna mandar fuori i cagnolini se
non vicino alla madre per giocare e scherzare. Dopo si devono legare alla catena
durante il giorno e lasciar liberi la notte. Non lasciamo mai allattare da un'altra
madre quelli di cui vogliamo conservare intatta la razza, perché sempre il latte e lo
spirito materno nutre e sviluppa il corpo, ma anche il carattere.
Se anche alla madre però manca il latte, più di ogni altro converrà dare ai piccoli
latte di capra fino a quattro mesi. Bisogna chiamarli con nomi non troppo lunghi in
modo che rispondano più in fretta alla chiamata, ma nello stesso tempo i nomi non
devono essere più brevi di due sillabi. Vanno bene il nome greco Skylax, il latino
Ferox, il greco Lakon, il latino Celer, e per una femmina i nomi greci Spondè, Alkè,
Rome, o i latini Lupa, Cerva, Tigris.
Dopo quaranta giorni dalla loro nascita converrà tagliare la coda dei cagnolini nel
modo seguente: c'è un nervo che si snoda lungo gli articoli della spina fino
all'estremità, lo si afferra con i denti lo si tira fuori un poco e lo si spezza, con questa
operazione la coda non acquista più una lunghezza sgraziata, e nello stesso tempo,
come affermano molti pastori, si tiene lontano la rabbia, malattia pestifera e mortale
per queste bestie. ”
[1]
Lo scriveva Columella nel I secolo d.C. nel suo “De l’Agricoltura”, prima di lui, ne
aveva parlato anche Marco Terenzio Varrone, nei suoi scritti riguardanti il mondo
agricolo.
Se leggiamo il brano con cui ho aperto questo capitolo, tenendo ben presente il suo
contesto storico, possiamo dedurre che Columella, di cani, ne capiva qualcosa.
Oggi, la situazione è un po' cambiata.
Pare che la zootecnia moderna abbia lasciato indietro, forse non ai tempi dell’antica
Roma ma, probabilmente, intorno alla prima metà del 900, quello che l’illustre autore
sopracitato definiva come uno dei primi animali di cui l’agricoltore doveva munirsi, il
cane, e precisamente, quello guardiano. Esso, infatti, avrebbe custodito i frutti delle
fatiche del suo padrone.
Più fedele e coraggioso della servitù umana, meno costoso nel suo mantenimento, e
soprattutto, meno incline a farsi corrompere.
Lasciando da parte quelle che, al lettore moderno, possono sembrare descrizioni
pittoresche e suggerimenti piuttosto bizzarri, che Columella consigliava
nell’approcciarsi alla scelta dei cani, magari non errate, nel loro significato di fondo,
ma figlie di un’epoca diversa dalla nostra, si potrebbe ancora oggi fare un discorso
analogo, confrontando il cane da guardia ai sistemi che lo hanno sostituito.
Sono sicuro, che l’antico, superato e mai troppo sottovalutato mastino, potrebbe,
tutt’ora, nell’epoca del click e dello smart, rivelarsi il più utile, efficace, e sempre
economico, strumento di protezione di beni, animali o attrezzature, che l’imprenditore agricolo potrebbe adottare.