Storia di ordinaria fobia
Capita a tutti di provare paura. La paura è un’intensa emozione che deriva dalla percezione di un pericolo, reale o supposto (immaginario).
Una cosa che fa paura rappresenta un’occasione per fuggire o da evitare.
«Non mi fido di viaggiare in aereo, mi sono sempre spostato in macchina!» è un’espressione che rimanda ad uno stile di comportamento che prevede una risposta di paura di fronte ad una situazione vista come minacciosa.
Ci sono paure senza oggetto (paura della paura) e ci sono le paure degli oggetti (della motocicletta, dei cani, del mare). Vi sono paure “innate” (del sangue), ma esistono anche paure apprese (dell’acqua, dei rumori forti).
Sebbene la paura svolga l’importante funzione di segnalare uno stato di allarme – preparando l’individuo ad una risposta fisiologica di attacco o di fuga – talvolta diventa patologica.
In realtà, esiste una paura “naturale” che preserva dai pericoli dell’ambiente (se un bambino non avesse paura del buio potrebbe sbattere contro un oggetto e ferirsi); ma vi è anche una paura esagerata che si attiva senza un pericolo reale (o che si esprime con un’intensità eccessiva rispetto allo stimolo) e che – invece di proteggere – immobilizza o fa scappare: la fobia .
Capita a molti di avere la fobia degli spazi aperti o delle piazze, degli spazi chiusi o della folla, dell’altezza o degli oggetti appuntiti, di parlare o agire in pubblico, dello sporco o del contagio, di impazzire o di avere un infarto, della malattia o della morte, delle catastrofi ambientali o della fine del mondo.
La fobia è una paura sproporzionata rispetto al reale pericolo, non è controllabile con spiegazioni razionali (dimostrazioni e ragionamenti), supera la capacità di controllo volontario che il soggetto è in grado di mettere in atto, produce l’allontanamento dalla cosa temuta ed è invalidante.
Verosimilmente, la radice della fobia va ricercata nel rapporto che ciascuno di noi ha con l’imprevisto. Da sempre, l’uomo ha fatto i conti con l’ignoto. Ciò che non si conosce, può far paura!
Quando l’ambiente originario dell’infanzia e dell’adolescenza è caratterizzato da una prolungata esortazione ad accogliere con prudenza ciò che è imprevisto, si impara ad aver paura di ogni cosa sconosciuta, vivendo come minaccioso tutto ciò che non è consueto o sperimentato con sicurezza: favorendo le condotte di allontanamento più svariate (dal distacco fisico all’adozione di strategie utili a placare l’ansia).
L’abitudine a fuggire può derivare da una storia di apprendimento realizzato attraverso l’esperienza diretta (si impara dall’esperienza ad aver paura del temporale che ci sveglia angosciati nel cuore della notte), ma anche da una storia di apprendimento mediato dal linguaggio (per imparare ad evitare il fuoco non ci si affida all’esperienza diretta).
Correlato all’imprevisto, può esserci un ambiente che spaventa (la maestra che terrorizza) e un ambiente che rassicura (la maestra che tranquillizza), ma ci può anche essere un “linguaggio” che spaventa (le parole della maestra che terrorizzano) e un “linguaggio” che rassicura (le parole della maestra che tranquillizzano).
Del resto, la lettura (interpretazione) della realtà che – sottoforma di pensiero – influenza il comportamento e le emozioni dell’individuo, passa sempre attraverso il linguaggio. Se inizialmente il linguaggio è sperimentato ad un livello interpersonale (sociale) – prevalentemente orientato a dirigere l’attenzione da e verso gli altri (si pensi all’interazione più semplice rappresentata dalla relazione adulto-bambino) – nel corso dello sviluppo (storia di vita) assume il ruolo di pensiero (dialogo interno).
La psicoterapia cognitivo comportamentale – postulando una relazione tra pensiero, emozione e comportamento – offre un contesto in cui le “regole verbali” (il dialogo interno) negative del paziente perdono di efficacia, permettendogli di sperimentare nuove modalità di funzionamento (nuovi schemi di risposta). Il terapeuta comportamentale offre un’impalcatura di sostegno fondamentale per l’apprendimento di modalità alternative di funzionamento, favorendo la modificazione di convinzioni, valutazioni e auto-descrizioni negative che influenzano il comportamento del paziente, mediante l’applicazione di un protocollo di trattamento psicologico caratterizzato da un’esposizione graduale all’oggetto temuto.
Ne consegue che se un fatto (oggetto, evento, situazione) fa paura perché sconosciuto, una volta che perde il significato di sconosciuto non farà più paura; analogamente, se il “non conosciuto” cessa di essere sinonimo di pericolo, cesserà di attivare condotte di fuga.